Istorie fiorentine/Libro sesto/Capitolo 21

Libro sesto

Capitolo 21

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Il Conte, ancora che da ogni parte si sentisse da’ Milanesi morso, sanza dimostrare o con le parole o con i gesti alcuna estraordinaria alterazione, rispose che era contento donare agli loro adirati animi la grave ingiuria delle loro poco savie parole; alle quali risponderebbe particularmente, se fusse davanti ad alcuno che delle loro differenze dovesse essere giudice, perché si vedrebbe lui non avere ingiuriati i Milanesi, ma provedutosi che non potessero iniuriare lui. Perché sapevono bene come dopo la vittoria di Carafaggio si erano governati; perché, in scambio di premiarlo di Verona o Brescia, cercavano di fare pace con i Viniziani, acciò che solo apresso di lui restassero i carichi della inimicizia e apresso di loro i frutti della vittoria, con il grado della pace e tutto l’utile che si era tratto della guerra. In modo che eglino non si potevono dolere, se li aveva fatto quello accordo che eglino prima avevano tentato di fare; il qual partito se alquanto differiva a prendere, arebbe al presente a rimproverare a loro quella ingratitudine la quale ora eglino gli rimproverano. Il che se fusse vero o no, lo dimosterrebbe, con il fine di quella guerra, quello Iddio ch’eglino chiamavano per vendicatore delle loro ingiurie; mediante il quale vedranno quale di loro sarà più suo amico, e quale con maggiore giustizia arà combattuto. Partitisi gli ambasciadori, il Conte si ordinò a potere assaltare i milanesi, e questi si preparorono alla difesa; e con Francesco e Iacopo Piccinino, i quali per lo antico odio avieno i Bracceschi con li Sforzeschi erano stati a’ Milanesi fedeli, pensorono di difendere la loro libertà infino a tanto, almeno che potessero smembrare i Viniziani da il Conte, i quali non credevono dovessino esserli fedeli né amici lungamente. Dall’altra parte il Conte, che questo medesimo cognosceva, pensò che fusse savio partito, quando giudicava che l’obligo non bastasse, tenerli fermi con il premio. E per ciò, nel distribuire le imprese della guerra, fu contento che i Viniziani assalissero Crema, ed egli con l’altra gente assalirebbe il restante di quello stato. Questo pasto messo davanti ai Viniziani fu cagione ch’eglino durorono tanto nella amicizia del Conte, che il Conte aveva già occupato tutto il dominio a’ Milanesi, e in modo ristrettili alla terra, che non potevono di alcuna cosa necessaria provedersi; tanto che, disperati d’ogni altro aiuto, mandorono oratori a Vinegia a pregarli che avessero compassione alle cose loro; e fussino contenti, secondo che debbe essere il costume delle republiche, favorire la loro libertà, non uno tiranno, il quale, se gli riesce insignorirsi di quella città, non potranno a loro posta frenare. Né credino che gli stia contento a’ termini ne’ capituli posti, ché vorrà i termini antichi di quello stato ricognoscere. Non si erano ancora i Viniziani insignoriti di Crema, e volendo, prima che cambiassino volto, insignorirsene, risposono publicamente, non potere, per lo accordo fatto con il Conte, suvvenirli; ma in privato gli intrattennono in modo che, sperando nello accordo, poterono a’ loro Signori darne una ferma speranza.