Istorie fiorentine/Libro quinto/Capitolo 11

Libro quinto

Capitolo 11

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Di aprile per tanto, nel 1437, il Conte mosse lo esercito, e prima che i Fiorentini volessino assalire altri, vollono recuperare il loro; e ripresono Santa Maria in Castello e ogni altro luogo occupato da Piccinino. Di poi, voltisi sopra il paese di Lucca, assalirono Camaiore; gli uomini della quale, benché fedeli a’ suoi signori, potendo in loro più la paura del nimico apresso che la fede dello amico discosto, si arrenderono. Presonsi con la medesima reputazione Massa e Serezana. Le quali cose fatte, circa il fine di maggio, il campo tornò verso Lucca, e le biade tutte e i grani guastorono, arsono le ville, tagliorono le viti e gli arbori, predorono il bestiame, né a cosa alcuna che fare contro a nimici si suole o puote perdonorono. I Lucchesi dall’altra parte, veggendosi da il Duca abbandonati, disperati di potere difendere il paese, lo avieno abbandonato; e con ripari e ogni altro opportuno rimedio affortificorono la città, della quale non dubitavano per averla piena di defensori e poterla un tempo difendere, nel quale speravano, mossi dallo esemplo delle altre imprese che i Fiorentini avevano contro a di loro fatte. Solo temevono i mobili animi della plebe, la quale, infastidita dallo assedio, non stimassi più i pericoli propri che la libertà d’altri, e gli forzasse a qualche vituperoso e dannoso accordo. Onde che, per accenderla alla difesa, la ragunorono in piazza, e uno de’ più antichi e de’ più savi parlò in questa sentenza: - Voi dovete sempre avere inteso che delle cose fatte per necessità non se ne debbe né puote loda o biasimo meritare. Per tanto, se voi ci accusassi, credendo che questa guerra che ora vi fanno i Fiorentini noi ce la avessimo guadagnata avendo ricevute in casa le genti del Duca e permesso che le gli assalissero, voi di gran lunga vi inganneresti. E’ vi è nota l’antica nimicizia del popolo fiorentino verso di voi, la quale, non le vostre ingiurie, non la paura loro ha causata, ma sì bene la debolezza vostra e la ambizione loro; perché l’una dà loro speranza di potervi opprimere, l’altra gli spigne a farlo. Né crediate che alcuno merito vostro gli possa da tale desiderio rimuovere, né alcuna vostra offesa gli possa ad ingiuriarvi più accendere. Eglino per tanto hanno a pensare di torvi la libertà, voi di difenderla; e delle cose che quelli e noi a questo fine facciamo ciascuno se ne può dolere e non maravigliare. Doliamoci per tanto che ci assaltino che ci espugnino le terre, che ci ardino le case e guastino il paese; ma chi è di noi sì sciocco che se ne maravigli? perché, se noi potessimo, noi faremmo loro il simile o peggio. E s’eglino hanno mossa questa guerra per la venuta di Niccolò, quando bene e’ non fusse venuto, l’arebbono mossa per un’altra cagione; e se questo male si fusse differito, e’ sarebbe forse stato maggiore. Sì che questa venuta non si debba accusare, ma più tosto la cattiva sorte nostra e l’ambiziosa natura loro; ancora che noi non possavamo negare al Duca di non ricevere le sue genti e, venute che le erano, non possavamo tenerle che le non facessino la guerra. Voi sapete che sanza lo aiuto di uno potente noi non ci possiamo salvare, né ci è potenza che con più fede o con più forza ci possa difendere che il Duca: egli ci ha renduta la libertà, egli è ragionevole che ce la mantenga; egli a’ perpetui nimici nostri è stato sempre nimicissimo. Se adunque, per non ingiuriare i Fiorentini, noi avessimo fatto sdegnare il Duca, aremmo perduto lo amico e fatto il nimico più potente e più pronto alla nostra offesa. Sì che gli è molto meglio avere questa guerra con lo amore del Duca, che, con l’odio, la pace; e dobbiamo sperare che ci abbi a trarre di quelli pericoli ne’ quali ci ha messo, pure che noi non ci abbandoniamo. Voi sapete con quanta rabbia i Fiorentini più volte ci abbino assaltati, e con quanta gloria noi ci siamo difesi da loro: e molte volte non abbiamo avuto altra speranza che in Dio e nel tempo; e l’uno e l’altro ci ha conservati. E se allora ci difendemmo, qual cagione è che ora noi non ci dobbiamo defendere? Allora tutta Italia ci aveva loro lasciati in preda; ora abbiamo il Duca per noi, e dobbiamo credere che i Viniziani saranno lenti alle nostre offese, come quelli ai quali dispiace che la potenza de’ Fiorentini accresca. L’altra volta i Fiorentini erano più sciolti, e avieno più speranza di aiuti, e per loro medesimi erano più potenti; e noi savamo in ogni parte più deboli, perché allora noi defendavamo uno tiranno ora difendiamo noi; allora la gloria della difesa era di altri, ora è nostra; allora questi ci assaltavano uniti, ora disuniti ci assaltano, avendo piena di loro rebegli tutta Italia. Ma quando queste speranze non ci fussino, ci debbe fare ostinati alle difese una ultima necessità. Ogni nimico debbe essere da voi ragionevolmente temuto, perché tutti vorranno la gloria loro e la rovina vostra; ma sopra tutti gli altri ci debbono i Fiorentini spaventare, perché a loro non basterebbe la ubbidienza e i tributi nostri con lo imperio di questa nostra città, ma vorrebbono le persone e le sustanze nostre, per potere con il sangue la loro crudeltà, e con la roba la loro avarizia saziare: in modo che ciascheduno, di qualunque sorte, gli debbe temere. E però non vi muovino vedere guastati i vostri campi, arse le vostre ville, occupate le vostre terre; perché, se noi salviamo questa città, quelle di necessità si salveranno; se noi la perdiamo, quelle sanza nostra utilità si sarebbono salvate; perché, mantenendoci liberi, le può con difficultà il nimico nostro possedere; perdendo la libertà, noi invano le possederemmo. Pigliate adunque le armi, e quando voi combattete, pensate il premio della vittoria vostra essere la salute, non solo della patria, ma delle case e de’ figliuoli vostri -. Furono l’ultime parole di costui da quel popolo con grandissima caldezza d’animo ricevute, e unitamente ciascuno promisse morire prima che abbandonarsi o pensare ad accordo che in alcuna parte maculasse la loro libertà. E ordinorono infra loro tutte quelle cose che sono per difendere una città necessarie.