Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo VIII

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CAPO VIII.

Uccisione di Constantino assalitore colla spada in pugno di Belisario dopo un costui precetto di restituire l’iniquamente tolto.

I. Tali eran le cose; ma la fortuna, invidiosa de’ Romani al mirarne i più che felici progressi, ordiva lor contro sciagure, e venuta in desiderio di mescolare un che di sinistro colle tante prosperità loro, macchinava discordie per frivolezze tra Belisario e Constantino, delle quali ora mi farò a narrare da imo a sommo la istoria. Un Romano di nome Presidio e di non abbietto sangue, nella sua dimora in Ravenna era guardato con occhio bieco dai Gotti all’epoca dell’apprestamento delle armi contro Roma; il perchè egli sotto pretesto d’una gita alla caccia e senza comunicare con uomo del mondo il suo divisamento campava di là non portando seco de’ suoi preziosi arredi che due pugnali con [p. 175 modifica]guaine adorne di molto oro e di bellissime gemme; ed arrivato a Spoleto prima d’entrarvi colla compagnia si tolse giù dalla strada avviandosi a un tempio fuor delle mura. Constantino di stanza colà all’udirne, chiamatolo in giudizio si fa cedere innanzi tratto ambo i pugnali, mandandovi a tal uopo un Massenziolo suo pavesaio. Addoloratosene colui di botto corre a Belisario in Roma; dove non guari dopo capitò lo stesso Constantino, istruito dagli esploratori che l’esercito nemico avvicinava. Ora infinattantochè gli affari imperiali stettersi avvolti nell’incertezza e nella confusione Presidio tacque, ma veduto di poi la città andare colla meglio e gli oratori de’ Gotti calcare la via di Bizanzio, come narrava, e’ di frequente visitando il duce e rammentandogli il torto sofferto, istantemente pregavalo ch’e’ gli rendesse giustizia. Nè con minor frequenza Belisario tantosto di per sè, tantosto coll’opera altrui rimprocciava l’incolpato, instigandolo a purgarsi dalla iniqua azione e dal turpe nome procacciatosi con essa: ma è uopo dire che al reo sovrastasse la morte; essendochè egli schernivasi mai sempre di que’ rabbuffi, e si pigliava giuoco dell’offeso. Tal giorno alla fine Presidio scontratosi in Belisario, mentre questi cavalcava nel foro, e dato di piglio alle redini del cavallo ad alta voce lo dimanda se comportino gl’imperiali statuti che un disertore dei barbari, venuto a lui supplichevole con animo di seguirne le parti, sia per istrada violentemente spogliato di quanto ha seco. Tutti i circostanti allora, nè eran pochi, gl’imposero con minaccevole tuono di ritrarre la mano dalle redini, ma egli non [p. 176 modifica]abbandonolle che riportata dal condottiero parola di tornare al possesso delle sue armi. La dimane pertanto il generale convocati in una camera del palazzo Constantino e molti altri duci e riepilogato l’occorsogli nel dì antecedente esorta il reo alla restituzione de’ pugnali. Costui rifiutandovisi manifestò il suo animo di volerli piuttosto le mille volte gittare nel Tevere, che restituire cui si spettavano. Alla quale risposta Belisario tutto collera lo addomanda s’e’ non riconoscasi a lui suggetto; e quegli prometteva in ogni altra cosa cieca obbedienza, giacchè era così piaciuto all’imperatore; ma non piegherebbesi mai più a quel comandamento. Alle quali proteste ordinato da Belisario che s’introducessero le sue guardie, Constantino dirizzógli le seguenti parole: «Ebbene mi vuoi morto dalle mani loro? — Mi guardi Iddio, il duce, ma ch’e’ costringano Massenziolo tuo pavesaio, il quale da te comandato carpì que’ pugnali, a ritornare a Presidio il toltogli mal suo grado.» Nondimeno il colpevole fittosi in capo che attendevalo pronta morte, pensò segnalarsi con qualche grande impresa prima che si desse principio a suoi patimenti; nudata pertanto la piccola spada che pendevagli dal fianco vibrò d’improviso un colpo sul ventre di Belisario, il quale impauritosi rinculò, ed abbracciato Bessa, al suo fianco, sen parte. Vuole seguirlo Constantino ancora tutto ribollente d’ira, quando Valentino e Ildigero, spettatori del fatto, presolo per la destra l’uno e per la manca l’altro, il rattengono seco. Entrate in questa le lance giusta l’ordine avuto dal condottiero, levano di forza dalla mano dell’ [p. 177 modifica]assalitore il ferro, e quindi altamente fremendo attrappanne la persona, guardandosi pel momento dal gastigarlo in riverenza, a mio credere, dei personaggi ivi raccolti; ma condottolo non guari dopo altrove d’ordine di Belisario lo mettono a morte. Questa è la sola azione del condottiero per verità non assolutamente onesta, nè degna d’un animo liberale; quando in cambio mai sempre ebberlo tutti esperimentato umanissimo: è forza adunque ripetere fosse battuta l’ora estrema di Constantino.