Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo VIII

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CAPO VIII.

Totila di singolare bontà verso i vinti. Atterra le mura di Napoli. — Dà morte a una sua guardia rea di strupo. Sua gravissima allocuzione su tale argomento.

I. Totila conquistata Napoli fu di tanta bontà coi vinti di quanta ne avresti giudicato incapace un nemico, un barbaro. Conciossiachè venuto al possesso de’ Romani per modo estenuati dalla fame che più non appariva segno di forza ne’ corpi loro, temendo non saziati in un subito di cibo venisserne, come il caso è frequente, soffocati, poste sentinelle ai luoghi d’uscita fe’ comando che nessuno si partisse di là. Egli poi con prudente mano, e sì da non isbramare l’appetito somministrava cibo a tutti, aumentandone cotidianamente così la misura che l’accrescimento riuscisse direi quasi impercettibile al senso. Ristorate alla perfine le forze loro apri le porte, e ad ognuno accordò libero potere di trasferirsi ov’e’ meglio desiderasse. Diede similmente e mezzi di trasporto per mare, e piena facoltà di riparare sotto altro cielo a Conone ed alle truppe di lui, volenterosi di cambiare stanza. Ora costoro da contrario vento rattenuti nel porto erano quivi trepidanti non la vittoria inducesse il re a disonorare la fatta promessa ed a sommetterli a pessima vita. Ma Totila avutone sentore ordinò che fossero condotti alla sua presenza, attese a consolarli, e confermata vie meglio la data parola esortolli a stare di buon animo ed a vivere al tutto rassicurati colle sue genti, a comperare da esse vittuaglia, ed a [p. 303 modifica]riceverne siccome da amici qualunque cosa difettasse loro. Trascorso molto tempo e proseguendo tuttavia contrario vento, provvedutili di cavalli, di somieri e di generoso viatico ne spaccia la partenza alla volta di Roma, dando loro a compagni individui trascelti dal fior de’ Gotti. Egli eziandio sen parte non appena atterrate quelle mura, e demolivale acciocchè i Romani tornando per bizzarria del fato al possesso della città più non travagliassero i Gotti combattendoli da munito luogo, dispostissimo anzi a tenzonare con essi in campagna aperta che ad esser bersaglio di furberie ed inganni: gittatane non di meno a terra la massima parte il di più lasciollo intatto.

II. A que’ dì tal de’ Romani originario della Calabria presentossi al re con querela di strupo violentemente commesso da altro de’ pretoriani di lui in onta d’una sua tenera pulzella. Totila ordinata la prigionia del reo ed avutane la confessione adoperava con zelo perchè la colpa riportasse il meritato gastigo. Laonde i più cospicui personaggi de’ barbari trepidanti d’una capitale condanna (essendo il milite infaticabile ed assai valente nella guerra) tosto fannosi, insiem raccolti, ad implorare mercede per l’offensore. Il re ascoltate con bontà e senza turbamento di sorta le istanze loro, pigliò a dire: «Entro in questo argomento, o commilitoni, non per indomabile moto di crudeltà, nè perchè mi dilettino le sciagure della mia gente; ma sì bene per un grandissimo timore che sopravvengano sinistri a tutti voi, sapendo pur troppo da molti travolgersi i nomi delle cose applicandovi un affatto contrario [p. 304 modifica]senso. Conciossiachè sogliono costoro nomare umanità la sfrenatezza corrompitrice e sovvertitrice di tutte le oneste azioni, e chiaman difficile e fastidiosissimo chi cerca proteggere santissimamente l’autorità delle leggi; quasi che la mercè di tali vocaboli, siccome velamenti sopra l’intemperanza distesi, e’ possano vie più liberi peccare, ed appresentarsi malvagj. Vi esorto adunque, o commilitoni, a non voler riscattare la colpa d’un solo con iscapito della vostra salvezza, e partecipare, innocenti, la costui reità, giudicando vana ogni differenza tra il commettere delitti e l’impedire la giusta punizione de’ malfattori. Bramerei pertanto che sopra questo argomento deliberaste come se eletti o a condonare a costui la pena del suo delitto, o a conservare la gottica nazione, ed in vostro potere la vittoria della guerra. E certamente v’è d’uopo considerare che noi all’intraprendere di tali ostilità avevamo copia di guerrieri illustri per gloriose azioni e maestria nel trattare le armi, ricchezza immensa, per non metterci in più parole, di danaro, infinito numero di cavalli ed armi, e tutti i luoghi forti d’Italia; i quali aiuti di vero a chi impugna le armi non sogliono al tutto sembrare di poco momento. Non di meno sotto il reame di Teodato, personaggio più amante dell’oro che della giustizia, ci rendemmo, con malvagio tenor di vita, nemico il Nume; nè v’è forza ignorare da quali genti e da quanto loro numero soggiogati a quali e quante disgrazie dovemmo piegare il capo. Se non che ora Iddio a bastanza vendicatosi delle nostre colpe ne ha [p. 305 modifica]dirizzato nuovamente il cammino, o per dirla più ne’ termini, governa la cosa nostra meglio di quanto sapremmo noi stessi desiderare; or dunque ne giova anzi conservarci favorevole coll’osservanza della giustizia la causa cui dobbiamo una vittoria di gran lunga superiore alle nostre forze che, oltraggiandola, far pubblica testimonianza d’avere a odio e disdegno la nostra felicità stessa. Imperciocchè non può, in fè mia, l’ingiurioso e violatore giungere a riportar lode trattando le armi in campo, dalla vita di ciascheduno di noi pigliando norma la fortuna della guerra.» Così Totila, ed i magnati de’ Gotti pienamente consentendogli guardaronsi bene dal rinnovargli lor suppliche, abbandonando affatto all’arbitrio di lui il pretoriano. Il re non guari dopo condannollo a morte, e fe’ comando che ogni avere del reo passasse alla violata pulzella.