Queste esecuzioni assai i mediocri cittadini sbigottirono, solo ai Grandi e alla plebe sodisfacevano: questa perché sua natura è rallegrarsi del male, quelli altri per vedersi vendicare di tante ingiurie dai popolani ricevute. E quando e’ passava per le strade, con voce alta la franchezza del suo animo era lodata, e ciascuno publicamente a trovare le fraude de’ cittadini e gastigarle lo confortava. Era l’uffizio de’ venti venuto meno, e la reputazione del Duca grande, e il timore grandissimo; tale che ciascuno, per mostrarsegli amico, la sua insegna sopra la sua casa faceva dipignere: né gli mancava ad essere principe altro che il titolo. E parendogli potere tentare ogni cosa securamente, fece intendere a’ Signori come e’ giudicava, per il bene della città, necessario gli fusse concessa la signoria libera; e perciò desiderava, poi che tutta la città vi consentiva, che loro ancora vi consentissero. I Signori, avvenga che molto innanzi avessero la rovina della patria loro preveduto, tutti a questa domanda si perturborono, e con tutto che ei conoscessero il loro pericolo, non di meno per non mancare alla patria, animosamente gliene negorono. Aveva il Duca, per dare di sé maggior segno di religione e di umanità, eletto per sua abitazione il convento de’ Fra’ Minori di Santa Croce; e desideroso di dare effetto al maligno suo pensiero, fece per bando publicare che tutto il popolo, la mattina seguente, fusse alla piazza di Santa Croce, davanti a lui. Questo bando sbigottì molto più i Signori, che prima non avevono fatto le parole; e con quelli cittadini i quali della patria e della libertà giudicavano amatori si ristrinsono; né pensorono, cognosciute le forze del Duca, di potervi fare altro rimedio che pregarlo, e vedere, dove le forze non erano suffizienti, se i preghi o a rimuoverlo dalla impresa o a fare la sua signoria meno acerba bastavano. Andorono per tanto parte de’ Signori a trovarlo, e uno di loro gli parlò in questa sentenza: - Noi vegniamo, o Signore, a voi, mossi prima da le vostre domande, di poi dai comandamenti che voi avete fatti per ragunare il popolo; perché ci pare essere certi che voi vogliate estraordinariamente ottenere quello che per lo ordinario noi non vi abbiamo acconsentito. Né la nostra intenzione è con alcuna forza opporci ai disegni vostri; ma solo per dimostrarvi quanto sia per esservi grave il peso che voi vi arrecate adosso e pericoloso il partito che voi pigliate; acciò che sempre vi possiate ricordare de’ consigli nostri, e di quelli di coloro i quali altrimenti, non per vostra utilità, ma per sfogare la rabbia loro, vi consigliono. Voi cercate fare serva una città la quale è sempre vivuta libera; perché la signoria che noi concedemmo già ai reali di Napoli fu compagnia e non servitù: avete voi considerato quanto, in una città simile a questa, importi e quanto sia gagliardo il nome della libertà, il quale forza alcuna non doma, tempo alcuno non consuma e merito alcuno non contrappesa? Pensate, Signore, quante forze sieno necessarie a tenere serva una tanta città: quelle che, forestiere, voi potete sempre tenere, non bastano; di quelle di dentro voi non vi potete fidare, perché quelli che vi sono ora amici e che a pigliare questo partito vi confortano, come eglino aranno battuti, con la autorità vostra, i nimici loro, cercheranno come e’ possino spegnere voi e fare principi loro; la plebe, in la quale voi confidate, per ogni accidente benché minimo si rivolge: in modo che, in poco tempo, voi potete temere di avere tutta questa città nimica; il che fia cagione della rovina sua e vostra. Né potrete a questo male trovare rimedio; perché quelli signori possono fare la loro signoria sicura che hanno pochi nimici, i quali o con la morte o con lo esilio e facile spegnere; ma negli universali odi non si trova mai sicurtà alcuna, perché tu non sai donde ha a nascere il male, e chi teme di ogni uomo non si può assicurare di persona, e se pure tenti di farlo, ti aggravi ne’ pericoli, perché quelli che rimangono si accendono più nello odio e sono più parati alla vendetta. Che il tempo a consumare i desideri della libertà non basti è certissimo: perché s’intende spesso quella essere in una città da coloro riassunta che mai la gustorono, ma solo per la memoria che ne avevano lasciata i padri loro la amavano, e perciò, quella ricuperata, con ogni ostinazione e pericolo conservano; e quando mai i padri non la avessero ricordata, i palagi publici, i luoghi de’ magistrati, le insegne de’ liberi ordini la ricordano: le quali cose conviene che sieno con massimo desiderio dai cittadini cognosciute. Quali opere volete voi che sieno le vostre che contrappesino alla dolcezza del vivere libero, o che facciano mancare gli uomini del desiderio delle presenti condizioni? Non se voi aggiugnessi a questo imperio tutta la Toscana, e se ogni giorno tornassi in questa città trionfante de’ nimici nostri: perché tutta quella gloria non sarebbe sua, ma vostra, e i cittadini non acquisterebbono sudditi, ma conservi, per i quali si vederebbono nella servitù raggravare. E quando i costumi vostri fussero santi, i modi benigni, i giudizi retti, a farvi amare non basterebbono; e se voi credessi che bastassero v’inganneresti, perché ad uno consueto a vivere sciolto ogni catena pesa e ogni legame lo strigne: ancora che trovare uno stato violento con un principe buono sia impossibile, perché di necessità conviene o che diventino simili, o che presto l’uno per l’altro rovini. Voi avete adunque a credere o di avere a tenere con massima violenza questa città (alla qual cosa le cittadelle, le guardie, gli amici di fuora molte volte non bastano), o di essere contento a quella autorità che noi vi abbiamo data. A che noi vi confortiamo, ricordandovi che quello dominio è solo durabile che è voluntario: né vogliate, accecato da un poco di ambizione, condurvi in luogo dove non potendo stare, né più alto salire, siate, con massimo danno vostro e nostro, di cadere necessitato.