Istituzioni di diritto romano/Introduzione/Sezione III/Secondo periodo/Capitolo III
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CAPITOLO III.
stato della giurisprudenza
§. 118. La Scienza del Diritto, sorge nel periodo 2° del quale trattiamo, ma essa giunge al suo pieno svolgimento nel periodo successivo. Coltivata da primo dai Sacerdoti e dai Patrizj, ad essi soltanto familiare, divenne a poco a poco patrimonio di tutti i cittadini indistintamente; gli uomini più celebri si onorarono di professarla, e fu mezzo necessario per giungere alle prime dignità della Repubblica. Con la promulgazione della legge Decemvirale, il testo della medesima era accessibile a tutti; ma i Patrizj soltanto conoscevano le formalità necessarie alla sua applicazione pratica, ossia le regole della Procedura. In special modo rimaneva ignoto ai più, in quali giorni si potesse comparire in giudizio, e con quali riti. Non in qualunque giorno potevansi iniziare procedure dinanzi ai Tribunali, o celebrare negozj giuridici, ma soltanto nei giorni che si dicevano fasti. Da primo questi giorni erano trentotto nell’anno di dieci mesi, ed erano i giorni di mercato; introdotto l’anno di dodici mesi, il numero dei giorni fasti fu lasciato lo stesso; di quì grande imbarazzo per sapere, nel nuovo anno, quando cadessero quei giorni. Questo calendario giuridico dei giorni feriati e non feriati (fasti, nefasti), era un segreto dei Sacerdoti, unici depositarj della Scienza astronomica di allora. Nell’iniziare una procedura dinanzi ai Magistrati, bisognava adoperare nei primi tempi di Roma riti solenni determinati, pronunziare formule sacramentali. Chi esempigrazia, nell’intentare l’azione arborum furtim cæsarum, avesse invece degli alberi nominati le viti, sarebbe stato respinto. Ora questi riti, queste formule, per essere adoperati rettamente, esigevano notizie precise, compiute, addimandavano una pratica, che era privilegio di pochi. Così si spiega perchè la Scienza del Diritto, fosse in principio patrimonio esclusivo dei Patrizj, fra i quali si reclutava il Sacerdozio, e di non molti fra essi.
§. 119. Ma nell’anno 450 dalla fondazione di Roma, Gn. Flavio, Segretario ed amico intimo di Appio Claudio, pubblicò un quadro dei giorni fasti e nefasti, un calendario giuridico insomma, che egli espose pubblicamente nel foro; e di più una raccolta o specchio delle formule di procedura (legis actiones), necessarie a seguitarsi per l’attitazione delle giuridiche controversie. Molto lieti furono i Plebei per questa pubblicazione, che schiariva assai l’oscurità dell’antica Procedura; talchè Jus Civile Flavianum, in onore del suo autore, fu chiamata l’opera di Gn. Flavio Secondo Pomponio, Gn. Flavio avrebbe sottratto ad Appio Claudio questo lavoro, e lo avrebbe a di lui insaputa pubblicato come proprio; ma è più probabile, come racconta Plinio, che Appio stesso per cattivarsi il favore popolare, istigasse Gn. Flavio a dare pubblicità a quell’opera. L’esempio di Gn. Flavio fu imitato da altri Magistrati usciti dal popolo; le leggi, specialmente di procedura, furono divulgate, e tutti ebbero la possibilità di acquistarne la scienza.
§. 120. Nell’anno 509 il Giureconsulto Elio (Ælius) pubblicò un opera tripartita (Tripertita) nella prima parte della quale, riportava la legge Decemvirale; nella seconda, faceva un Commentario alla legge stessa; nella terza, riferiva una raccolta di formule per procedere in giudizio (legis actiones). Quest’opera fu chiamata anche Jus Civile Ælianum.
§. 121. L’attività pratica dei Giureconsulti Romani si può ridurre a queste quattro funzioni: respondere, cavere, agere, scribere. I pareri e voti emessi dai Giureconsulti su punti di diritto questionabili, dicevansi responsa. Tiberio Coruncanio, che fu il primo Pontefice massimo, plebeo, fu ancora il primo Giureconsulto che rispondesse indistintamente a tutti quelli che lo consultavano, mentre per lo innanzi i prudentes prestavano l’opera loro agli amici ed ai congiunti soltanto. Tale almeno è l’interpretazione più sodisfacente, che si possa dare alla locuzione juris scientiam profiteri, che Cicerone adopera parlando di lui, e che molti intendono, come se Tiberio fosse il primo ad insegnare pubblicamente il Diritto (Cic. De Orat. III, 33). L’intervento dei Giureconsulti, era principalmente richiesto nella procedura; essi ne indicavano le regole e le cautele, e consigliavano le clausule e reservi da adoperarsi nei negozj giuridici. Così essi cavebant. Assistevano poi i loro clienti personalmente nel processo, e questa funzione si esprimeva col verbo agere. Tuttavolta la discussione della causa era riservata, agli Oratori; gli Oratori dunque, esercitavano una professione ben diversa da quella dei Giureconsulti: Cicerone era Oratore, non Giureconsulto. Finalmente redigevano gli atti ed istrumenti giudiciali, o stragiudiciali, che facevano distendere ai loro scribæ o scrivani; e questo si esprime quando si dice che i Giureconsulti scribebant. La loro attività scientifica si dirigeva all’interpretazione della legge Decemvirale (interpretatio XII. Tabularum), supplendo con lo spirito alla lettera delle legge, e dando alla lettera della legge stessa, tutta quella estensione che la civilis ratio, ossi la ragione dei precetti, consigliava. Insegnavano il Diritto in un modo tutto pratico, vale a dire conversando con gli alunni ed ammaestrandoli con l’esempio, occasione a sporre precetti. I Responsa dei Giureconsulti, l’abbiamo detta ma giova ripeterlo, avevano autorità soltanto perchè autorevoli pel sapere erano le persone dalle quali emanavano, e perchè approvati generalmente dalla coscienza giuridica popolare, e ripetutamente accolti e sanzionati dalle Decisioni dei Tribunali (receptæ sententiæ). Ma in fatto crano una sorgente importantissima di Diritto. Ed in vero Pomponio ci attesta, che i responsi dei Giureconsulti, e la giurisprudenza che si formava per mezzo delle dispute e controversie giudiciarie (disputatio fori,) furono un molto opportuno commento alla legge Decemvirale. È stato detto che i Giureconsulti Romani si riunissero in Accademia presso il tempio di Apollo, ed ivi discutessero punti di Diritto controversi; e questa discussione accademica si è creduto, che fosse la disputatio fori, della quale parla Pomponio. Ma cotale opinione non ha fondamento nei documenti istorici, ed è poi contraria alla ragione. Una discussione accademica presuppone una Scienza molto avanzata, e tale non era la Scienza del Diritto in questo tempo.
§. 122. I più celebri Giureconsulti di questo periodo, sono ricordati da Pomponio nel fr. 2 §. 35. - 39. Dig. De Origine juris I, 2; ma pochi fra essi scrissero opere. Ad Appio, del quale Gn. Flavio sopra ricordato, era segretario, è attribuita un opera sulle azioni: ai tempi di Pomponio era perita. Si conservava per altro sempre il lavoro di Elio (Jus Ælianum). Dopo Elio Sesto sono ricordati come autori di Libri sul Diritto, Catone, Manilio, e Ostilio. Cicerone nel Libro delle Leggi, e nella parte giuridica dei Topici, li cita spesso. Catone scrisse dei Commentarj sul Diritto Civile; a Manilio sono attribuite le Actiones Manilianæ, formule pei contratti di compra e vendita. Ostilio fu l’autore delle Actiones Hostilianæ, che sembra fossero formule pei testamenti.