Istorie fiorentine/Libro ottavo/Capitolo 14

Libro ottavo

Capitolo 14

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Vennono, in questi tempi, a Firenze oratori dello Imperadore e del re di Francia e del re d’Ungheria, i quali dai loro principi erano mandati al Pontefice, i quali persuasono a’ Fiorentini mandassero oratori al Papa, promettendo fare ogni opera con quello, che con una ottima pace si ponesse fine a questa guerra. Non recusorono i Fiorentini di fare questa esperienza, per essere apresso qualunque escusati, come per la parte loro amavano la pace. Andati adunque gli oratori, sanza alcuna conclusione tornorono. Onde che i Fiorentini, per onorarsi della reputazione del re di Francia poi che dagli Italiani erano parte offesi parte abbandonati, mandorono oratore a quel re Donato Acciaiuoli, uomo delle greche e latine lettere studiosissimo, di cui sempre gli antenati hanno tenuti gradi grandi nella città. Ma nel cammino, sendo arrivato a Milano, morì; onde che la patria, per remunerare chi era rimaso di lui e per onorare la sua memoria, con publiche spese onoratissimamente lo seppellì, e a’ figliuoli esenzione, e alle figliuole dote conveniente a maritarle concesse; e in suo luogo, per oratore al Re, messer Guid’Antonio Vespucci, uomo delle imperiali e pontificie lettere peritissimo, mandò. Lo assalto fatto dal signore Ruberto nel paese di Pisa turbò assai, come fanno le cose inaspettate, i Fiorentini; perché, avendo da la parte di Siena una gravissima guerra, non vedevano come si potere a’ luoghi di verso Pisa provedere; pure, con comandati e altre simili provisioni, alla città di Pisa soccorsono. E per tenere i Lucchesi in fede, acciò che o danari o viveri al nimico non sumministrassero, Piero di Gino di Neri Capponi ambasciadore vi mandorono; il quale fu da loro con tanto sospetto ricevuto, per l’odio che quella città tiene con il popolo di Firenze, nato da le antiche ingiurie e dal continuo timore, che portò molte volte pericolo di non vi essere popolarmente morto: tanto che questa sua andata dette cagione a nuovi sdegni, più tosto che a nuova unione. Rivocorono i Fiorentini il marchese di Ferrara, soldorono il marchese di Mantova, e con instanzia grande richiesono a’ Viniziani il conte Carlo, figliuolo di Braccio, e Deifebo, figliuolo del conte Iacopo, i quali furono alla fine, dopo molte gavillazioni, da’ Viniziani conceduti; perché, avendo fatto tregua con il Turco, e per ciò non avendo scusa che gli ricoprissi, a non osservare la fede della lega si vergognorono. Vennono per tanto il conte Carlo e Deifebo con buono numero di genti d’arme; e messe insieme, con quelle, tutte le genti d’arme che poterono spiccare dallo esercito che sotto il marchese di Ferrara alle genti del duca di Calavria era opposto, se ne andorono inverso Pisa per trovare il signore Ruberto, il quale con le sue genti si trovava propinquo al fiume del Serchio. E benché gli avesse fatto sembiante di volere aspettare le genti nostre, non di meno non le aspettò, ma ritirossi in Lunigiana, in quelli alloggiamenti donde si era, quando entrò nel paese di Pisa, partito. Dopo la cui partita furono dal conte Carlo tutte quelle terre recuperate che dai nimici nel paese di Pisa erano state prese.