Isaotta Guttadauro/Donne/Donna Clara
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DONNA CLARA
.... il biondo |
Donna Clara, I.
Disegno di Alfredo Ricci.
I.
Sta Donna Clara (ne ’l mio pensiere)
su ’l damascato letto ampio e profondo:
splende la nudità ne l’ombra, e il biondo
capo sorride da l’origliere.
Erto su l’ésili zampe il levriere
blandisce il pié divino a l’Atalanta;
e freme, a la blandizia, tutta quanta
l’ignuda forma strano piacere.
Salgono miti su da ’l verziere
a ’l balcone i leandri in rosei fiocchi;
un gran paone sta co’ suoi cent’occhi
vigile in alto da le ringhiere.
E mentre il cane, quasi per bere,
vibra in ritmo la lingua umida a ’l fiore
de ’l niveo pié, gli corron su ’l nitore
de ’l dorso lunghe onde leggere,
e i fianchi scarni pulsano, e in fiere
di serpe anella torcesi la coda,
e tremano le zampe in su la proda
de l’ampio letto, lucide e nere.
II.
Con il fior de la bocca umida a bere
ella attinge il cristallo. Io lentamente
le verso a stille il vin dolce ed ardente
entro quel rosso fiore de ’l piacere;
e chinato su lei, muto coppiere,
guardo le forme dilettosamente:
la sua testa d’Ermète adolescente
e la sagliente spira de ’l bicchiere.
Or, poi che le pupillo a l’amorosa
concordia de le due forme stupende
io solo, io solo, io solo ho dilettate,
godo infranger la coppa preziosa;
e improvviso un desìo vano mi prende
d’infrangere le membra bene amate.
III.
Splendidi in tra’ vapori aurei de ’l vino
per lei, come pe’ i belli iddii pagani
ne la serenità de ’l ciel latino,
sorgono li atrj d’Alessandro Albani.
In mezzo, un vivo stel diamantino
balza ne ’l sole: tra i fuggenti vani
de le colonne adorano il divino
Sole i cedri, li aranci e i melograni.
Ella posa ne l’ombra, in signorile
atto: si stende a ’l niveo piè d’avanti
la pelle d’una gran tigre di Giava.
Dormono a presso i veltri da ’l sottile
muso di luccio, candidi, eleganti,
snelli, che Paol Veronese amava.
IV.
Vive anco, immersa ne ’l natale aroma,
lungo il mare una gran selva d’aranci,
ove lento il paone apre ne l’ombra
la pompa de le sue fulgide piume?
Un tempo, allor che in chiari ozi taceva
il golfo ed era il sole alto ne’ cieli,
(sempre dolce il ricordo a me) giacere
noi amavamo ne la selva d’oro.
Udivam, ne ’l silenzio, a quando a quando
cader su l’acqua i frutti, ed i paoni
schiamazzare tra i rami a noi su ’l capo;
fin che vinceane il Sonno. E de ’l profumo
agreste come de ’l calor d’un vino
si nutrivano i sogni dilettosi.
V.
Un dì, come il silenzio alto ne’ campi
regnava, a mezzo il giorno, e tra le messi
cantavano i servili uomini un inno
a l’abondanza de ’l rinato pane,
ella solca discender le marmoree
scale de ’l suo palagio; ed i levrieri
d’Africa in torno a lei con prodigiosi
balzi urgevan chiedendo d’inseguire.
Sorrideami, guardando, ella. Secura,
sopra l’ultimo grado, indi blandiva
i bei levrieri dalla rosea gola
candidi cacciatori, insofferenti
d’ozio, che in torno a lei con prodigiosi
balzi urgevan chiedendo d’inseguire.
VI.
Ne ’l cortile marmoreo, tra l’alte
colonne a cui s’abbracciano le piante
con amorosi vincoli di fiori,
tace la Bella Fonte, inanimata?
Nè più Bacco fanciullo, in su li opimi
grappoli assiso, ride da la tonda
faccia e vendemmia, candido tra l’acque
riscintillanti a ’l sole ed a la luna?
Scendevano i suoi bianchi cani a l’alba
latrando; ed ella li seguìa ne ’l corso
tenendo entro il gentil pugno i guinzali.
E conduceali a dissetarsi. Oh dolce
cosa vedere lei presso la fonte,
simile a Delia, tra i beventi cani!