Filippo, vedendo che i Fiorentini volevono occupare quelle cose che egli aveva prese a difendere, posti da parte i rispetti, mandò Agnolo della Pergola con gente grossa ad Imola, acciò che quel Signore, avendo a pensare di difendere il suo, alla tutela del nipote non pensasse. Arrivato per tanto Agnolo propinquo ad Imola, sendo ancora le genti de’ Fiorentini a Modigliana, e sendo il freddo grande e per quello diacciati i fossi della città, una notte, di furto, prese la terra, e Lodovico ne mandò prigione a Milano. I Fiorentini, veduta perduta Imola e la guerra scoperta, mandorono le loro genti a Furlì, le quali posero l’assedio a quella città e da ogni parte la strignevano. E perché le genti del Duca non potessero, unite, soccorrerla, avevono soldato il conte Alberigo il quale da Zagonara, sua terra, scorreva ciascuno dì infino in su le porte di Imola. Agnolo della Pergola vedeva di non potere securamente soccorrere Furlì per il forte alloggiamento che avevano le nostre genti preso, però pensò di andare alla espugnazione di Zagonara, giudicando che i Fiorentini non fussero per lasciare perdere quel luogo; e volendo soccorrere, conveniva loro abbandonare la impresa di Furlì e venire con disavantaggio alla giornata. Constrinsono adunque, le genti del Duca, Alberigo a domandare patti; i quali gli furono concessi, promettendo di dare la terra qualunque volta infra quindici giorni non fusse da i Fiorentini soccorso. Intesesi questo disordine nel campo de’ Fiorentini e nella città, e desiderando ciascuno che i nimici non avessero quella vittoria, feciono che ne ebbono una maggiore, perché, partito il campo da Furlì per soccorrere Zagonara, come venne allo scontro de’ nimici fu rotto, non tanto dalla virtù degli avversarii, quanto dalla malignità del tempo; perché, avendo i nostri camminato parecchi ore intra il fango altissimo e con l’acqua adosso, trovorono i nimici freschi, i quali facilmente gli poterono vincere. Non di meno in una tanta rotta, celebrata per tutta Italia, non morì altri che Lodovico degli Obizzi insieme con duoi altri suoi i quali, cascati da cavallo, affogorono nel fango.