Istoria delle guerre vandaliche/Libro secondo/Capo XX
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CAPO XX.
I. L’imperiale esercito di poi lasciati indietro tutti i cavalli s’accinse a montare quell’erta procedendo sino a Tumar, dov’erano rinchiusi come in un carcere i barbari; giuntovi piantò il lor campo presso, ma in cattivo e dirupato luogo, mancante d’ogni bisogno della vita, e soprattutto d’acqua. Fattavi non breve dimora, Salomone vedendo la truppa grandemente travagliata dalla sete, costretto il soldato a passarsela con un bicchiere d’acqua al giorno, tumultuante ed in istato di non più reggere a tanti disagi, risolvè di rompere quel temporeggiamento e di assalire il nemico entro le sue ben munite trincee: se non che volendo rincorare dapprima l’esercito, aringollo in siffatta guisa:
II. «Debitori al Nume, o guerrieri, della vittoria per voi riportata alle radici di questo poggio, ardua impresa ed al tutto incredibile a chi non fu testimonio dell’operar nostro, è uopo che ora vi mostriate riconoscentissimi di tanto suo favore col non tralignare dall’antica virtù; che se perseverando in essa affronterete arditi e coraggiosi il pericolo, v’è garante il felice successo delle vicende trascorse di quanto sarete per conseguire, dipendendo l’esito delle umane cose più che tutto dal saper cogliere le occasioni. Se l’uomo pertanto usa negligenza nel tener conto della fortuna, vedendosi da lei abbandonato non ne apponga la colpa che a sè stesso. Avete innanzi agli occhi la debolezza del nemico, ed il castello ov’e’ s’intana privo d’ogni sostentamento della vita; è quindi mestieri che delle due v’appigliate all’una, o di attendere cioè l’arrendimento suo comportandosi con rassegnazione le penose cure dell’assedio, o di penetrare valorosamente in quelle mura per istrappargli altra nobilissima vittoria. Ma quanto addiverrà maggiore il profitto, e scemerà il pericolo se ci faremo contr’esso! il quale, in fe mia, quasi consunto dalla fame non oserà tampoco impugnare le armi per combattervi. Fermi adunque in questo pensiero disponetevi ad eseguire con animo volonteroso gli ordini del vostro comandante».
III. Il duce finita la concione diedesi ad investigare la più facil via per condurre le truppe all’assalto, e non sapeasi risolvere alla scelta avendovi ogni dove scogli e precipizj; avventuratamente però nella maggiore incertezza sua venne la fortuna a torlo d’impaccio. Uno di que’ fanti, nomato Gezone ed aiutante d’un centurione1, forsechè per ischerzo, o daddovero, o per inspirazione divina tutto solo cominciò a montare le balze aventi di prospetto Tamar, e seguivanlo da lunge taluni de’ compagni mirandone l’ardir sommo. In quella tre Maurusii, scolte all’entrata del campo loro, aocchiatolo e giudicandolo un esploratore corrongli frettolosi incontro, ma costretti per le angustie del luogo a distaccarsi l’uno dall’altro, chi di essi primo capitògli sotto il tiro aggiuntovvi all’istante la vita: i colleghi del Romano allora veduto il colpo seguono a grido e a romore le peste degli altri due, e tutto l’esercito imperiale anch’egli, spettatore della schermaglia, senza attendere dal capitano l’indicazione del sentiero, o dalla tromba, secondo la costumanza, il principiar della zuffa, disordinatissimo inerpica lassù aiutandosi a vicenda, e mandando alte grida investe il nemico. Nè qui vo’ tacere il valore di Leonzio e di Rufino, i quali segnalaronsi per guisa nella pugna, che indussero i Maurusii, caduti affatto d’animo e dimesso ogni altro pensiero, a voltare precipitosamente le spalle in piena rotta, rincontrando in gran numero per quelle gole e prigionia e morte. Iabda ferito anch’egli di dardo in una gamba, potè nondimeno sottrarsi dalla schiavitù e riparare presso de’ Mauritani. I vincitori guastarono gli accampamenti nemici, e di poi Salomone, tenendo non ispediente lo abbandonare al tutto l’Aurasio, ordinò che venisse racconciato il forte e munito di presidio, acciocchè i barbari più non tentassero di là nuove guerre contro i Romani.
IV. Su questa montagna poi tra gli alti burroni sorge un dirupato scoglio, detto in que’ luoghi Pietra di Geminiano, dove gli antichi aveano eretto una torricella perchè fosse loro in ogni sinistro d’inespugnabile asilo, e quivi appunto Iabda qualche giorno prima trasportato avea insiem colle donne i suoi tesori, dandone la custodia a un vecchio maurusio, persuasissimo che giammai perverrebbonvi i nemici, e ben meno riuscirebbero ad occuparla. Superatesi non pertanto dai Romani tutte le malagevolezze di quel monte, un costoro soldato asceso lo scoglio procacciava quasi per giuoco di salire la torre, eccitando le risa del vecchio e delle donne, come ch’e’ pazzamente desse opera ad impresa di gran lunga maggiore delle sue forze. Tuttavia il prode aggraticciandosi colle mani e co’ piedi a poco a poco tocconne la sommità, e nudato il ferro recise d’un colpo la testa al vecchio. Gli altri soldati allora pieni di giubilo e di fiducia soccorrendosi a vicenda montaronla, e fecero bottino delle donne e de’ grandissimi tesori, che furono in parte da Salomone adoperati a ricingere di mura molte delle città africane.
V. Il duce inoltre vinti dappertutto, come scrivea, i Maurusii e costrettili a ricoverare presso i Numidi, fece tributaria dell’imperio la provincia di ben2 al di là dell’Aurasio, nomata Mauritania prima ed avente a metropoli Sitife3, quella della seconda, conquistata da Belisario ed unica città della regione sottoposta a Bizanzio, nomandosi Cesarea. I Romani commercian seco lei per acqua soltanto, dominando i Maurusii ligii di Mastiga il resto della provincia. Da che poi i barbari dell’Aurasio valicarono sotto altro cielo tutti gli Africani obbediscono a Roma godendo stabile pace, e retti da Salomone, personaggio di somma prudenza e modestia, par loro di avere tocco l’apice della felicità umana.