Giove

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Callimaco - Inni (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Dionigi Strocchi (1816)
Giove
Premessa dell'editore Apollo

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Fra gli altari di Giove e i pingui fumi1
     Che si addice cantar se non lui grande,
     Lui domator di Flegra e re de’ numi?

Il cor s’inforsa quì se te domande
     5Ditteo Giove, o Liceo; diverso grido
     Di tuo loco natio la fama spande,

Ed or l’Arcade suol chiama tuo nido,
     Or la pendice Idea; quando raccoglie
     Il vero? O labbro de’ Cretesi infido,2

10Che scritto al sommo di funeste soglie
     Hanno il tuo nome! Tu vivi, nè Parca
     Stenderà sua ragion su le tue spoglie.

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Nel Parrasio, ove Rea fu di te scarca,
     Santa è una parte d’ogni luce muta,
     15Che il dì per le conserte ombre non varca.

Da indi in quà non fu donna venuta,
     Nè fera sotto la frondosa chioma
     Nel tempo di gridar: Lucina ajuta.3

Vecchia fama degli Arcadi la noma
     20Il talamo di Rea, che quando scosse
     Dal grave fianco la divina soma,

Con ardente desio cercando mosse
     Un limpido ruscello a mondar quanto
     Nel parvoletto, e in se da mondar fosse.

25Non di Ladone il rio, non d’Erimanto
     La chiara onda correa, di fonti e fiumi
     Povero dell’Arcadia era ogni canto,

La qual dall’ubertà de’ suoi cacumi,
     Nella stagion che Rea la zona solve,
     30Tanti dovea versar d’acque volumi.

Dove Giaon la sua fiumana volve,
     E dove Mela e Carnion s’informa,
     Sorgeano querce, e rote scotean polve,

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Eran covili di ferina torma,
     35Metope ancor si nascondea sotterra,
     E sovra Crati i piè stampavan orma.

Stava l’inferma diva in questa guerra,
     Quando gridò con dolorosa fronte:
     Partorisci tu pure, amica Terra,

40Agevolmente il puoi: l’arido monte
     Con la verga percosse, e quel si aperse,
     E spose immantinente un vivo fonte,

Di cui la madre il picciol nato asperse,
     E il chiuse in fasce, e accomandollo a Neda,4
     45Che i piedi alla Dittea grotta converse;

Più dell’altre nutrici antica Neda
     Dopo Filira e Stige, e non è lieve
     Mercè se il fiume è nominato Neda.

Il mare di Lepréo l’ampie riceve
     50Schiere di questo rio, delle cui vene
     Antique il germe Licaonio beve.

Era la fuga tua tra Gnosso e Tene,
     Quando lasciasti ciò laonde voce
     Tolgon di Onfalie le infraposte arene.5


     

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55Te dentro la Dittea romita foce
     Accolgono le ninfe, e il sonno adesca
     Alle tue cune di Adrastéa la voce.

Le poppe di Amaltea ti furon esca,
     E dell’Ape Panacri i dolci studi,
     60Fama di cui sull’Ida ancora è fresca.

Moveano Coribanti armati ludi
     Ne’ tuoi vagiti, e le brandite spade
     Fallian Saturno e i risonanti scudi.

In vita t’accrescevi ed in beltade;
     65Bionda calugin ti fioria le gote
     Per tempo, e precorrea senno ad etade.

Debitamente dell’eteree rote
     Fu conceduto a te lo scettro eburno;
     Di vecchia opinion son false note,

70Che sorteggiando i figli di Saturno
     Partirono gl’imperi; e fia chi pogna
     L’inferno a par del bel tempio diurno?

Di cose uguali sorteggiar bisogna
     (Troppo è dal Cielo alle contrade morte)
     75Nè mentir ciò, che ha faccia di menzogna.


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Te le animose man nò l’orba sorte,
     Forza e virtù, che sempre è tua vicina
     Han fatto re delle celesti porte.

La generosa degli augei regina
     80De’ tuoi decreti messaggiera eleggi;
     Giove, nel ben de’ miei fidi gl’inchina.

Tu nò le cetre o le battaglie reggi,
     Hanno di ciò pensier numi minori,
     Tu quei, che affrenan le città, francheggi,

85In potestà de’ quai sono cultori,
     Nocchier, guerrieri, ogni del mondo parte;
     Che non possono in terra imperatori?

Artefici a Vulcan, guerrieri a Marte,
     Venatori a Diana, a Febo sacri
     90Sono i maestri della liric’arte,

A Giove i re, che specchi e simulacri
     In terra sono de’ celesti numi;
     Però tu li governi e in soglio sacri;

E dalle torri con intenti lumi
     95Scerni chi regge con paterna cura,
     E chi n’accora di crudei costumi,

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E dispensi tesor, nè con misura
     Uguale a ciascun re; vedi lo duce6
     Nostro, che abbatte ogni regal ventura.

100Suoi consigli a fornir basta una luce,
     Non bastan molti altrui giri di Sole,
     Altri l’impresa a termin non adduce.

Salve, sovrana di Saturno prole,
     Largitor di letizia e di salute;
     105Quai ponno il tuo valor chiuder parole?

Salve, e mi dona con tesor virtute;
     Non val tesoro se virtù nol move;
     Virtudi son senza dovizia mute;

Di ricchezza e virtù degnami o Giove.


Note

  1. [p. 86 modifica]Gl’inni si cantavano o prima o dopo o in mezzo le libazioni.
  2. [p. 86 modifica]Erano diverse le opinioni intorno al luogo natale di Giove. I Cretesi lo diceano nato, cresciuto, e morto in Creta, e mostravano la iscrizione Sepolcro di Giove, onde ebbero nome di bugiardi.
  3. [p. 86 modifica]Nell’antro in cui Rea partorì Giove, non era concesso a femmina di qualunque specie il partorire. Pausania parla di altri sacri recinti, nei quali non era lecito nascere o morire; perciò se ne recavano lungi le femmine prossime a partorire, e gl’infermi.
  4. [p. 86 modifica]Stige, Filira, e Neda erano le maggiori tra le innumerevoli figlie dell’Oceano. Il malaugurato destino escluse la prima dall’onore di partecipare all’educazione di Giove, ed esclusero la seconda gli amori di Saturno, che un tempo avevano fatta gelosa Rea.
  5. [p. 86 modifica]In queste regioni cadde l’ombelico al pargoletto Giove; onde presero il nome di Onfalie, o sia ombelicali.
  6. [p. 86 modifica]Leggiadramente il poeta scorre quì nelle lodi di Tolomeo Filadelfo re d’Egitto, nella grazia del quale fioriva.