Passò per allora la cosa leggiermente, e parve che gli oratori se ne andassero assai sodisfatti. Non di meno la lega fatta e i modi de’ Viniziani e del Re facevono più tosto temere i Fiorentini e il Duca di nuova guerra, che sperare ferma pace. Per tanto i Fiorentini si collegorono con il Duca; e intanto si scoperse il malo animo de’ Viniziani, perché feciono lega con i Sanesi, e cacciorono tutti i Fiorentini e loro sudditi della città e imperio loro. E poco appresso Alfonso fece il simigliante, e sanza avere alla pace l’anno davanti fatta alcuno rispetto, e sanza averne, non che giusta, ma colorita cagione. Cercorono i Viniziani di acquistarsi i Bolognesi, e fatti forti i fuori usciti, gli missono con assai gente, di notte, per le fogne, in Bologna; né prima si seppe la entrata loro, che loro medesimi levassero il romore. Al quale Santi Bentivogli sendosi desto, intese come tutta la città era da’ ribelli occupata; e benché fusse consigliato da molti che con la fuga salvasse la vita, poi che con lo stare non poteva salvare lo stato, non di meno volle mostrare alla fortuna il viso; e prese le armi, e dette animo a’ suoi, e fatto testa di alcuni amici, assalì parte de’ ribelli, e quelli rotti, molti ne ammazzò, e il restante cacciò della città. Dove per ciascuno fu giudicato avere fatto verissima pruova di essere della casa de’ Bentivogli. Queste opere e dimostrazioni feciono in Firenze ferma credenza della futura guerra; e però si volsono i Fiorentini alle loro antiche e consuete difese; e creorono il magistrato de’ Dieci, soldorono nuovi condottieri, mandorono oratori a Roma, a Napoli, a Vinegia, a Milano e a Siena, per chiedere aiuti agli amici, chiarire i sospetti, guadagnarsi i dubi e scoprire i consigli de’ nimici. Dal Papa non si ritrasse altro che parole generali, buona disposizione e conforti alla pace; dal Re vane scuse di avere licenziati i Fiorentini, offerendosi volere dare il salvocondotto a qualunque lo adimandasse. E benché s’ingegnasse al tutto i consigli della nuova guerra nascondere, non di meno gli ambasciadori cognobbono il malo animo suo, e scopersono molte sue preparazioni per venire a’ danni della republica loro. Col Duca di nuovo con varii oblighi si fortificò la lega; e per suo mezzo si fece amicizia con i Genovesi, e le antiche differenzie di rappresaglie e molte altre querele si composono, non ostante che i Viniziani cercassero per ogni modo tale composizione turbare. Né mancorono di supplicare allo imperadore di Gostantinopoli che dovesse cacciare la nazione fiorentina del paese suo: con tanto odio presono questa guerra; e tanto poteva in loro la cupidità del dominare, che sanza alcuno rispetto volevono distruggere coloro che della loro grandezza erano stati cagione; ma da quello imperadore non furono intesi. Fu da il Senato viniziano alli oratori fiorentini proibito lo entrare nello stato di quella republica, allegando che, sendo in amicizia con il Re, non potevono, sanza sua participazione, udirli. I Sanesi con buone parole gli ambasciadori riceverono, temendo di non essere prima disfatti che la lega li potesse difendere, e per ciò parve loro di addormentare quelle armi che non potevono sostenere. Vollono i Viniziani e il Re, secondo che allora si conietturò, per giustificare la guerra, mandare oratori a Firenze, ma quello de’ Viniziani non fu voluto intromettere nel dominio fiorentino, e non volendo quello del Re solo fare quello uffizio, restò quella legazione imperfetta; e i Viniziani per questo cognobbono essere stimati meno da quelli Fiorentini che non molti mesi innanzi avevono stimati poco.