Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo IX

../Capo VIII

../Capo X IncludiIntestazione 26 marzo 2024 100% Da definire

Libro terzo - Capo VIII Libro terzo - Capo X

[p. 305 modifica]

CAPO IX.

Malvagità dei duci e delle imperiali truppe. Italiche sciagure. — Lettera di Totila al senato romano. Ariani sacerdoti banditi da Roma. Assedio del castello d’Otranto.

I. Nel mentre che Totila attendea a queste cose duci e soldati del romano esercito fan saccomanno degli averi de’ suggetti popoli ed abbandonansi ad ogni maniera d’incontinenza e libidine; giunti a tanto gli stessi duci d’aver baldracche ne’ loro presidj e gozzovigliarvi insieme, la soldatesca addivenuta ognor più [p. 306 modifica]forte nel conculcare la disciplina commetteva enormi eccessi. Tutti gli Italiani erano fierissimamente travagliati da ambo gli eserciti, da quinci i Gotti privandoli delle terre loro, da quindi spogliandoli i Cesariani di ogni suppellettile, e ch’è peggio ancora senza cagione alcuna venivano percossi di bastone, e avendovene solo una mezza vedevansi condannati alla morte. I duci adunque non guarentiti dalle proprie truppe contro le ingiurie de’ nemici, e ben lontani dal vergognarsi del presente stato della repubblica destavano eglino stessi, vituperevolmente operando, negli animi italiani il desiderio del governo de’ barbari. A cumulo poi di tante sciagure lo sconsigliato Constanziano chiaro manifesta per lettera all’imperatore di non avere forze idonee a sostenere la gottica guerra, e gli altri capi quasi direi con pubblica deliberazione protestansi di comun consenso nel medesimo foglio del tutto contrarj al tentare nuovamente la sorte delle armi. Di tal guisa procedevano le cose degli Italiani.

II. Totila, per tornare a lui, scrisse di questi termini al senato romano: «Chiunque o per obblio, o imprudentemente è ingiurioso ai vicini merita perdono dagli offesi, la cagione della colpa assolvendolo in grandissima parte dall’accusa; ma se fa loro deliberato oltraggio e’ non avrà mezzo di purgarsi dalla reità, dovendosi imputargli ad una e l’azione ed anche il voler suo. Di questa guisa adunque camminando le cose, pigliate ad esaminare di qual maniera potrete giustificarvi dell’operato contro di noi. Addurrete [p. 307 modifica]forse a vostra giustificazione di conoscere ben poco i benefizj di Teuderico e di Amalasanta? o per dinturnità di tempo e dimenticanza esservene rimasa negli animi cancellata la memoria? Ah domin che nulla di tanto può essere! Imperciocchè le costoro liberalità nè si appalesarono in cose al tutto lievi o mediocri, nè contano de’ secoli, ma in epoca ben poco lontana, e noi stessi le ricordiamo, risplendevano sopra voi, Romani carissimi, in argomenti di somma importanza. Conoscete a simile di fama o di prova l’ottimo volere de’ Greci verso i popoli soggetti; vi sapete di già come in cambio siensi comportati i Gotti cogli Italiani. Foste a mio credere tra buoni ospitali de’ Greci, nè v’è uopo ignorare quali ospiti ed amici abbiate in essi trovati, se vive tuttavia presso voi rimembranza delle gravezze imposte da Alessandro. Passo con silenzio la truppa e i condottieri di lei, la bontà e magnanimità de’ quali certamente contribuirono moltissimo a ridurre e voi e loro stessi alla presente condizione. Ma nessuno degli Italiani pensi venirgli da me rimprocciate di tali cose per effetto di giovanile ambizione, o per volermi qui, siccome re de’ barbari, millantare. Non ascrivo in vero a prodezza nostra l’avere sconfitto questa razza di gente, ma al dover eglino così pagare il fio delle ingiurie a voi recate. Per la qual cosa non vi sembrerà stranissimo il sofferirne a queto i mali diportamenti, mentrechè Dio vendicatore delle ingiustizie fattevi li punisce, e il rimanere volonterosi nelle molestie, che ne sono la conseguenza. Procacciate adunque di giustificare coi [p. 308 modifica]Gotti i vostri andamenti seco, e di addurci motivo comunque di avervi per iscusati, ed opererete di questa conformità se non atteso l’esito della guerra, ma intanto che serbate qualche piccola e vana speranza prenderete migliori consigli, e vi darete a correggere il vostro mal procedere con noi.» Così era la scritta consegnata da Totila ad alcuni prigionieri acciocchè e’ la ricapitassero, giunti in Roma, al senato; adempiutasi da costoro la commissione Giovanni proibì ai senatori di riscontrarla. Totila quindi, replicate più lettere ed inseritivi gravissimi giuramenti, promise con molta facondia che uom de’ Romani non avrebbe riportato da’ suoi il menomo danno. Con qual mezzo queste lettere pervenissero a Roma non è a mia notizia, imperciocchè di notte ferma vennero affisse nelle più frequentate parti della città, e di questo modo furono in saputa di tutti. Poscia gl’imperiali duci pigliato sospetto dei sacerdoti ariani cacciavanli da Roma, ed il re informatone manda parte delle sue truppe nella Calabria coll’ordine di tentare il castello d’Otranto, ma trovatone il presidio leale nel ricusare ogni proposta di arrendimento impose loro di assediarlo, ed egli col nerbo dell’esercito batte la via di Roma. L’imperatore all’annunzio di queste faccende caduto in gravissimo turbamento d’animo si vide costretto a spedire Belisario contro de’ Gotti, quantunque gli affari persiani dessero ancora moltissimo da pensare. Terminò il verno e con esso il nono anno di questa guerra da Procopio scritta.