Istorie fiorentine/Libro secondo/Capitolo 10

Libro secondo

Capitolo 10

../Capitolo 9 ../Capitolo 11 IncludiIntestazione 31 agosto 2009 75% Storia

Libro secondo - Capitolo 9 Libro secondo - Capitolo 11

Partiti i Ghibellini, riordinorono i Fiorentini lo stato della città; ed elessono dodici capi, i quali sedessero in magistrato duoi mesi, i quali non chiamorono Anziani, ma Buoni uomini; apresso a questi uno consiglio di ottanta cittadini, il quale chiamavano la Credenza; dopo questo erano cento ottanta popolani, trenta per sesto, i quali, con la Credenza e dodici Buoni uomini, si chiamavano il Consiglio generale. Ordinorono ancora un altro consiglio di cento venti cittadini, popolani e nobili, per il quale si dava perfezione a tutte le cose negli altri consigli deliberate; e con quello distribuivono gli uffici della repubblica. Fermato questo governo, fortificorono ancora la parte guelfa con magistrati e altri ordini, acciò che con maggiori forze si potessero dai Ghibellini difendere, i beni de’ quali in tre parti divisono, delle quali l’una publicorono, l’altra al magistrato della Parte, chiamato i Capitani, la terza a’ Guelfi, per ricompenso de’ danni ricevuti, assegnorono. Il Papa ancora, per mantenere la Toscana guelfa, fece il re Carlo vicario imperiale di Toscana. Mantenendo adunque i Fiorentini, per virtù di questo nuovo governo, dentro con le leggi e fuora con le armi, la reputazione loro, morì il Pontefice; e dopo una lunga disputa, passati duoi anni, fu eletto papa Gregorio X. Il quale, per essere stato lungo tempo in Sorìa, ed esservi ancora nel tempo della sua elezione, e discosto da gli umori delle parti, non stimava quelle nel modo che dagli suoi antecessori erano state stimate. E per ciò, sendo venuto in Firenze per andare in Francia, stimò che fusse ufficio di uno ottimo pastore riunire la città; e operò tanto che i Fiorentini furono contenti ricevere i sindachi de’ Ghibellini in Firenze per praticare il modo del ritorno loro; e benché lo accordo si concludesse, furono in modo i Ghibellini spaventati, che non vollono tornare. Di che il Papa dette la colpa alla città, e, sdegnato, scomunicò quella; nella quale contumacia stette quanto visse il Pontefice; ma dopo la sua morte fu da papa Innocenzio V ribenedetta. Era venuto il pontificato in Niccolò III, nato di casa Orsina; e perché i pontefici temevano sempre colui la cui potenzia era diventata grande in Italia, ancora che la fussi con i favori della Chiesa cresciuta, e perché ei cercavano di abbassarla, ne nascevano gli spessi tumulti e le spesse variazioni che in quella seguivono; perché la paura di uno potente faceva crescere uno debile; e cresciuto ch’egli era, temere, e temuto, cercare di abbassarlo: questo fece trarre il Regno di mano a Manfredi e concederlo a Carlo; questo fece di poi avere paura di lui, e cercare la rovina sua. Niccolao III per tanto, mosso da queste cagioni, operò tanto che a Carlo, per mezzo dello Imperadore, fu tolto il governo di Toscana, e in quella provincia mandò, sotto nome dello Imperio, messer Latino suo legato.