Istorie fiorentine/Libro quinto/Capitolo 3

Libro quinto

Capitolo 3

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Questa guerra, spenta a Roma, fu da Batista da Canneto in Romagna raccesa. Ammazzò costui in Bologna, alcuni della famiglia de’ Grifoni, e il governatore per il Papa con altri suoi nimici cacciò della città; e per tenere con violenza quello stato, ricorse per aiuti a Filippo; e il Papa, per vendicarsi della ingiuria, gli domandò a’ Viniziani e a’ Fiorentini. Furono l’uno e l’altro di costoro suvvenuti, tanto che subito si trovorono in Romagna duoi grossi eserciti. Di Filippo era capitano Niccolò Piccino; le genti viniziane e fiorentine da Gattamelata e da Niccolò da Tolentino erano governate; e propinque a Imola vennono a giornata; nella quale i Viniziani e Fiorentini furono rotti, e Niccolò da Tolentino mandato prigione al Duca; il quale, o per fraude di quello, o per dolore del ricevuto danno, in pochi giorni morì. Il Duca, dopo questa vittoria, o per essere debole per le passate guerre, o per credere che la lega, avuta questa rotta, posasse, non seguì altrimenti la fortuna, e dette tempo al Papa e i collegati di nuovo ad unirsi. I quali elessono per loro capitano il conte Francesco, e feciono impresa di cacciare Niccolò Fortebraccio delle terre della Chiesa, per vedere se potevono ultimare quella guerra che in favore del Pontefice avevono cominciata. I Romani, come e’ viddono il Papa gagliardo in su e campi, cercorono di aver seco accordo; e trovoronlo, e riceverono un suo commissario. Possedeva Niccolò Fortebraccio, intra le altre terre, Tiboli, Montefiasconi, Città di Castello e Ascesi. In questa terra, non potendo Niccolò stare in campagna, s’era rifuggito, dove il Conte lo assediò, e andando la obsidione in lunga, perché Niccolò virilmente si difendeva, parve al Duca necessario o impedire alla lega quella vittoria, o ordinarsi, dopo quella, a difendere le cose sua. Volendo per tanto divertire il Conte dallo assedio, comandò a Niccolò Piccino che per la via di Romagna passasse in Toscana; in modo che la lega, giudicando essere più necessario difendere la Toscana che occupare Ascesi, ordinò al Conte proibissi a Niccolò il passo; il quale era di già, con lo esercito suo, a Furlì. Il Conte dall’altra parte mosse con le sue genti e ne venne a Cesena, avendo lasciato a Lione suo fratello la guerra della Marca e la cura degli stati suoi. E mentre che Piccinino cercava di passare, e il Conte di impedirlo, Niccolò Fortebraccio assaltò Lione, e con grande sua gloria prese quello, e le sue genti saccheggiò; e seguitando la vittoria, occupò, con il medesimo impeto, molte terre della Marca. Questo fatto contristò assai il Conte, pensando essere perduti tutti gli stati suoi, e lasciato parte dello esercito allo incontro di Piccinino, con il restante ne andò alla volta del Fortebraccio, e quello combatté e vinse; nella qual rotta Fortebraccio rimase prigione e ferito; della quale ferita morì. Questa vittoria restituì al Pontefice tutte le terre che da Niccolò Fortebraccio gli erano state tolte, e ridusse il duca di Milano a domandare pace, la quale per il mezzo di Niccolò da Esti marchese di Ferrara si concluse. Nella quale le terre occupate in Romagna dal Duca si restituirono alla Chiesa, e le genti del Duca si ritornorono in Lombardia, e Battista da Canneto, come interviene a tutti quelli che per forze e virtù d’altri si mantengono in uno stato, partite che furono le genti del Duca di Romagna, non potendo le forze e virtù sue tenerlo in Bologna, se ne fuggì; dove messer Antonio Bentivoglio, capo della parte avversa, ritornò.