Isaotta Guttadauro/Booz addormentato
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BOOZ ADDORMENTATO
Ella cavalca, lungo il reo padule; |
L’Alunna.
Disegno di Mario de Maria.
Da Victor Hugo.
I.
Ora Booz giaceva, stanco le braccia e il petto,
però che faticato avea molto su l’aja.
IZd or giaceva alfine Booz, presso le staia
ricolme di fromento, ne ’l consueto letto.
Possedea grandi il vecchio campi d’orzo e di grano
al sole; e prosperavano i suoi campi in dovizia.
Se ben dovizioso, era mite ed umano
il vecchio; e incline avea l’animo a la giustizia.
Quando a sera tornavano da le agresti fatiche
carichi di manipoli i mietitori a torme,
ei, vedendo una femmina china cercar ne l’orme,
dicea: - Lasciate, o uomini probi, cader le spiche.
Così, candidamente, lungi da oblique strade,
di probità vestito e di lino, incedeva.
Parean publiche fonti le sue sacca di biade,
però che vi attingeano quanti la fame urgeva.
D’argento era la barba, come rivo d’aprile.
Le femmine guardavano, più che l’ésili e blande
forme di un uomo giovine, quella forma senile;
però che l’uomo giovine bello è, ma il vecchio è grande.
Il vecchio, risagliente a le origini prime,
entra nelli anni eterni, esce dai di malcerti.
Al giovine una fiamma brilla ne li occhi aperti,
ma ne li occhi de ’l vecchio è una luce sublime.
II.
Ora Booz dormiva ne la notte tra i suoi.
Presso le mole simili ne l’ombra a monumenti,
i mietitori stavano distesi, come armenti
stanchi. E questo era in tempi lontanissimi a noi.
Le tribù d’Israello avcan per capo un saggio.
La terra, esercitata da una gente errabonda
che ignote orme giganti scopria ne ’l suo passaggio,
tutta era molle ed umida pe ’l diluvio e feconda.
III.
Come Jacob e Judith, con le pálpebre chiuse
Booz giacca ne ’l grave sonno patriarcale.
Or la porta de ’l ciclo su ’l suo capo si schiuse
e ne discese un sogno. Ed il sogno fu tale:
Booz vide una quercia fuor de ’l suo ventre in piena
vita sorgere e lenta giugner l’ultimo lume.
Una stirpe di umani vi s’ergea, qual catena:
un re cantava a ’l piede, moriva in alto un nume.
E mormorava Booz, sotto le verdi foglie:
— Come può mai, Signore, questo dunque accadere?
Su ’l mio capo fiorirono ottanta primavere:
ed io non ho figliuoli, ed io non ho più moglie.
Da gran tempo colei che meco ebbi giacente
ha lasciato il mio letto pe ’l tuo letto. Signore;
e noi slam l’una all’altro ancor misti d’amore,
ella pur semiviva ed io quasi morente.
Una progenie nuova da me sorgere a gloria?
Or come posso io dunque aver prole, o Signore?
La prima giovinezza ha trionfanti aurore:
esce il di da la notte come da una vittoria;
ma la vecchiezza è tremula, quale ai venti alberello.
Io son vedovo, solo, ne ’l vespero, su ’l monte;
come un bove assetato piega all’acqua la fronte,
io l’anima reclino, mio Dio, verso l’avello. -
Così Booz parlava, ne la misteriosa
notte, e a Dio volgea l’occhio inerte; però che
l’alto cedro non sente a ’l suo piede una rosa
e non sentiva Booz una donna a ’l suo piè.
IV.
Mentre Booz dormiva, Ruth, una moabita,
s’era distesa ai piedi de ’l vecchio, nuda il seno,
sperando un qualche ignoto raggio o ignoto baleno
se venia co ’l risveglio la luce de la vita.
Ora Booz inconscio dormiva sotto i cieli;
Ruth inconscia attendea, con pia serenità.
Una fresca fragranza salia da li asfodeli,
e i soffi de la notte languian su Galgalà.
Era l’ombra solenne, augusta e nuziale.
Volavan forse, innanzi a li occhi stupefatti
de li umani, erranti angeli; però che in alto a tratti
apparivano azzurri lembi simili ad ale.
Il largo respirare di Booz dormiente
mesceasi de’ ruscelli a ’l romor roco e grave.
Era nel tempo quando la natura è soave:
i colli avevano gigli su la cima fiorente.
Ruth pensava; dormiva Booz. L’erbe alte e nere
ondeggiavano; in pace respiravan li armenti;
una immensa dolcezza scendea da i firmamenti.
Era l’ora in cui placidi vanno i leoni a bere.
Ogni cosa taceva in Ur e in Jerimàde.
Li astri riscintillavano su pe ’l cielo profondo;
il mite arco lunare, tra il giardino giocondo
de’ fiori de la luce, risplendea su le biade;
e Ruth, immota, li occhi socchiudendo tra i veli,
chiedea: - Qual mietitore dio de l’eterna estate,
poi che le sue stellanti ariste ebbe tagliate,
gittò la falce d’oro ne ’l gran campo dei cieli?