Istorie fiorentine/Libro secondo/Capitolo 21

Libro secondo

Capitolo 21

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Vivevasi in Firenze, dopo la partita di Carlo, assai quietamente: solo messer Corso era inquieto, perché non gli pareva tenere nella città quel grado quale credeva convenirsegli; anzi, sendo il governo popolare, vedeva la repubblica essere amministrata da molti inferiori a lui. Mosso per tanto da queste passioni, pensò di adonestare con una onesta cagione la disonestà dello animo suo; e calunniava molti cittadini i quali avevano amministrati danari publici, come se gli avessero usati ne’ privati commodi; e che gli era bene ritrovargli e punirgli. Questa sua opinione da molti, che avevano il medesimo desiderio che quello, era seguita; a che si aggiugneva la ignoranzia di molti altri, i quali credevano messer Corso per amore della patria muoversi. Dall’altra parte i cittadini calunniati, avendo favore nel popolo, si difendevano; e tanto transcorse questo disparere, che, dopo ai modi civili, si venne alle armi. Dall’una parte era messer Corso e messer Lottieri vescovo di Firenze, con molti Grandi e alcuni popolani; dall’altra erano i Signori, con la maggiore parte del popolo: tanto che in più parti della città si combatteva. I Signori, veduto il pericolo grande nel quale erano, mandorono per aiuto ai Lucchesi; e subito fu in Firenze tutto il popolo di Lucca; per l’autorità del quale si composono per allora le cose e si fermorono i tumulti; e rimase il popolo nello stato e libertà sua, sanza altrimenti punire i motori dello scandolo. Aveva il Papa inteso i tumulti di Firenze, e per fermargli vi mandò messer Niccolao da Prato suo legato. Costui, sendo uomo, per grado, dottrina e costumi, di grande riputazione, acquistò subito tanta fede che si fece dare autorità di potere uno stato a suo modo fermare; e perché era di nazione ghibellino, aveva in animo ripatriare gli usciti; ma volse prima guadagnarsi il popolo; e per questo rinnovò le antiche Compagnie del popolo; il quale ordine accrebbe assai la potenza di quello, e quella de’ Grandi abbassò. Parendo per tanto al Legato aversi obligata la moltitudine, disegnò di fare tornare i fuori usciti, e nel tentare varie vie, non solamente non gliene successe alcuna, ma venne in modo a sospetto a quelli che reggevano, che fu costretto a partirsi; e pieno di sdegno se ne tornò al Pontefice, e lasciò Firenze piena di confusione e interdetta. E non solo quella città da uno umore ma da molti era perturbata, sendo in essa le inimicizie del popolo e de’ Grandi, de’ Ghibellini e Guelfi, de’ Bianchi e Neri. Era adunque tutta la città in arme e piena di zuffe; perché molti erano per la partita del Legato mal contenti, sendo desiderosi che i fuori usciti tornassero. E i primi di quelli che movieno lo scandolo erano i Medici e i Giugni, i quali in favore de’ ribelli si erano con il Legato scoperti: combattevasi per tanto in più parti in Firenze. Ai quali mali si aggiunse un fuoco, il quale si appiccò prima da Orto San Michele, nelle case degli Abati; di quivi saltò in quelle de’ Capo in sacchi, e arse quelle con le case de’ Macci, degli Amieri, Toschi, Cipriani, Lamberti, Cavalcanti e tutto Mercato nuovo; passò di quivi in Porta Santa Maria, e quella arse tutta, e girando dal Ponte Vecchio, arse le case de’ Gherardini, Pulci, Amidei e Lucardesi, e con queste tante altre che il numero di quelle a mille settecento o più aggiunse.Questo fuoco fu opinione di molti che a caso, nello ardore della zuffa, si appiccasse: alcuni altri affermano che da Neri Abati priore di San Piero Scheraggio, uomo dissoluto e vago di male, fusse acceso; il quale, veggendo il popolo occupato a combattere, pensò di poter fare una sceleratezza alla quale gli uomini, per essere occupati, non potessero rimediare; e perché gli riuscisse meglio, misse fuoco in casa i suoi consorti, dove aveva più commodità di farlo. Era lo anno 1304 e del mese di luglio, quando Firenze dal fuoco e da il ferro era perturbata. Messer Corso Donati solo, intra tanti tumulti, non si armò; perché giudicava più facilmente diventare arbitro di ambedue le parti, quando, stracche nella zuffa, agli accordi si volgessero. Posoronsi non di meno le armi, più per sazietà del male che per unione che infra loro nascesse: solo ne seguì che i rebelli non tornorono, e la parte che gli favoriva rimase inferiore.