Istorie fiorentine/Libro ottavo/Capitolo 11

Libro ottavo

Capitolo 11

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Di poi si prese modo alla guerra, mettendo insieme genti e danari in quella somma poterono maggiore. Mandorono per aiuti, per virtù della lega, al duca di Milano e a’ Viniziani; e poi che il Papa si era dimostro lupo e non pastore, per non essere come colpevoli devorati, con tutti quelli modi potevono la causa loro giustificavano, e tutta la Italia del tradimento fatto contro allo stato loro riempierono, mostrando la impietà del Pontefice e la ingiustizia sua; e come quello pontificato che gli aveva male occupato, male esercitava; poi che gli aveva mandato quelli che alle prime prelature aveva tratti, in compagnia di traditori e parricidi, a commettere tanto tradimento in nel tempio, nel mezzo del divino officio, nella celebrazione del Sacramento; e da poi, perché non gli era successo ammazzare i cittadini, mutare lo stato della loro città e quella a suo modo saccheggiare, la interdiceva e con le pontificali maledizioni la minacciava e offendeva. Ma se Dio era giusto, se a Lui le violenzie dispiacevono, gli dovevono quelle di questo suo vicario dispiacere; ed essere contento che gli uomini offesi, non trovando presso a quello luogo, ricorressero a Lui. Per tanto, non che i Fiorentini ricevessero lo interdetto e a quello ubbidissero, ma sforzorono i sacerdoti a celebrare il divino oficio, feciono un concilio, in Firenze, di tutti i prelati toscani che allo imperio loro ubbidivono, nel quale appellorono delle ingiurie del Pontefice al futuro Concilio. Non mancavano ancora al Papa ragioni da giustificare la causa sua; e per ciò allegava appartenersi ad uno pontefice spegnere le tirannide, opprimere i cattivi, esaltare i buoni; le quali cose ei debbe con ogni opportuno rimedio fare; ma che non è già l’uficio de’ principi seculari detinere i cardinali, impiccare i vescovi, ammazzare, smembrare e strascinare i sacerdoti, gli innocenti e i nocenti sanza alcuna differenzia uccidere.