Istorie fiorentine/Libro ottavo/Capitolo 5

Libro ottavo

Capitolo 5

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Aveva il Papa tenuto nello Studio pisano a imparar lettere pontificie Raffaello de’ Riario, nipote del conte Girolamo; nel quale luogo ancora essendo, fu dal Papa alla dignità del cardinalato promosso. Parve per tanto a’ congiurati di condurre questo cardinale a Firenze, acciò che la sua venuta e la congiura ricoprisse, possendosi infra la sua famiglia quelli congiurati de’ quali avevono bisogno nascondere, e da quello prendere cagione di esequirla. Venne adunque il Cardinale, e fu da messere Iacopo de’ Pazzi a Montughi, sua villa propinqua a Firenze, ricevuto. Desideravano i congiurati di accozzare insieme, mediante costui, Lorenzo e Giuliano; e come prima questo occorresse, ammazzargli. Ordinorono per tanto convitassero il Cardinale nella villa loro di Fiesole, dove Giuliano, o a caso o a studio, non convenne; tanto che, tornato il disegno vano, giudicorono, che, se lo convitassero a Firenze, di necessità ambiduoi vi avessero ad intervenire. E così dato l’ordine, la domenica de’ dì 26 d’aprile, correndo l’anno 1478, a questo convito deputorono. Pensando adunque i congiurati di potergli nel mezzo del convito ammazzare, furono il sabato notte insieme, dove tutto quello che la mattina seguente si avesse ad esequire disposono. Venuto di poi il giorno, fu notificato a Francesco come Giuliano ad il convito non interveniva. Per tanto di nuovo i capi della congiura si ragunorono, e conclusono che non fusse da differire il mandarla ad effetto; perché gli era impossibile, sendo nota a tanti, che la non si scoprisse. E per ciò deliberorono nella chiesa cattedrale di Santa Reparata ammazzargli, dove sendo il Cardinale, i duoi frategli, secondo la consuetudine, converrebbono. Volevano che Giovan Batista prendesse la cura di ammazzare Lorenzo, e Francesco de’ Pazzi e Bernardo Bandini, Giuliano. Recusò Giovan Batista il volerlo fare: o che la familiarità aveva tenuta con Lorenzo gli avesse adolcito lo animo, o che pure altra cagione lo movesse: disse che non gli basterebbe mai l’animo commettere tanto eccesso in chiesa e accompagnare il tradimento con il sacrilegio. Il che fu il principio della rovina della impresa loro: perché, strignendoli il tempo, furono necessitati dare questa cura a messer Antonio da Volterra e a Stefano sacerdote, duoi che, per pratica e per natura, erano a tanta impresa inettissimi: perché, se mai in alcuna faccenda si ricerca l’animo grande e fermo, e nella vita e nella morte per molte esperienze risoluto, è necessario averlo in questa, dove si è assai volte veduto agli uomini nelle arme esperti e nel sangue intrisi lo animo mancare. Fatto adunque questa deliberazione, vollono che il segno dello operare fusse quando si comunicava il sacerdote che nel tempio la principale messa celebrava; e che, in quel mezzo, lo arcivescovo de’ Salviati, insieme con i suoi e con Iacopo di messer Poggio, il palagio publico occupassero, acciò che la Signoria, o voluntaria o forzata, seguita che fusse de’ duoi giovani la morte, fusse loro favorevole.