In questo mezzo tutta la città era in arme, e Lorenzo de’ Medici da molti armati accompagnato, s’era nelle sue case ridutto: il Palagio dal popolo era stato ricuperato, e gli occupatori di quello tutti fra presi e morti. Già per tutta la città si gridava il nome de’ Medici, e le membra de’ morti, o sopra le punte delle armi fitte, o per la città strascinate si vedevano; e ciascheduno, con parole piene d’ira e con fatti pieni di crudeltà, i Pazzi perseguitava. Già erano le loro case dal popolo occupate; e Francesco, così ignudo, fu di casa tratto, e al Palagio condotto, fu a canto all’Arcivescovo e agli altri appiccato. Né fu possibile, per ingiuria che per il cammino o poi gli fusse fatta o detta, farli parlare alcuna cosa; ma guardando altrui fiso, sanza dolersi altrimenti, tacito sospirava. Guglielmo de’ Pazzi, di Lorenzo cognato, nelle case di quello, e per la innocenza sua e per lo aiuto della Bianca sua moglie, si salvò. Non fu cittadino che, armato o disarmato, non andasse alle case di Lorenzo in quella necessità; e ciascheduno sé e le sustanze sue gli offeriva: tanta era la fortuna e la grazia che quella casa, per la sua prudenza e liberalità, si aveva acquistata. Rinato de’ Pazzi s’era, quando il caso seguì nella sua villa ritirato, donde, intendendo la cosa, si volle, travestito, fuggire: non di meno fu per il cammino cognosciuto, e preso, e a Firenze condotto. Fu ancora preso messer Iacopo nel passare l’alpi, perché, inteso da quegli alpigiani il caso seguito a Firenze e veduta la fuga di quello, fu da loro assalito e a Firenze menato: né potette ancora che più volte ne gli pregasse impetrare di essere da loro per il cammino ammazzato. Furono messer Iacopo e Rinato giudicati a morte, dopo quattro giorni che il caso era seguito, e infra tante morti che in quelli giorni erano state fatte, che avevono piene di membra di uomini le vie, non ne fu con misericordia altra che questa di Rinato riguardata, per essere tenuto uomo savio e buono, né di quella superbia notato, che gli altri di quella famiglia accusati erano. E perché questo caso non mancasse di alcuno estraordinario esemplo, fu messer Iacopo prima nella sepultura de’ suoi maggiori sepulto; di poi, di quivi, come scomunicato, tratto, fu lungo le mura della città sotterrato; e di quindi ancora cavato, per il capresto con il quale era stato morto, fu per tutta la città ignudo strascinato; e da poi che in terra non aveva trovato luogo alla sepultura sua, fu da quegli medesimi che strascinato l’avevono, nel fiume d’Arno, che allora aveva le sue acque altissime gittato. Esemplo veramente grandissimo di fortuna, vedere uno uomo da tante ricchezze e da sì felicissimo stato, in tanta infelicità, con tanta rovina e con tale vilipendio cadere! Narronsi de’ suoi alcuni vizi, intra i quali erano giuochi e bestemmie più che a qualunche perduto uomo non si converrebbe; quali vizi con le molte elimosine ricompensava, perché a molti bisognosi e luoghi pii largamente suvveniva. Puossi ancora, di quello, dire questo bene, che il sabato davanti a quella domenica deputata a tanto omicidio, per non fare partecipe dell’avversa sua fortuna alcuno altro, tutti i suoi debiti pagò, e tutte le mercatanzie che gli aveva in dogana e in casa, le quali ad alcuni appartenessero, con maravigliosa sollecitudine a’ padroni di quelle consegnò. Fu a Giovan Batista da Montesecco, dopo una lunga esamine fatta di lui, tagliata la testa; Napoleone Franzesi con la fuga fuggì il supplizio; Guglielmo de’ Pazzi fu confinato, e i suoi cugini che erano rimasi vivi, nel fondo della rocca di Volterra in carcere posti. Fermi tutti i tumulti, e puniti i congiurati, si celebrorono le esequie di Giuliano; il quale fu con le lagrime da tutti i cittadini accompagnato, perché in quello era tanta liberalità e umanità quanta in alcuno altro in tale fortuna nato si potesse desiderare. Rimase di lui uno figliuolo naturale, il quale dopo a pochi mesi che fu morto nacque, e fu chiamato Giulio; il quale fu di quella virtù e fortuna ripieno, che in questi presenti tempi tutto il mondo cognosce, e che da noi, quando alle presenti cose perverremo, concedendone Iddio vita, sarà largamente dimostro. Le genti che sotto messer Lorenzo da Castello in Val di Tevere, e quelle che sotto Giovan Francesco da Talentino in Romagna erano, insieme, per dare favore a’ Pazzi s’erano mosse per venire a Firenze; ma poi ch’eglino intesero la rovina della impresa, si tornorono indietro.