Francesco de’ Pazzi intanto e Bernardo Bandini, veggendo Lorenzo campato, e uno di loro, in chi tutta la speranza della impresa era posta, gravemente ferito, si erono sbigottiti donde che Bernardo, pensando con quella franchezza d’animo alla sua salute, che gli aveva allo ingiuriare i Medici pensato, veduta la cosa perduta, salvo se ne fuggì. Francesco, tornatosene a casa ferito, provò se poteva reggersi a cavallo; perché l’ordine era di circuire con armati la terra e chiamare il popolo alla libertà e all’arme; e non potette: tanta era profonda la ferita, e tanto sangue aveva per quella perduto; onde che, spogliatosi, si gittò sopra il suo letto ignudo, e pregò messer Iacopo che quello da lui non si poteva fare facesse egli. Messer Iacopo, ancora che vecchio e in simili tumulti non pratico, per fare questa ultima esperienza della fortuna loro, salì a cavallo, con forse cento armati, suti prima per simile impresa preparati, e se n’andò alla piazza del Palagio, chiamando in suo aiuto il popolo e la libertà. Ma perché l’uno era dalla fortuna e liberalità de’ Medici fatto sordo, l’altra in Firenze non era cognosciuta, non gli fu risposto da alcuno. Solo i Signori, che la parte superiore del Palagio signoreggiavano, con i sassi lo salutorono, e con le minacce in quanto poterono lo sbigottirono. E stando messer Iacopo dubio, fu da Giovanni Serristori, suo cognato, incontrato; il quale prima lo riprese degli scandoli mossi da loro, di poi lo confortò a tornarsene a casa, affermandogli che il popolo e la libertà era a cuore agli altri cittadini come a lui. Privato adunque messer Iacopo d’ogni speranza, veggendosi il Palagio nimico, Lorenzo vivo, Francesco ferito, e da niuno seguitato, non sapiendo altro che farsi, deliberò di salvare, se poteva, con la fuga, la vita; e con quella compagnia che gli aveva seco in Piazza, si uscì di Firenze per andarne in Romagna.