Mentre che le cose del Borgo si travagliavano, si intese Niccolò Piccino essere ito verso Roma; e altri avvisi dicevano verso la Marca; donde parve al Legato e alle genti sforzesche di andare verso Perugia, per suvvenire o alla Marca o a Roma, dove Niccolò si fusse volto; e con quelle andasse Bernardo de Medici; e Neri con le genti fiorentine ne andassi allo acquisto del Casentino. Fatta questa deliberazione Neri ne andò a campo a Rassina, e quella prese, e con il medesimo impeto prese Bibbiena, Prato Vecchio e Romena, e di quivi pose il campo a Poppi, e da due parti lo cinse: una nel piano di Certomondo, l’altra sopra il colle che passa a Fronzoli. Quel Conte, vedutosi abbandonato da Dio e dagli uomini, si era rinchiuso in Poppi, non perché gli sperasse di potere avere alcuno aiuto, ma per fare l’accordo, se poteva, meno dannoso. Stringendolo pertanto Neri, egli adimandò patti; e trovolli tali quali in quel tempo ei poteva sperare: di salvare sé, suoi figliuoli e cose che ne poteva portare; e la terra e lo stato cedere ai Fiorentini. E quando e’ capitulorono, discese sopra il ponte di Arno, che passa a piè della terra, e tutto doloroso e afflitto disse a Neri: - Se io avesse bene misurato la fortuna mia e la potenza vostra, io verrei ora amico a rallegrarmi con voi della vostra vittoria, non nimico a supplicarvi che fusse meno grave la mia rovina. La presente sorte, come la è a voi magnifica e lieta, così è a me dolente e misera. Io ebbi cavagli, arme, sudditi, stato e ricchezze: che maraviglia è se mal volentieri le lascio? Ma se voi volete e potete comandare a tutta la Toscana, di necessità conviene che noi altri vi ubbidiamo; e se io non avesse fatto questo errore, la mia fortuna non sarebbe stata cognosciuta, e la vostra liberalità non si potrebbe conoscere; perché, se voi mi conserverete, darete al mondo uno eterno esemplo della vostra clemenzia. Vinca per tanto la pietà vostra il fallo mio; lasciate almeno questa sola casa al disceso di coloro da’ quali i padri vostri hanno innumerabili benifici ricevuti -. il quale Neri rispose come lo avere sperato troppo in quelli che potevono poco lo aveva fatto in modo contro alla republica di Firenze errare, che, aggiuntovi le condizioni de’ presenti tempi, era necessario cedesse tutte le cose sue, e quelli luoghi nimico a’ Fiorentini abbandonasse, che loro amico non aveva voluti tenere: perché gli aveva dato di sé tale esemplo che non poteva essere nutrito dove, in ogni variazione di fortuna, e’ potesse a quella republica nuocere; perché non lui, ma gli stati suoi si temevano; ma che se nella Magna e’ potessi essere principe, quella città lo desiderrebbe, e per amore di quelli suoi antichi che gli allegava, lo favorirebbe. A questo il Conte, tutto sdegnato, rispose che vorrebbe i Fiorentini molto più discosto vedere. E così, lasciato ogni amorevole ragionamento, il Conte, non veggendo altro rimedio, cedé la terra e tutte le sue ragioni a’ Fiorentini; e con tutte le sue robbe, insieme con la moglie e co’ figliuoli, piangendo si partì; dolendosi di avere perduto uno stato che i suoi padri per novecento anni avevono posseduto. Queste vittorie tutte, come s’intesono a Firenze, furono da i principi del governo e da quel populo con maravigliosa allegrezza ricevute. E perché Bernardetto de’ Medici trovò essere vano che Niccolò fusse ito verso la Marca o a Roma, se ne tornò con le genti dove era Neri; e insieme tornati a Firenze, fu loro deliberati tutti quelli onori e quali, secondo l’ordine della città, a loro vittoriosi cittadini si possono deliberare maggiori; e da i Signori e da’ Capitani di parte, e di poi da tutta la città, furono ad uso di trionfanti ricevuti.