Era, per i molti travagli i quali erano stati in Toscana e in Lombardia, pervenuta la città di Lucca sotto la signoria di Mastino della Scala, signore di Verona; il quale, ancora che per obligo la avesse a consegnare ai Fiorentini, non la aveva consegnata, perché, essendo signore di Parma, giudicava poterla tenere, e della fede data non si curava. Di che i Fiorentini per vendicarsi, si congiunsono con i Viniziani, e gli feciono tanta guerra che fu per perderne tutto lo stato suo. Non di meno non ne risultò loro altra commodità che un poco di sodisfazione d’animo d’avere battuto Mastino, perché i Viniziani, come fanno tutti quelli che con i meno potenti si collegono, poi che ebbono guadagnato Trevigi e Vicenza, senza avere a’ Fiorentini rispetto, si accordorono. Ma avendo poco di poi i Visconti, signori di Milano, tolto Parma a Mastino, e giudicando egli per questo non potere più tenere Lucca, deliberò di venderla. I competitori erano i Fiorentini e i Pisani; e nello strignere le pratiche, i Pisani vedevano che i Fiorentini, come più ricchi, erano per ottenerla, e per ciò si volsono alla forza, e con lo aiuto de’ Visconti vi andorono a campo. I Fiorentini per questo non si ritirorono indietro dalla compera, ma fermorono con Mastino i patti, pagorono parte de’ denari e d’un’altra parte dierono statichi, e a prendere la possessione Naddo Rucellai, Giovanni di Bernardino de’ Medici e Rosso di Ricciardo de’ Ricci vi mandorono, i quali passorono in Lucca per forza, e dalle genti di Mastino fu quella città consegnata loro. I Pisani non di meno seguitorono la loro impresa, e con ogni industria di averla per forza cercavano, e i Fiorentini dallo assedio liberare la volevono; e dopo una lunga guerra ne furono i Fiorentini, con perdita di denari e acquisto di vergogna, cacciati, e i Pisani ne diventorono signori. La perdita di questa città, come in simili casi avviene sempre, fece il popolo di Firenze contro a quelli che governavano sdegnare; e in tutti i luoghi e per tutte le piazze publicamente gli infamavano accusando la avarizia e i cattivi consigli loro. Erasi, nel principio di questa guerra, data autorità a venti cittadini di amministrarla, i quali messer Malatesta da Rimini per capitano della impresa eletto avevano. Costui con poco animo e meno prudenza la aveva governata; e perché eglino avevano mandato a Ruberto re di Napoli per aiuti, quel re aveva mandato loro Gualtieri duca di Atene, il quale, come vollono i cieli che al male futuro le cose preparavano, arrivò in Firenze in quel tempo appunto che la impresa di Lucca era al tutto perduta. Onde che quelli venti, veggendo sdegnato il popolo, pensorono, con eleggere nuovo capitano, quello di nuova speranza riempiere, e con tale elezione, o frenare, o torre le cagioni del calunniargli; e perché ancora avesse cagione di temere e il duca di Atene gli potesse con più autorità difendere, prima per conservadore, di poi per capitano delle loro genti d’arme lo elessono. I Grandi, i quali, per le cagioni dette di sopra, vivevono mal contenti, e avendo molti di loro conoscenza con Gualtieri, quando altre volte in nome di Carlo duca di Calavria aveva governato Firenze, pensorono che fusse venuto tempo da potere, con la rovina della città, spegnere lo incendio loro; giudicando non avere altro modo a domare quel popolo che gli aveva afflitti, che ridursi sotto un principe, il quale, conosciuta la virtù dell’una parte e la insolenzia dell’altra, frenasse l’una, e l’altra remunerasse: a che aggiugnevono la speranza del bene che ne porgevono i meriti loro, quando per loro opera egli acquistasse il principato. Furono per tanto in secreto più volte seco, e lo persuasono a pigliare la signoria del tutto, offerendogli quelli aiuti potevono maggiori. Alla autorità e conforti di costoro si aggiunse quella di alcune famiglie popolane; le quali furono Peruzzi, Acciaiuoli, Antellesi e Buonaccorsi; i quali, gravati di debiti, non potendo del loro, desideravano di quello d’altri ai loro debiti sodisfare, e con la servitù della patria dalla servitù de’ loro creditori liberarsi. Queste persuasioni accesono lo ambizioso animo del Duca di maggiore desiderio del dominare; e per darsi riputazione di severo e di giusto, e per questa via accrescersi grazia nella plebe, quelli che avevano amministrata la guerra di Lucca perseguitava, e a messer Giovanni de’ Medici, Naddo Rucellai e Guglielmo Altoviti tolse la vita, e molti in esilio, e molti in denari ne condannò.