Ippolito/Parodo
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Entra nell’orchestra il Coro, composto di donne di Trezène.
coro
Strofe I
Una celebre roccia
v’ha, che l’acque distilla dell’Ocèano,
che ricche scaturigini
versa, onde linfe attingono le càlpidi.
Nel suo rorido corso
qui tergeva i purpurei
pepli un’amica mia, sovresso il tepido
aprico alpestre dorso
li stendeva; e qui pria
parlare udii della signora mia:
Antistrofe I
che su doglioso talamo
il suo corpo si strugge fra gli spasimi,
nella reggia, e di morbidi
veli asconde la sua flava cesarie.
La sua persona augusta
già da tre dí purifica
col digiuno, raccontano: di Dèmetra
la spica ella non gusta;
ma per segreta doglia
toccar di morte vuol l’orrida soglia.
Strofe II
Alcun forse t’esàgita
dei Numi, o Pan od Ècate,
o alcun dei Coribanti
sacri, o la Diva dei montani vertici?
O dei libami santi
priva lasciasti la Dittínna vergine1,
ch’ora cosí ti stermina?
Ella sopra la terra,
e dove acque impaludano,
e sui marini umidi vortici erra.
Antistrofe II
Oppur lo sposo, il nobile
degli Erettídi principe,
avvince di segreta
passïone altra donna, in letto adultero?
Oppur giunse di Creta
qualche nocchiero al porto ospitalissimo
su ogni altro ai nauti, una feral notizia
recando alla Signora;
ed essa pel cordoglio
giace dei mal’, nel talamo, e s’accora?
Epodo
Delle donne la debole
difficil tempra, se d’amor delirio
l’occupa, o nello spasimo
dei parti, umor fastidïoso investe.
Anche nel grembo mio spirò tale aura
un giorno: ond’io preghiere
rivolsi alla celeste
Artèmide, che agevola
i parti, e gode saettar le fiere:
essa, con gli altri Dei
sempre benigna accorre ai voti miei.