Inni di Callimaco/Giove
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Premessa dell'editore | Apollo | ► |
Fra gli altari di Giove e i pingui fumi1
Che si addice cantar se non lui grande,
Lui domator di Flegra e re de’ numi?
Il cor s’inforsa quì se te domande
5Ditteo Giove, o Liceo; diverso grido
Di tuo loco natio la fama spande,
Ed or l’Arcade suol chiama tuo nido,
Or la pendice Idea; quando raccoglie
Il vero? O labbro de’ Cretesi infido,2
10Che scritto al sommo di funeste soglie
Hanno il tuo nome! Tu vivi, nè Parca
Stenderà sua ragion su le tue spoglie.
Nel Parrasio, ove Rea fu di te scarca,
Santa è una parte d’ogni luce muta,
15Che il dì per le conserte ombre non varca.
Da indi in quà non fu donna venuta,
Nè fera sotto la frondosa chioma
Nel tempo di gridar: Lucina ajuta.3
Vecchia fama degli Arcadi la noma
20Il talamo di Rea, che quando scosse
Dal grave fianco la divina soma,
Con ardente desio cercando mosse
Un limpido ruscello a mondar quanto
Nel parvoletto, e in se da mondar fosse.
25Non di Ladone il rio, non d’Erimanto
La chiara onda correa, di fonti e fiumi
Povero dell’Arcadia era ogni canto,
La qual dall’ubertà de’ suoi cacumi,
Nella stagion che Rea la zona solve,
30Tanti dovea versar d’acque volumi.
Dove Giaon la sua fiumana volve,
E dove Mela e Carnion s’informa,
Sorgeano querce, e rote scotean polve,
Eran covili di ferina torma,
35Metope ancor si nascondea sotterra,
E sovra Crati i piè stampavan orma.
Stava l’inferma diva in questa guerra,
Quando gridò con dolorosa fronte:
Partorisci tu pure, amica Terra,
40Agevolmente il puoi: l’arido monte
Con la verga percosse, e quel si aperse,
E spose immantinente un vivo fonte,
Di cui la madre il picciol nato asperse,
E il chiuse in fasce, e accomandollo a Neda,4
45Che i piedi alla Dittea grotta converse;
Più dell’altre nutrici antica Neda
Dopo Filira e Stige, e non è lieve
Mercè se il fiume è nominato Neda.
Il mare di Lepréo l’ampie riceve
50Schiere di questo rio, delle cui vene
Antique il germe Licaonio beve.
Era la fuga tua tra Gnosso e Tene,
Quando lasciasti ciò laonde voce
Tolgon di Onfalie le infraposte arene.5
55Te dentro la Dittea romita foce
Accolgono le ninfe, e il sonno adesca
Alle tue cune di Adrastéa la voce.
Le poppe di Amaltea ti furon esca,
E dell’Ape Panacri i dolci studi,
60Fama di cui sull’Ida ancora è fresca.
Moveano Coribanti armati ludi
Ne’ tuoi vagiti, e le brandite spade
Fallian Saturno e i risonanti scudi.
In vita t’accrescevi ed in beltade;
65Bionda calugin ti fioria le gote
Per tempo, e precorrea senno ad etade.
Debitamente dell’eteree rote
Fu conceduto a te lo scettro eburno;
Di vecchia opinion son false note,
70Che sorteggiando i figli di Saturno
Partirono gl’imperi; e fia chi pogna
L’inferno a par del bel tempio diurno?
Di cose uguali sorteggiar bisogna
(Troppo è dal Cielo alle contrade morte)
75Nè mentir ciò, che ha faccia di menzogna.
Te le animose man nò l’orba sorte,
Forza e virtù, che sempre è tua vicina
Han fatto re delle celesti porte.
La generosa degli augei regina
80De’ tuoi decreti messaggiera eleggi;
Giove, nel ben de’ miei fidi gl’inchina.
Tu nò le cetre o le battaglie reggi,
Hanno di ciò pensier numi minori,
Tu quei, che affrenan le città, francheggi,
85In potestà de’ quai sono cultori,
Nocchier, guerrieri, ogni del mondo parte;
Che non possono in terra imperatori?
Artefici a Vulcan, guerrieri a Marte,
Venatori a Diana, a Febo sacri
90Sono i maestri della liric’arte,
A Giove i re, che specchi e simulacri
In terra sono de’ celesti numi;
Però tu li governi e in soglio sacri;
E dalle torri con intenti lumi
95Scerni chi regge con paterna cura,
E chi n’accora di crudei costumi,
E dispensi tesor, nè con misura
Uguale a ciascun re; vedi lo duce6
Nostro, che abbatte ogni regal ventura.
100Suoi consigli a fornir basta una luce,
Non bastan molti altrui giri di Sole,
Altri l’impresa a termin non adduce.
Salve, sovrana di Saturno prole,
Largitor di letizia e di salute;
105Quai ponno il tuo valor chiuder parole?
Salve, e mi dona con tesor virtute;
Non val tesoro se virtù nol move;
Virtudi son senza dovizia mute;
Di ricchezza e virtù degnami o Giove.
Note
- ↑ [p. 86 modifica]Gl’inni si cantavano o prima o dopo o in mezzo le libazioni.
- ↑ [p. 86 modifica]Erano diverse le opinioni intorno al luogo natale di Giove. I Cretesi lo diceano nato, cresciuto, e morto in Creta, e mostravano la iscrizione Sepolcro di Giove, onde ebbero nome di bugiardi.
- ↑ [p. 86 modifica]Nell’antro in cui Rea partorì Giove, non era concesso a femmina di qualunque specie il partorire. Pausania parla di altri sacri recinti, nei quali non era lecito nascere o morire; perciò se ne recavano lungi le femmine prossime a partorire, e gl’infermi.
- ↑ [p. 86 modifica]Stige, Filira, e Neda erano le maggiori tra le innumerevoli figlie dell’Oceano. Il malaugurato destino escluse la prima dall’onore di partecipare all’educazione di Giove, ed esclusero la seconda gli amori di Saturno, che un tempo avevano fatta gelosa Rea.
- ↑ [p. 86 modifica]In queste regioni cadde l’ombelico al pargoletto Giove; onde presero il nome di Onfalie, o sia ombelicali.
- ↑ [p. 86 modifica]Leggiadramente il poeta scorre quì nelle lodi di Tolomeo Filadelfo re d’Egitto, nella grazia del quale fioriva.