Avendo per tanto i Fiorentini ferme le loro cose con il Papa, ed essendo libera Siena e loro dalla paura del Re per la partita di Toscana del duca di Calavria, e seguendo la guerra de’ Turchi, strinsono il Re, per ogni verso, alla restituzione delle loro castella le quali il duca di Calavria, partendosi, aveva lasciate nelle mani de’ Sanesi. Donde che quel re dubitava che i Fiorentini, in tanta sua necessità, non si spiccassero da lui, e con il muovere guerra a’ Sanesi gli impedissero gli aiuti che dal Papa e dagli altri Italiani sperava. E per ciò fu contento che le si restituissero, e con nuovi oblighi di nuovo i Fiorentini si obligò: e così la forza e la necessità, non le scritture e gli oblighi, fa osservare a’ principi la fede. Ricevute adunque le castella, e ferma questa nuova confederazione, Lorenzo de’ Medici riacquistò quella riputazione che prima la guerra e di poi la pace, quando del Re si dubitava, gli aveva tolta: e non mancava, in quelli tempi, chi lo calunniasse apertamente, dicendo che per salvare sé, egli aveva venduta la sua patria; e come nella guerra si erano perdute le terre, e nella pace si perderebbe la libertà. Ma riavute le terre, e fermo con il Re onorevole accordo, e ritornata la città nella antica riputazione sua, in Firenze, città di parlare avida e che le cose dai successi e non dai consigli giudica, si mutò ragionamento: e celebravasi Lorenzo infino al cielo; dicendo che la sua prudenza aveva saputo guadagnarsi nella pace quello che la cattiva fortuna gli aveva tolto nella guerra; e come gli aveva potuto più il consiglio e iudizio suo che l’armi e le forze del nimico. Avevono gli assalti del Turco differita quella guerra la quale, per lo sdegno che il Papa e i Viniziani avevono preso per la pace fatta, era per nascere; ma come il principio di quello assalto fu insperato e cagione di molto bene, così il fine fu inaspettato e cagione di assai male: perché Maumetto, gran Turco, morì, fuori di ogni opinione, e venuta intra i figliuoli discordia, quegli che si trovavano in Puglia, dal loro signore abbandonati, concessono, d’accordo, Otranto al Re. Tolta via adunque questa paura, che teneva gli animi del Papa e de’ Viniziani fermi, ciascuno temeva di nuovi tumulti. Dall’una parte erano in lega Papa e Viniziani; con questi erano Genovesi, Sanesi e altri minori potenti dall’altra erano Fiorentini, Re e Duca a’ quali si accostavano Bolognesi e molti altri signori. Desideravano i Viniziani di insignorirsi di Ferrara; e pareva loro avere cagione ragionevole alla impresa e speranza certa di conseguirla. La cagione era perché il Marchese affermava non essere più tenuto a ricevere il Visdomine e il sale da loro, sendo, per convenzione fatta, che, dopo settanta anni dell’uno e dell’altro carico quella città fusse libera. Rispondevano dall’altro canto i Viniziani che quanto tempo riteneva il Pulesine, tanto doveva ricevere il Visdomine e il sale. E non ci volendo il Marchese acconsentire, parve a’ Viniziani di avere giusta presa di prendere l’armi, e commodo tempo a farlo, veggendo il Papa contro a’ Fiorentini e il Re pieno di sdegno. E per guadagnarselo più, sendo ito il conte Girolamo a Vinegia, fu da loro onoratissimamente ricevuto, e donatogli la città e la gentiligia loro, segno sempre di onore grandissimo a qualunque la donano. Avevano, per essere presti a quella guerra, posti nuovi dazi, e fatto capitano de’ loro eserciti il signor Ruberto da San Severino, il quale, sdegnato con il signore Lodovico, governatore di Milano, s’era fuggito a Tortona, e, quivi fatti alcuni tumulti, andatone a Genova; dove sendo, fu chiamato da’ Viniziani e fatto delle loro armi principe.