Rimase per tanto in Firenze l’una e l’altra parte, e ciascuna malcontenta: i Neri, per vedersi la parte nimica appresso, temevano che la non ripigliasse, con la loro rovina, la perduta autorità e i Bianchi si vedevano mancare della autorità e onori loro. A’ quali sdegni e naturali sospetti s’aggiunsono nuove ingiurie. Andava messer Niccola de’ Cerchi con più suoi amici alle sue possessioni, e arrivato al Ponte ad Affrico, fu da Simone di messer Corso Donati assaltato. La zuffa fu grande, e da ogni parte ebbe lacrimoso fine, perché messer Niccola fu morto e Simone in modo ferito che la seguente notte morì. Questo caso perturbò di nuovo tutta la città; e benché la parte nera vi avesse più colpa, nondimeno era da chi governava difesa. E non essendo ancora datone giudizio, si scoperse una congiura tenuta dai Bianchi con messer Piero Ferrante barone di Carlo, con il quale praticavano di essere rimessi al governo; la qual cosa venne a luce per lettere scritte dai Cerchi a quello, non ostante che fusse opinione le lettere essere false e dai Donati trovate per nascondere la infamia la quale per la morte di messer Niccola si avevono acquistata. Furono per tanto confinati tutti i Cerchi e i loro seguaci di parte bianca, intra i quali fu Dante poeta, e i loro beni publicati e le loro case disfatte. Sparsonsi costoro, con molti Ghibellini che si erano con loro accostati, per molti luoghi, cercando con nuovi travagli nuova fortuna; e Carlo, avendo fatto quello per che venne a Firenze, si parti, e ritornò al Papa per seguire la impresa sua di Sicilia: nella quale non fu più savio né migliore che si fusse stato in Firenze; tanto che vituperato, con perdita di molti suoi, tornò in Francia.