Istorie fiorentine/Libro ottavo/Capitolo 10

Libro ottavo

Capitolo 10

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Ma non essendo seguita in Firenze la mutazione dello stato, come il Papa e il Re desideravano, deliberarono quello che non avevono potuto fare per congiure farlo per guerra; e l’uno e l’altro, con grandissima celerità, messe le sue genti insieme per assalire lo stato di Firenze, publicando non volere altro da quella città, se non che la rimovesse da sé Lorenzo de’ Medici, il quale solo di tutti i Fiorentini avieno per nimico. Avevano già le genti del Re passato il Tronto, e quelle del Papa erano nel Perugino; e perché, oltre alle temporali i Fiorentini ancora le spirituali ferite sentissero, gli scomunicò e maladisse. Onde che i Fiorentini, veggendosi venire contro tanti eserciti, si preparorono con ogni sollecitudine alle difese. E Lorenzo de’ Medici, innanzi ad ogni altra cosa, volle, poi che la guerra per fama era fatta a lui, ragunare in Palagio, con i Signori, tutti i qualificati cittadini, in numero di più di trecento; a’ quali parlò in questa sentenza: - Io non so, eccelsi Signori, e voi, magnifici cittadini, se io mi dolgo con voi delle seguite cose, o se io me ne rallegro. E veramente quando io penso con quanta fraude, con quanto odio io sia stato assalito e il mio fratello morto, io non posso fare non me ne contristi e con tutto il cuore e con tutta l’anima non me ne dolga. Quando io considero di poi con che prontezza, con che studio, con quale amore, con quanto unito consenso di tutta la città il mio fratello sia stato vendicato e io difeso, conviene, non solamente me ne rallegri, ma in tutto me stesso esalti e glorii. E veramente, se la esperienza mi ha fatto conoscere come io aveva in questa città più nimici che io non pensava, m’ha ancora dimostro come io ci aveva più ferventi e caldi amici che io non credeva. Son forzato, adunque, a dolermi con voi per le ingiurie d’altri, e rallegrarmi per i meriti vostri; ma son bene constretto a dolermi tanto più delle ingiurie, quanto le sono più rare, più senza esemplo e meno da noi meritate. Considerate, magnifici cittadini, dove la cattiva fortuna aveva condotta la casa nostra, che fra gli amici, fra i parenti, nella chiesa non era secura. Sogliono quelli che dubitano della morte ricorrere agli amici per aiuti, sogliono ricorrere a’ parenti; e noi gli trovavamo armati per la distruzione nostra: sogliono rifuggire nelle chiese tutti quegli che, per publica o per privata cagione, sono perseguitati. Adunque, da chi gli altri sono difesi, noi siamo morti; dove i parricidi, gli assassini sono sicuri, i Medici trovorono gli ucciditori loro. Ma Iddio, che mai per lo addietro non ha abbandonata la casa nostra, ha salvato ancora noi, e ha presa la defensione della giusta causa nostra. Perché quale ingiuria abbiamo noi fatta ad alcuno, che se ne meritasse tanto desiderio di vendetta? E veramente questi che ci si sono dimostri tanto nimici, mai privatamente non gli offendemmo; perché, se noi gli avessimo offesi, e’ non arebbono avuto commodità di offendere noi. S’eglino attribuiscono a noi le publiche ingiurie, quando alcuna ne fusse stata loro fatta, che non lo so, eglino offendono più voi che noi, più questo Palagio e la maestà di questo governo che la casa nostra, dimostrando che per nostra cagione voi ingiuriate immeritamente i cittadini vostri. Il che è discosto al tutto da ogni verità; perché noi quando avessimo potuto, e voi quando noi avessimo voluto, non lo aremmo fatto: perché chi ricercherà bene il vero troverrà la casa nostra non per altra cagione con tanto consenso essere stata sempre esaltata da voi, se non perché la si è sforzata, con la umanità, liberalità, con i beneficii, vincere ciascuno. Se noi abbiamo adunque onorati gli strani, come aremmo noi ingiuriati i parenti? Se si sono mossi a questo per desiderio di dominare, come dimostra lo occupare il Palagio, venire con gli armati in Piazza, quanto questa cagione sia brutta, ambiziosa e dannabile, da se stessa si scuopre e si condanna; se lo hanno fatto per odio e invidia avevano alla autorità nostra, eglino offendono voi, non noi, avendocela voi data. E veramente quelle autoritadi meritono di essere odiate che gli uomini si usurpano, non quelle che gli uomini per liberalità, umanità e munificenza si guadagnano. E voi sapete che mai la casa nostra salse a grado alcuno di grandezza, che da questo Palagio e dallo unito consenso vostro non vi fusse spinta: non tornò Cosimo mio avolo dallo esilio con le armi e per violenza, ma con il consenso e unione vostra, mio padre, vecchio e infermo, non difese già lui contro a tanti nimici lo stato, ma voi con l’autorità e benivolenza vostra lo difendesti; non arei io, dopo la morte di mio padre, sendo ancora, si può dire, un fanciullo, mantenuto il grado della casa mia, se non fussero stati i consigli e favori vostri; non arebbe potuto né potrebbe reggere la mia casa questa republica, se voi, insieme con lei, non l’avessi retta e reggesse. Non so io adunque qual cagione di odio si possa essere il loro contro di noi, o quale giusta cagione di invidia: portino odio agli loro antenati, i quali, con la superbia e con la avarizia, si hanno tolta quella reputazione che i nostri si hanno saputa, con studi a quegli contrari, guadagnare. Ma concediamo che le ingiurie fatte a loro da noi sieno grandi, e che meritamente eglino desiderassero la rovina nostra: perché venire ad offendere questo Palagio? perché fare lega con il Papa e con il Re contro alla libertà di questa republica? perché rompere la lunga pace di Italia? A questo non hanno eglino scusa alcuna; perché dovevono offendere chi offendeva loro, e non confundere le inimicizie private con le ingiurie publiche; il che fa che, spenti loro, il male nostro è più vivo, venendoci, alle loro cagioni, il Papa e il Re a trovare con le armi: la qual guerra affermano fare a me e alla casa mia. Il che Dio volessi che fusse il vero, perché i rimedi sarebbono presti e certi, né io sarei sì cattivo cittadino che io stimasse più la salute mia che i pericoli vostri; anzi volentieri spegnerei lo incendio vostro con la rovina mia. Ma perché sempre le ingiurie che i potenti fanno con qualche meno disonesto colore le ricuoprono, eglino hanno preso questo modo a ricoprire questa disonesta ingiuria loro. Pure non di meno, quando voi credessi altrimenti, io sono nelle braccia vostre: voi mi avete a reggere o lasciare; voi miei padri, voi miei defensori; e quanto da voi mi sarà commesso che io faccia, sempre farò volentieri; né ricuserò mai, quando così a voi paia, questa guerra con il sangue del mio fratello cominciata, di finirla col mio. - Non potevono i cittadini, mentre che Lorenzo parlava, tenere le lagrime; e con quella pietà che fu udito, gli fu da uno di quegli, a chi gli altri commissono, risposto; dicendogli che quella città ricognosceva tanti meriti da lui e dai suoi, che gli stesse di buono animo, ché con quella prontezza ch’eglino avevono vendicata del fratello la morte, e di lui conservata la vita, gli conserverebbono la reputazione e lo stato; né prima perderebbe quello, che loro la patria perdessero. E perché le opere corrispondessero alle parole, alla custodia del corpo suo di certo numero di armati publicamente providono, acciò che dalle domestiche insidie lo defendessero.