Istoria delle guerre persiane/Libro primo/Capo I
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1833)
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CAPO PRIMO.
I. Procopio di Cesarea ha fedelmente scritto le guerre di Giustiniano imperatore contro gli orientali ed occidentali barbari, acciocchè le geste di lui, chiarissime ed eccellenti, per mancanza di storia e di tradizione non venissero coll’età avvenire poste in obblio. E la memoria di tali imprese egli ha giudicato utile e dilettevole a’ suoi contemporanei ed a chi verrà di poi; conciossiacosache gli esempj tramandati dalla istoria possono molto giovare ad uomini vogliosi di guerra, ammaestrando la narrazione delle cose passate ad antivedere quello che uop’è attendere dalle future. Nè a lasciar ricordanza di que’ fatti aveavi altri miglior di lui, sendo egli stato consigliero di Belisario, del continuo presente al maneggio degli affari, e persuasissimo ognora che sì dicevol sia alla storia la verità, come all’arte oratoria la forza del ragionamento, ed a’ poeti la favola. Nel tessere perciò questo lavoro non volle mai tenere ascosa verun’azione vituperevole sebbene di persona legata seco in amicizia, ma quanto a ciascuno di fare avvenne, o di bene o di male, candidamente ha qui riposto 1.
II. Chi prenda poi a ben considerare queste guerre vedrà di leggieri non essersi mai dato cotanto e sì eroico valore; nè havvene per fermo intra tutte quelle antiche ricordate a dì nostri altra ugualmente maravigliosa. Che se taluni leggendo quest’Opera vogliano tuttavia parteggiare co’ secoli trascorsi, ed ostinati nel credere l’età presente incapace di stupende imprese chiamino per ischerno balestrieri le truppe nostre riserbando alle antiche il nome di pavesai e la gloria di combattere a piè fermo; uomini per verità di tal indole non arriveranno mai a persuadersi che il valore di quei tempi sia giunto sino a noi; ma che la sentenzino da giudici poco illuminati e giusti è chiaro a vedersi, non ponendo eglino mente che i balestrieri di Omero, così nomati non senza qualche dispregio, erano mancanti di cavallo, di dardi, di scudo e di ogni personale difesa; che guerreggiavano sempre appiede, e che la necessità inducevali a riparare sotto la targa de’ loro compagni, o dietro i circostanti rialti, da dove non potevano più nè voltar delle spalle, nè incalzare i fuggenti nemici. Meno poi cimentavansi in aperta campagna, ma quasi rubatori avresti tu detto combattessero. Tendevano eziandio sì poco l’arco e sì sconsigliatamente maneggiavanlo traendone la corda ver la mammella, che dallo strale scoccato poteasi attendere sol lieve ferita2. I nostri arcieri per lo contrario escono in campo armati di corsaletto, e di stiniere di ferro insino alle ginocchia, ed alla destra vedi loro il turcasso, alla sinistra la spada cinta; havvi pur di quelli cui pende dall’omero e chiaverina e scudo a riparare lor teste. Sollevano altresì l’arco a livello della fronte, e tesane la corda sino all’orecchia destra, avventano frecce con violenza tale che non v’ha scudo o lorica da cui sperare salvezza. Ma chi non discorre e considera siffattamente le cose, lauda i soli nostri antenati, e punto non istima le nuove scoperte a perfezionamento delle arti. Dopo di che è uopo confessare le geste portentosissime operate in queste ultime guerre, e nel riferirle io prenderò le mosse da quelle de’ Romani co’ Medi, svariatissime nelle riuscite loro, rintracciandone il filo alquanto più indietro.
Note
- ↑ Bellissime parole! ma come darvi fede richiamandoci alla memoria la sua Istoria segreta?
- ↑ Così era ai tempi favolosi d’Omero. In appresso però gli arcadori cretesi mostrarono il grandissimo conto che far si dovea di quest’arma, e guai a Sparta se fossele mancato il suo aiuto nel guerreggiare la Messenia (V. Paus., lib. iv, Messenia).