Indebolito adunque quello esercito, e rimaso sanza capo, e governandosi in ogni parte disordinatamente, il duca di Calavria, che si trovava con lo esercito suo propinquo a Siena, prese animo di venirli a trovare, e così fatto come pensato, le genti fiorentine, veggendosi assalire, non nelle armi, non nella moltitudine, che erano al nimico superiori non nel sito dove erano, che era fortissimo, confidarono, ma sanza aspettare non che altro di vedere il nimico, alla vista della polvere si fuggirono, e a’ nimici le munizioni, i carriaggi e l’artiglierie lasciorono: di tanta poltroneria e disordine erano allora quelli eserciti ripieni, che nel voltare uno cavallo o la testa o la groppa dava la perdita o la vittoria d’una impresa. Riempié questa rotta i soldati del Re di preda, e i Fiorentini di spavento; perché, non solo la città loro si trovava dalla guerra, ma ancora da una pestilenza gravissima afflitta; la quale aveva in modo occupata la città, che tutti i cittadini, per fuggire la morte, per le loro ville si erano ritirati. Questo fece ancora questa rotta più spaventevole; perché quelli cittadini che per la Val di Pesa e per la Val d’Elsa avevono le loro possessioni, sendosi ridutti in quelle, seguita la rotta, subito, come meglio poterono, non solamente con i figliuoli e robe loro, ma con i loro lavoratori, a Firenze corsono: tal che pareva che si dubitasse che ad ogni ora il nimico alla città si potesse presentare. Quegli che alla cura della guerra erano preposti, veggendo questo disordine, comandorono alle genti che erano state nel Perugino vittoriose che, lasciata la impresa contro a’ Perugini, venissero in Val d’Elsa per opporsi al nimico, il quale, dopo la vittoria, sanza alcuno contrasto scorreva il paese. E benché quelle avessero stretta in modo la città di Perugia, che ad ogni ora se ne aspettasse la vittoria, non di meno vollono i Fiorentini prima difendere il loro, che cercare di occupare quello d’altri: tanto che quello esercito, levato dai suoi felici successi, fu condotto a San Casciano, castello propinquo a Firenze a otto miglia, giudicando non si potere altrove fare testa, infino a tanto che le reliquie dello esercito rotto fussero insieme. I nimici dall’altra parte, quegli che erano a Perugia, liberi per la partita delle genti fiorentine, divenuti audaci, grandi prede nello Aretino e nel Cortonese ciascuno giorno facevano; e quegli altri, che sotto Alfonso duca di Calavria avevano a Poggibonzi vinto, si erano di Poggibonzi prima, e di Vico di poi insignoriti, e Certaldo messo a sacco; e fatte queste espugnazioni e prede, andorono con il campo al castello di Colle, il quale in quegli tempi era stimato fortissimo, e avendo gli uomini allo stato di Firenze fedeli, potette tenere tanto a bada il nimico, che si fussero ridutte le genti insieme. Avendo adunque i Fiorentini raccozzate le genti tutte a San Casciano, ed espugnando i nimici con ogni forza Colle, deliberorono di appressarsi a quelli, e dare animo a’ Colligiani a defendersi. E perché i nimici avessero più respetto ad offendergli, avendo gli avversarii propinqui, fatta questa deliberazione, levorono il campo da San Casciano e posonlo a San Gimignano, propinquo a cinque miglia a Colle, donde con i cavalli leggieri e con altri più espediti soldati ciascuno dì il campo del Duca molestavano. Non di meno a’ Colligiani non era sufficiente questo soccorso, per che, mancando delle loro cose necessarie, a dì 13 di novembre si dierono, con dispiacere de’ Fiorentini e con massima letizia de’ nimici, e massimamente de’ Sanesi, i quali oltre al comune odio che portono alla città di Firenze, lo avevano con i Colligiani particulare.