Liberati i Fiorentini dagli assalti di verso Pisa, feciono tutte le genti loro infra Colle e San Gimignano ridurre. Ma sendo in quello esercito, per la venuta del conte Carlo, Sforzeschi e Bracceschi, subito si risentirono le antiche nimicizie loro; e si credeva, quando avessero ad essere lungamente insieme, che fussero venuti alle armi. Tanto che, per minore male, si deliberò di dividere le genti, e una parte di quelle, sotto il conte Carlo, mandare nel Perugino, un’altra parte fermare a Poggibonzi, dove facessero uno alloggiamento forte, da potere tenere i nimici, che non entrassero nel Fiorentino. Stimorono, per questo partito, constrignere ancora i nimici a dividere le genti; perché credevono, o che il conte Carlo occuperebbe Perugia, dove pensavano avesse assai partigiani, o che il Papa fusse necessitato mandarvi grossa gente per difenderla. Ordinorono oltra di questo, per condurre il Papa in maggiore necessità, che messer Niccolò Vitelli, uscito di Città di Castello, dove era capo messer Lorenzo suo nimico, con gente si appressasse alla terra, per fare forza di cacciarne lo avversario e levarla dalla ubbidienza del Papa. Parve, in questi principii, che la fortuna volesse favorire le cose fiorentine; perché e’ si vedeva il conte Carlo fare nel Perugino progressi grandi; messer Niccolò Vitelli, ancora che non gli fusse riuscito entrare in Castello, era con le sue genti superiore in campagna, e d’intorno alla città sanza opposizione alcuna predava; così ancora le genti che erano restate a Poggibonzi ogni dì correvano alle mura di Siena: non di meno, alla fine, tutte queste speranze tornorono vane. In prima morì il conte Carlo, nel mezzo della speranza delle sue vittorie. La cui morte ancora migliorò le condizioni de’ Fiorentini, se la vittoria che da quella nacque si fusse saputa usare, perché, intesasi la morte del Conte, subito le genti della Chiesa, che erano di già tutte insieme a Perugia, presono speranza di potere opprimere le genti fiorentine; e uscite in campagna, posono il loro alloggiamento sopra il Lago propinquo a’ nimici a tre miglia. Dall’altra parte Iacopo Guicciardini, il quale si trovava di quello esercito commissario, con il consiglio del magnifico Ruberto da Rimine, il quale, morto il conte Carlo, era rimaso il primo e più reputato di quello esercito, cognosciuta la cagione dell’orgoglio de’ nimici, deliberorono aspettargli, tal che, venuti alle mani accanto al Lago, dove già Annibale cartaginese dette quella memorabile rotta a’ Romani, furono le genti della Chiesa rotte. La quale vittoria fu ricevuta in Firenze con laude de’ capi e piacere di ciascuno, e sarebbe stata con onore e utile di quella impresa, se i disordini che nacquono nello esercito che si trovava a Poggibonzi non avessero ogni cosa perturbato. E così il bene che fece l’uno esercito fu dall’altro interamente destrutto: perché, avendo quelle genti fatto preda sopra il Sanese, venne, nella divisione di essa, differenza intra il marchese di Ferrara e quello di Mantova; tal che, venuti alle armi, con ogni qualità di offesa si assalirono; e fu tale che, giudicando i Fiorentini non si potere più d’ambeduoi valere, si consentì che il marchese di Ferrara con le sue genti se ne tornasse a casa.