Istorie fiorentine/Libro ottavo/Capitolo 23

Libro ottavo

Capitolo 23

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Queste preparazioni a nuovi moti, cognosciute dalla lega avversa, feciono che quella ancora si preparasse alla guerra: e il duca di Milano per suo capitano elesse Federigo signore di Urbino, i Fiorentini il signore Gostanzo di Pesero. E per tentare l’animo del Papa, e chiarirsi se i Viniziani con suo consentimento movieno guerra a Ferrara, il re Ferrando mandò Alfonso duca di Calavria con il suo esercito sopra il Tronto, e domandò passo al Papa, per andare in Lombardia al soccorso del Marchese; il che gli fu dal Papa al tutto negato. Tanto che, parendo al Re e a’ Fiorentini essere certificati dello animo suo, deliberorono strignerlo con le forze, acciò che per necessità egli diventasse loro amico, o almeno darli tanti impedimenti, che non potesse a’ Viniziani porgere aiuti. Perché già quegli erano in campagna, e avevano mosso guerra al Marchese, e scorso prima il paese suo, e poi posto lo assedio a Ficheruolo, castello assai importante allo stato di quel signore. Avendo per tanto il Re e i Fiorentini deliberato di assalire il Pontefice Alfonso duca di Calavria scorse verso Roma, e con lo aiuto de’ Colonnesi, che si erano congiunti seco perché gli Orsini si erano accostati al Papa, faceva assai danni nel paese; e dall’altra parte le genti fiorentine assalirono, con messer Niccolò Vitelli, Città di Castello, e quella città occuporono, e ne cacciorono messer Lorenzo, che per il Papa la teneva, e di quella feciono come principe messer Niccolò. Trovavasi per tanto il Papa in massime angustie, perché Roma drento dalla parte era perturbata, e fuora il paese da’ nimici corso. Non di meno, come uomo animoso, e che voleva vincere e non cedere al nimico, condusse per capitano il magnifico Ruberto da Rimine; e fattolo venire in Roma, dove tutte le sue genti d’arme aveva ragunate, gli mostrò quanto onore gli sarebbe se, contro alle forze d’uno Re, egli liberasse la Chiesa da quelli affanni in ne’ quali si trovava, e quanto obligo, non solo egli, ma tutti i suoi successori arebbono seco; e come, non solo gli uomini, ma Iddio sarebbe per ricognoscerlo. Il magnifico Ruberto, considerate prima le genti d’arme del Papa e tutti gli apparati suoi, lo confortò a fare quanta più fanteria e’ poteva; il che con ogni studio e celerità si misse ad effetto. Era il duca di Calavria propinquo a Roma, in modo che ogni giorno correva e predava infino alle porte della città; la qual cosa fece in modo indegnare il popolo romano, che molti voluntariamente s’offersono ad essere con il magnifico Ruberto alla liberazione di Roma; i quali furono tutti da quello signore ringraziati e ricevuti. Il Duca, sentendo questi apparati, si discostò alquanto dalla città, pensando che, trovandosi discosto, il magnifico Ruberto non avesse animo ad andarlo a trovare; e parte aspettava Federigo suo fratello, il quale con nuova gente gli era mandato dal padre. Il magnifico Ruberto, vedendosi quasi al Duca di gente d’arme uguale, e di fanterie superiore, uscì instierato di Roma, e pose uno alloggiamento propinquo a due miglia al nimico. Il Duca, veggendosi gli avversarii addosso fuori d’ogni sua opinione, giudicò convenirgli o combattere, o come rotto fuggirsi; onde che, quasi constretto, per non fare cosa indegna d’un figliuolo d’un re, deliberò combattere; e volto il viso al nimico, ciascuno ordinò le sue genti in quel modo che allora ordinavono, e si condussono alla zuffa, la quale durò infino a mezzogiorno. E fu questa giornata combattuta con più virtù che alcuna altra che fusse stata fatta in cinquanta anni in Italia, perché vi morì, tra l’una parte e l’altra, più che mille uomini, e il fine di essa fu per la Chiesa glorioso, perché la moltitudine delle sue fanterie offesono in modo le cavallerie ducali, che quello fu constretto a dare la volta, e sarebbe il Duca rimaso prigione, se da molti Turchi, di quelli che erano stati ad Otranto e allora militavano seco, non fusse stato salvato. Avuta il magnifico Ruberto questa vittoria, tornò come trionfante in Roma. La quale egli potette godere poco, perché, avendo, per lo affanno del giorno, bevuta assai acqua, se gli mosse un flusso che in pochi giorni lo ammazzò. Il corpo del quale fu da il Papa con ogni qualità di onore onorato. Avuta il Pontefice questa vittoria, mandò subito il Conte verso Città di Castello, per vedere di restituire a messer Lorenzo quella terra, e parte tentare la città di Rimine; perché, sendo, dopo la morte del magnifico Ruberto, rimaso di lui, in guardia della donna, un suo piccolo figliuolo, pensava che gli fusse facile occupare quella città. Il che gli sarebbe felicemente succeduto, se quella donna da’ Fiorentini non fusse stata difesa; i quali se gli opposono in modo con le forze, che non potette né contro a Castello, né contro a Rimine fare alcuno effetto.