Istorie fiorentine/Libro secondo/Capitolo 22

Libro secondo

Capitolo 22

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Il Legato, tornato a Roma e uditi i nuovi scandoli seguiti in Firenze, persuase al Papa che, se voleva unire Firenze, gli era necessario fare a sé venire dodici cittadini de’ primi di quella città; donde poi, levato che fusse il nutrimento al male, si poteva facilmente pensare di spegnerlo. Questo consiglio fu da il Pontefice accettato; e i cittadini chiamati ubbidirono; intra i quali fu messer Corso Donati. Dopo la partita de’ quali, fece il Legato a’ fuori usciti intendere come allora era il tempo, che Firenze era privo de’ suoi capi, di ritornarvi: in modo che gli usciti, fatto loro sforzo vennono a Firenze, e nella città per le mura ancora non fornite entrarono, e infino alla piazza di San Giovanni transcorsono. Fu cosa notabile che coloro i quali poco davanti avevano per il ritorno loro combattuto, quando disarmati pregavano di essere alla patria restituiti, poi che gli viddono armati, e volere per forza occupare la città, presono l’armi contro a di loro (tanto fu più da quelli cittadini stimata la comune utilità che la privata amicizia) e unitisi con tutto il popolo, a tornarsi donde erano venuti gli forzorono. Perderono costoro la impresa per avere lasciate parte delle genti loro alla Lastra, e per non avere aspettato messer Tolosetto Uberti, il quale doveva venire da Pistoia con trecento cavagli; perché stimavano che la celerità più che le forze avesse a dare loro la vittoria: e così spesso in simili imprese interviene che la tardità ti toglie la occasione, e la celerità le forze. Partiti i ribelli, si tornò Firenze nelle antiche sue divisioni; e per torre autorità alla famiglia de’ Cavalcanti, gli tolse il popolo per forza le Stinche, castello posto in Val di Grieve e anticamente stato di quella; e perché quelli che dentro vi furono presi furono i primi che fussero posti nelle carcere di nuovo edificate, si chiamò di poi quel luogo, dal castello donde venivano, e ancora si chiama, le Stinche. Rinnovorono ancora, quelli che erano i primi nella republica, le Compagnie del popolo, e dettono loro le insegne, ché prima sotto quelle delle Arti si ragunavano; e i capi Gonfalonieri delle compagnie e Collegi de’ Signori si chiamorono, e vollono che, negli scandoli con le armi e nella pace con il consiglio, la Signoria aiutassero; aggiunsono ai duoi rettori antichi uno esecutore, il quale, insieme con i gonfalonieri, doveva contro alla insolenzia de’ Grandi procedere. In questo mezzo era morto il Papa, e messer Corso e gli altri cittadini erano tornati da Roma; e sarebbesi vivuto quietamente, se la città dallo animo inquieto di messer Corso non fusse stata di nuovo perturbata. Aveva costui, per darsi reputazione, sempre opinione contraria ai più potenti tenuta; e dove ei vedeva inclinare il popolo, quivi, per farselo più benivolo, la sua autorità voltava, in modo che di tutti i dispareri e novità era capo, e a lui rifuggivono tutti quelli che alcuna cosa estraordinaria di ottenere desideravano: tale che molti reputati cittadini lo odiavano; e vedevasi crescere in modo questo odio, che la parte de’ Neri veniva in aperta divisione, perché messer Corso delle forze e autorità private si valeva, e gli avversarii dello stato; ma tanta era l’autorità che la persona sua seco portava, che ciascuno lo temeva. Pure nondimeno per torgli il favore popolare, il quale per questa via si può facilmente spegnere, disseminorono che voleva occupare la tirannide: il che era a persuadere facile, perché il suo modo di vivere ogni civile misura trapassava. La quale opinione assai crebbe poi che gli ebbe tolta per moglie una figliuola di Uguccione della Faggiuola, capo di parte ghibellina e bianca e in Toscana potentissimo.