Istorie fiorentine/Libro sesto/Capitolo 3

Libro sesto

Capitolo 3

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I Viniziani, i quali de’ loro soldati nelle cose ancora non ragionevoli sospettono, presono ragionevolmente di queste pratiche sospetto grandissimo; il quale volendo il Conte cancellare, seguiva la guerra gagliardamente. Non di meno l’animo, a lui per ambizione e a’ Viniziani per sospetto, era in modo intepidito, che quello restante della state si ferono poche imprese; in modo che, tornato Niccolò Piccino in Lombardia, e di già cominciato il verno, tutti gli eserciti ne andorono alle stanze: il Conte in Verona, in Cremona il Duca, le genti fiorentine in Toscana, e quelle del Papa in Romagna. Le quali, poi che ebbono vinto ad Anghiari, assaltorono Furlì e Bologna, per trarle di mano a Francesco Piccinino, che in nome del padre le governava; e non riuscì loro, perché furono da Francesco gagliardamente difese. Non di meno questa loro venuta dette tanto spavento ai Ravennati di non tornare sotto lo imperio della Chiesa, che, d’accordo con Ostasio di Polenta loro signore, si missero nella potestà de’ Viniziani; i quali, in guidardone della ricevuta terra, acciò che per alcun tempo Ostasio non potesse loro per forza torre quello che per poca prudenzia aveva loro dato, lo mandarono, insieme con un suo figliuolo, a morire in Candia. Nelle quali imprese, non ostante la vittoria di Anghiari, mancando al Papa danari vendé il castello del Borgo a Santo Sipolcro venticinquemila ducati, a’ Fiorentini. Stando per tanto le cose in questi termini, e parendo a ciascuno, mediante la vernata, essere sicuro della guerra, non si pensava più alla pace; e massime il Duca, per essere da Niccolò Piccino e dalla stagione rassicurato. E per ciò aveva rotto con il Conte ogni ragionamento d’accordo, e con grande diligenzia rimisse Niccolò a cavallo; e faceva qualunque altro provedimento che per una futura guerra si richiedeva. Della qual cosa avendo notizia il Conte, ne andò a Vinegia, per consigliarsi con quel Senato come per lo anno futuro si avessero a governare. Niccolò dall’altra parte, trovandosi in ordine, e vedendo il nimico disordinato, non aspettò che venisse la primavera; e nel più freddo verno passò l’Adda, e entrò nel Bresciano, e tutto quel paese, fuora che Asola e Orci, occupò; dove più che dumila cavalli sforzeschi, i quali questo assalto non aspettavano, svaligiò e prese. Ma quello che più dispiacque al Conte e più sbigottì i Viniziani fu che Ciarpellone, uno de’ primi capitani del Conte, si ribellò da lui. Il Conte, avuto questo avviso, partì subito da Vinegia, e arrivato a Brescia trovò Niccolò, fatto quelli danni, essersi ritornato alle stanze; donde che al Conte non parve, poi che trovò la guerra spenta, di raccenderla; ma volle, poi che il tempo e il nimico gli davano commodità a riordinarsi, usarla, per potere poi, con il nuovo tempo, vendicarsi delle vecchie offese. Fece adunque che i Viniziani richiamassero le genti che in Toscana servivono a’ Fiorentini, e in luogo di Gattamelata morto, volle che Micheletto Attendulo conducessero.