Iliade (Monti)/Libro VII

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Libro VII

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Omero - Iliade (Antichità)
Traduzione dal greco di Vincenzo Monti (1825)
Libro VII
Libro VI Libro VIII

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LIBRO SETTIMO


ARGOMENTO

Ettore e Paride rispingono i Greci. Eleno, per inspirazione divina, consiglia Ettore che, fatta cessare la battaglia, sfidi a singolar tenzone il più valente de’ Greci. Ettore accoglie la proposta. I Greci esitano alquanto ad accettare la disfida. Quindi rimproverati da Nestore, nove di loro offronsi pronti a combattere. Poste le sorti, esce quella di Aiace Telamonio. Descrizione del duello. I combattenti, sopravvenendo la notte, sono separati dagli araldi. I Greci, per consiglio di Nestore, sospendono le armi onde attendere alla sepoltura de’ morti ed alla costruzione d’un muro per difesa del campo. Assemblea de’ Troiani. Idéo viene nel campo greco a proporre condizioni di pace, e a domandare una tregua per seppellire i morti. Le prime sono rigettate, la seconda è accordata. Muro costrutto dai Greci. Sdegno di Nettunno. Conviti notturni de’ Greci e de’ Troiani. Segni infausti mandati da Giove durante la notte.


Così dicendo, dalle porte eruppe
Seguíto dal fratello il grande Ettorre.
Ardono entrambi di far pugna: e quale
I naviganti allegra amico vento
Che un Dio lor manda allor che stanchi ei sono5
D’agitar le spumanti onde co’ remi,
E cascano le membra di fatica;
Tali al desío de’ Teucri essi appariro.
   A prima giunta Paride stramazza
Menestio d’Arna abitatore, e figlio10
Del portator di clava Arëitóo,

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A cui lo partoría Filomedusa
Per grand’occhi lodata. Ettore attasta
Eïoneo di lancia alla cervice
Sotto l’elmetto, e morto lo distende.15
Glauco, duce de’ Licii, a un tempo istesso
D’un colpo di zagaglia ad Ifinóo,
Prole di Déssio, l’omero trafigge
Appunto in quella che salía sul cocchio,
E dal cocchio al terren morto il trabocca.20
   Vista la strage degli Achei, Minerva
Dall’Olimpo calossi impetuosa
Verso il sacro Ilïon. La vide Apollo
Dalla pergámea rocca, e vincitori
Bramando i Teucri, le si fece incontro25
Vicino al faggio, e favellò primiero:
   Figlia di Giove, e quale il cor t’invade
Furia novella? E qual sì grande affetto
Dall’Olimpo ti spinge? a portar forse
Della pugna agli Achei la dubbia palma,30
Poichè niuna ti tocca il cor pietade
Dello strazio de’ Teucri? Or su, m’ascolta,
E fia lo meglio. Si sospenda in questo
Giorno la zuffa, e alla novella aurora
Si ripigli e s’incalzi infin che Troia35
Cada: da che la sua caduta a voi
Possenti Dive il cor cotanto invoglia.
   Sia così, Palla gli rispose: io scesi
Fra i Troiani e gli Achei con questa mente.
Ma come avvisi di quetar la pugna?40
   Suscitiam, replicava il saettante
Figlio di Giove, suscitiam la forte
Alma d’Ettorre a provocar qualcuno
De’ prodi Achivi a singolar tenzone:
E indignati gli Achivi un valoroso45

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Spingano anch’essi a cimentarsi in campo
Da solo a solo col troian guerriero.
   Disse, e Minerva acconsentía. Conobbe
De’ consultanti iddii tosto il disegno
Il Prïamide Eléno in suo pensiero,50
E ad Ettore venuto: Ettore, ei disse,
Pari a quello d’un nume è il tuo consiglio;
Ma udir vuoi tu del tuo fratello il senno?
Fa dall’armi cessar Teucri ed Achei,
E degli Achei tu sfida il più valente55
A singolar certame. Io ti fo certo
Che il tuo giorno fatal non giunse ancora;
Così mi dice degli Dei la voce.
   Esultò di letizia all’alto invito
Il valoroso: e presa per lo mezzo60
La sua gran lancia, e tra l’un campo e l’altro
Procedendo, fe’ alto alle troiane
Falangi; ed elle soffermârsi tutte.
Soffermârsi del pari al riverito
Cenno d’Atride i coturnati Achivi,65
E in forma d’avoltoi Minerva e Febo
Sull’alto faggio s’arrestâr di Giove,
Con diletto mirando de’ guerrieri
Quinci e quindi seder dense le file
D’elmi orrende e di scudi e d’aste erette.70
   Quale è l’orror che di Favonio il soffio
Nel suo primo spirar spande sul mare,
Che destato s’arruffa e l’onde imbruna;
Tale de’ Teucri e degli Achei nel vasto
Campo sedute comparían le file.75
Trasse Ettorre nel mezzo, e così disse:
   Udite, o Teucri, udite attenti, o Achivi,
Ciò che nel petto mi ragiona il core.
Ratificar non piacque all’alto Giove

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I nostri giuramenti, e in suo segreto80
Agli uni e agli altri macchinar ne sembra
Grandi infortunii, finchè l’ora arrivi
Ch’Ilio per voi s’atterri, o che voi stessi
Atterrati restiate appo le navi.
Or quando il vostro campo il fior racchiude85
Degli achivi guerrieri, esca a duello
Chi cuor si sente: lo disfida Ettorre.
Eccovi i patti del certame, e Giove
Testimonio ne sia. Se il mio nemico
M’ucciderà, dell’armi ei mi dispogli,90
E le si porti; ma il mio corpo renda,
Onde i Troiani e le troiane spose
M’onorino del rogo. Ov’io lui spegna,
Ed Apollo la palma a me conceda,
Porteronne le tolte armi nel sacro95
Ilio, e del nume appenderolle al tempio:
Ma l’intatto cadavere alle navi
Vi sarà rimandato, onde d’esequie
L’orni l’achea pietade e di sepolcro
Su l’Ellesponto. Lo vedrà de’ posteri100
Naviganti qualcuno, e fia che dica:
Ecco la tomba d’un antico prode
Che combattendo coll’illustre Ettorre
Glorïoso perì. Questo fia detto,
Ed eterno vivrassi il nome mio.105
   All’audace disfida ammutoliro
Gli Achei, tementi d’accettarla, e insieme
Di recusarla vergognosi. Alfine
In piè rizzossi Menelao, nell’imo
Del cor gemendo, ed in acerbi detti110
Prorompendo gridò: Vili superbi,
Achive, non Achei! Fia questo il colmo
Dell’ignominia, se tra voi non trova

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Quell’audace Troian chi gli risponda.
Oh possiate voi tutti in nebbia e polve115
Resoluti sparir, voi che vi state
Qui senza core immoti e senza onore.
Ma io medesmo, io sì, contra costui
Scenderò nell’arena. In man de’ numi
Della vittoria i termini son posti.120
   Ciò detto, l’armi indossa. E certo allora
Per le mani d’Ettorre, o Menelao,
Trovato avresti di tua vita il fine,
(Ch’egli di forza ti vincea d’assai)
Se subito in piè surti i prenci achivi125
Non rattenean tua foga. Egli medesmo
Il regnatore Atride Agamennóne
L’afferrò per la mano, e, Tu deliri,
Disse, e il delirio non ti giova. Or via,
Fa senno, e premi il tuo dolor, nè spinto130
Da bellicosa gara avventurarti
Con un più prode di cui tutti han tema,
Col Prïamide Ettorre. Anco il Pelíde,
Sì più forte di te, lo scontro teme
Di quella lancia nel conflitto. Or dunque135
Ritorna alla tua schiera, e statti in posa.
Gli desteranno incontra altro più fermo
Duellator gli Achivi, e tal ch’Ettorre,
Intrepido quantunque ed indefesso,
Metterà volentier, se dritto io veggo,140
Le ginocchia in riposo, ove pur sia
Che netto egli esca dalla gran tenzone.
   Svolse il saggio parlar del sommo Atride
Del fratello il pensier, che obbedïente
Quetossi, e lieti gli levâr di dosso145
Le bell’arme i sergenti. Allor nel mezzo
Surse Nestore, e disse: Eterni Dei!

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Oh di che lutto ricoprirsi io veggio
La casa degli eroi, l’achea contrada!
Oh quanto in cor ne gemerà l’antico150
Di cocchi agitator Peléo, di lingua
Fra’ Mirmidon sì chiaro e di consiglio;
Egli che in sua magion solea di tutti
Gli Achei le schiatte dimandarmi e i figli,
E giubilava nell’udirli! Ed ora155
Se per Ettorre ei tutti li sapesse
Di terror costernati, oh come al cielo
Alzerebbe le mani, e pregherebbe
Di scendere dolente anima a Pluto!
O Giove padre, o Pallade, o divino160
Di Latona figliuol! chè non son io
Nel fior degli anni, come quando in riva
Pugnâr del ratto Celadonte i Pilii
Con la sperta di lancia arcade gente
Sotto il muro di Fea verso le chiare165
Del Járdano correnti? Alla lor testa
Ereutalion venía, che pari a nume
L’armatura regal d’Arëitóo
Indosso avea, del divo Arëitóo
Che gli uomini tutti e le ben cinte donne170
Clavigero nomâr; perchè non d’arco
Nè di lunga asta armato ei combattea,
Ma con clava di ferro poderosa
Rompea le schiere. A lui diè morte poscia,
Pel valore non già, ma per inganno175
Licurgo al varco d’un angusto calle,
Ove il rotar della ferrata clava
Al suo scampo non valse; chè Licurgo
Prevenendone il colpo traforògli
L’epa coll’asta, e stramazzollo; e l’armi180
Così gli tolse che da Marte egli ebbe,

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Armi che poscia l’uccisor portava
Ne’ fervidi conflitti; insin che, fatto
Per vecchiezza impotente, al suo diletto
Prode scudiero Ereutalion le cesse.185
Di queste dunque altero iva costui
Disfidando i più forti, ed atterriti
N’eran sì tutti, che nessun si mosse.
Ma io mi mossi audace core, e d’anni
Minor di tutti m’azzuffai con esso,190
E col favor di Pallade lo spensi:
Forte eccelso campion che in molta arena
Giaceami steso al piede. Oh mi fiorisse
Or quell’etade e la mia forza intégra!
Per certo Ettorre trovería qui tosto195
Chi gli risponda. E voi del campo acheo
I più forti, i più degni, ad incontrarlo
Voi non andrete con allegro petto?
   Tacque: e rizzârsi subitani in piedi
Nove guerrieri. Si rizzò primiero200
Il re de’ prodi Agamennón; rizzossi
Dopo lui Dïomede, indi ambedue
Gl’impetuosi Aiaci; indi, col fido
Merïon bellicoso, Idomenéo;
E poscia d’Evemon l’inclito figlio205
Eurípilo, e Toante Andremoníde,
E il saggio Ulisse finalmente. Ognuno
Chiese il certame coll’eroe troiano.
Disse allora il buon veglio: Arbitra sia
Della scelta la sorta, e sia l’eletto,210
Salvo tornando dall’ardente agone,
Degli Achei la salute e di sè stesso.
   Segna a quel detto ognun sua sorte: e dentro
L’elmo la gitta del maggiore Atride.
La turba intanto supplicante ai numi215

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Sollevava le palme; e con gli sguardi
Fissi nel cielo udíasi dire: o Giove,
Fa che la sorte il Telamónio Aiace
Nomi, o il Tidíde, o di Micene il sire.
   Così pregava; e il cavalier Nestorre220
Agitava le sorti: ed ecco uscirne
Quella che tutti desïâr. La prese,
E a dritta e a manca ai prenci achivi in giro
La mostrava l’araldo, e nullo ancora
La conoscea per sua. Ma come, andando225
Dall’uno all’altro, il banditor pervenne
Al Telamónio Aiace e gliela porse,
Riconobbe l’eroe lieto il suo segno,
E gittatolo in mezzo, Amici, è mia,
Gridò, la sorte, e ne gioisce il core,230
Che su l’illustre Ettór spera la palma.
Voi, mentre l’armi io vesto, al sommo Giove
Supplicate in silenzio, onde non sia
Dai teucri orecchi il vostro prego udito;
O supplicate ad alta voce ancora,235
Se sì vi piace, chè nessuno io temo,
Nè guerriero v’avrà che mio malgrado
Di me trionfi, nè per fallo mio.
Sì rozzo in guerra non lasciommi, io spero,
La marzïal palestra in Salamina,240
Nè il chiaro sangue di che nato io sono.
   Disse; e gli Achivi alzâr gli sguardi al cielo,
E a Giove supplicâr con questi accenti:
Saturnio padre, che dall’Ida imperi
Massimo, augusto! vincitor deh rendi245
E glorïoso Aiace; o se pur anco
T’è caro Ettorre e lo proteggi, almeno
Forza ad entrambi e gloria ugual concedi.
Di splendid’armi frettoloso intanto

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Aiace si vestiva: e poichè tutte250
L’ebbe assunte dintorno alla persona,
Concitato avvïossi, e camminava
Quale incede il gran Marte allor che scende
Tra fiere genti stimolate all’armi
Dallo sdegno di Giove, e dall’insana255
Roditrice dell’alme émpia Contesa.
Tale si mosse degli Achei trinciera
Lo smisurato Aiace, sorridendo
Con terribile piglio, e misurava
A vasti passi il suol, l’asta crollando260
Che lunga sul terren l’ombra spandea.
Di letizia esultavano gli Achivi
A riguardarlo; ma per l’ossa ai Teucri
Corse subito un gelo. Palpitonne
Lo stesso Ettór; ma nè schivar per tema265
Il fier cimento, nè tra’ suoi ritrarsi
Più non gli lice, chè fu sua la sfida.
E già gli è sopra Aiace coll’immenso
Pavese che parea mobile torre;
Opra di Tichio, d’Ila abitatore,270
Prestantissimo fabbro, che di sette
Costruito l’avea ben salde e grosse
Cuoia di tauro, e indóttavi di sopra
Una falda d’acciar. Con questo al petto
Enorme scudo il Telamónio eroe275
Fêssi avanti al Troiano, e minaccioso
Mosse queste parole: Ettore, or chiaro
Saprai da solo a sol quai prodi ancora
Rimangono agli Achei dopo il Pelíde
Cuor di lïone e rompitor di schiere.280
Irato coll’Atride egli alle navi
Neghittoso si sta; ma noi siam tali,

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Che non temiamo lo tuo scontro, e molti.
Comincia or tu la pugna, e tira il primo.
   Nobile prence Telamónio Aiace,285
Rispose Ettorre, a che mi tenti, e parli
Come a imbelle fanciullo o femminetta
Cui dell’armi il mestiero è pellegrino?
E anch’io trattar so il ferro e dar la morte,
E a dritta e a manca anch’io girar lo scudo,290
E infaticato sostener l’attacco,
E a piè fermo danzar nel sanguinoso
Ballo di Marte, o d’un salto sul cocchio
Lanciarmi, e concitar nella battaglia
I veloci destrier. Nè già vogl’io295
Un tuo pari ferire insidïoso,
Ma discoperto, se arrivar ti posso.
   Ciò detto, bilanciò colla man forte
La lunga lancia, e saettò d’Aiace
Il settemplice scudo. Furïosa300
La punta trapassò la ferrea falda
Che di fuor lo copriva, e via scorrendo
Squarciò sei giri del bovin tessuto,
E al settimo fermossi. Allor secondo
Trasse Aiace, e colpì di Priamo il figlio305
Nella rotonda targa. Traforolla
Il frassino veloce, e nell’usbergo
Sì addentro si ficcò, che presso al lombo
Lacerògli la tunica. Piegossi
Ettore a tempo, ed evitò la morte.310
Ricovrò l’uno e l’altro il proprio telo,
E all’assalto tornâr come per fame
Fieri leoni, o per vigor tremendi
Arruffati cinghiali alla montagna.
Di nuovo Ettorre coll’acuto cerro315
Colpì lo scudo ostil, ma senza offesa,

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Ch’ivi la punta si curvò: di nuovo
Trasse Aiace il suo telo, ed alla penna
Dello scudo ferendo, a parte a parte
Lo trapassò, gli punse il collo, e vivo320
Sangue spiccionne. Nè per ciò l’attacco
Lasciò l’audace Ettorre. Era nel campo
Un negro ed aspro enorme sasso: a questo
Diè di piglio il Troiano, e contra il Greco
Lo fulminò. Percosse il duro scoglio325
Il colmo dello scudo, e orribilmente
Ne rimbombò la ferrea piastra intorno.
Seguì l’esempio il gran Telamoníde,
Ed afferrato e sollevato ei pure
Un altro più d’assai rude macigno,330
Con forza immensa lo rotò, lo spinse
Contra il nemico. Il molar sasso infranse
L’ettoreo scudo, e di tal colpo offese
Lui nel ginocchio, che riverso ei cadde
Con lo scudo sul petto: ma rizzollo335
Immantinente di Latona il figlio.
E qui tratte le spade i due campioni
Più da vicino si ferían, se ratti,
Messaggieri di Giove e de’ mortali,
Non accorrean gli araldi, il teucro Idéo,340
E l’achivo Taltíbio, ambo lodati
Di prudente consiglio. Entrâr costoro
Con securtade in mezzo ai combattenti,
Ed interposto fra le nude spade
Il pacifico scettro, il saggio Idéo345
Così primiero favellò: Cessate,
Diletti figli, la battaglia. Entrambi
Siete cari al gran Giove, entrambi (e chiaro
Ognun sel vede) acerrimi guerrieri:
Ma la notte discende, e giova, o figli,350

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Alla notte obbedir. - Dimandi Ettorre
Questa tregua, rispose il fiero Aiace:
Primo ei tutti sfidonne, e primo ei chiegga.
Ritirerommi, se l’esempio ei porga.
   E l’illustre rival tosto riprese:355
Aiace, i numi ti largir cortesi
Pari alla forza ed al valore il senno,
E nel valor tu vinci ogni altro Acheo.
Abbian riposo le nostr’armi, e cessi
La tenzon. Pugneremo altra fïata360
Finchè la Parca ne divida, e intera
All’uno o all’altro la vittoria doni.
Or la notte già cade, e della notte
Romper non dêssi la ragion. Tu riedi
Dunque alle navi a rallegrar gli Achivi,365
I congiunti, gli amici. Io nella sacra
Città rïentro a serenar de’ Teucri
Le meste fronti e le dardanie donne,
Che in lunghi pepli avvolte appiè dell’are
Per me si stanno a supplicar. Ma pria370
Di dipartirci, un mutuo dono attesti
La nostra stima: e gli Achei poscia e i Teucri
Diran: Costoro duellâr coll’ira
Di fier nemici, e separârsi amici.
   Così dicendo, la sua propria spada375
Gli presentò d’argentei chiovi adorna
Con fulgida vagina ed un pendaglio
Di leggiadro lavoro; Aiace a lui
Il risplendente suo purpureo cinto.
   Così divisi, agli Achei l’uno, ai Teucri380
L’altro avvïossi. Esilarârsi i Teucri,
Vivo il lor duce ritornar veggendo
Dalla forza scampato e dall’invitte
Mani d’Aiace; e trepidanti ancora

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Del passato periglio alla cittade385
L’accompagnaro. Dall’opposta parte
Della palma superbo il lor campione
Guidâr gli Achivi al padiglion d’Atride,
Che per tutti onorar tosto al Tonante
Un bue quinquenne in sacrificio offerse.390
Lo scuoiâr, lo spaccâr, lo fêro in brani
Acconciamente, e negli spiedi infisso
L’abbrustolâr con molta cura, e tolto
Il tutto al foco, l’apprestâr sul desco,
E banchettando ne cibò ciascuno395
A pien talento. Ma l’immenso tergo
Del sacro bue donollo Agamennóne
D’onore in segno al vincitor guerriero.
   Del cibarsi e del ber spento il desío,
Il buon veglio Nestorre, di cui sempre400
Ottimo uscía l’avviso, in questo dire
Svolse il suo senno: Atride e duci achei,
Questo giorno fatal la vita estinse
Di molti prodi, del cui sangue rossa
Fe’ l’aspro Marte la scamandria riva,405
E all’Orco ne passâr l’ombre insepolte.
Al nuovo sole le nostr’armi adunque
Si restino tranquille, e noi sul campo
Convenendo, imporrem le salme esangui
Su le carrette, e muli oprando e buoi,410
Qui ne faremo il pio trasporto, e al rogo
Le darem lungi dalle navi alquanto,
Onde al nostro tornar nel patrio suolo
Le ceneri portarne ai mesti figli.
E dintorno alla pira una comune415
Tomba ergeremo, e di muraglia e d’alte
Torri, a difesa delle navi e nostra,
Con rapido lavor la cingeremo,

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E salde vi apriremo e larghe porte
Per l’egresso de’ cocchi. Indi un’esterna420
Profonda fossa scaverem che tutta
Circondi la muraglia, e de’ cavalli
L’impeto affreni e de’ pedon, se mai
De’ Teucri irrompa l’orgoglioso ardire.
   Disse, e tutti annuiro i prenci achei.425
Di Prïamo alle soglie in questo mentre
Su l’alta iliaca rocca i Teucri anch’essi
Tenean confusa e trepida consulta.
Primo il saggio Antenór sì prese a dire:
   Dardanidi, Troiani, e voi venuti430
In sussidio di Troia, i sensi udite
Che il cor mi porge. Rendasi agli Atridi
Con tutto il suo tesor l’argiva Eléna.
Vïolammo noi soli il giuramento,
E quindi inique le nostr’armi sono.435
Se non si rende, non avrem che danno.
   Così detto, s’assise. E surto in piedi
Il bel marito della bella Argiva
Così Pari rispose: Al cor m’è grave,
Antenore, il tuo detto, e so che porti440
Una miglior sentenza in tuo segreto.
Chè se parli davver, davvero i numi
Ti han tolto il senno. Ma ben io qui schietti
I miei sensi aprirò. La donna io mai
Non renderò, giammai. Quanto alle ricche445
Spoglie che d’Argo a queste rive addussi,
Tutte render le voglio, ed altre ancora
Aggiungeronne di mio proprio dritto.
   Tacque, e sul seggio si raccolse. Allora
In sembianza d’un Dio levossi in mezzo450
Il Dardanide Prïamo, ed, Udite,
Teucri, ei disse, e alleati, il mio pensiero,

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Quale il cor lo significa. Pel campo
Del consueto cibo si ristauri
Ognuno, e attenda alla sua scolta, e vegli.455
Col nuovo sole alle nemiche navi
Idéo sen vada, e ad ambedue gli Atridi
Di Paride, cagion della contesa,
Riferisca la mente, e una discreta
Proposta aggiunga di cessar la guerra,460
Finchè il rogo consunte abbia le morte
Salme de’ nostri, per pugnar di poi
Finchè la Parca ne spartisca, e agli uni
Conceda o agli altri la vittoria intégra.
   Tutti assentiro riverenti al detto:465
Indi pel campo procurâr le cene
In divisi drappelli. Il dì novello
Alle navi s’avvía l’araldo Idéo,
E raccolti ritrova a parlamento
I bellicosi Achei davanti all’alta470
Agamennónia poppa. Appresentossi
Tosto il canoro banditore, e disse:
   Atridi e duci achei, mi diè comando
Priamo e di Troia gli ottimati insieme
Di sporvi, se vi fia grato l’udirla,475
Di Paride, cagion di questa guerra,
Una proferta. Le ricchezze tutte
Ch’ei d’Argo addusse (oh pria perito ei fosse!)
Ei tutte le vi rende, ed altre ancora
Di sua ragion n’aggiungerà. Ma quanto480
Alla gentil tua donna, o Menelao,
Di questa ei niega il rendimento, e indarno
L’esortano i Troiani. E un’altra io reco
Di lor proposta: Se quetar vi piaccia
Della guerra il furor, finchè de’ morti485
Le care spoglie il foco abbia combuste,

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Per indi razzuffarci infin che piena
Tra noi decida la vittoria il fato.
   Disse, e tutti ammutîr. Sciolse il Tidíde
Alfin la voce; e, Niun di Pari, ei grida,490
L’offerta accetti, nè la stessa pure
Rapita donna. Ai Dardani sovrasta,
Un fanciullo il vedría, l’esizio estremo.
   Plausero tutti al suo parlar gli Achivi
Con alte grida, e n’ammiraro il senno.495
Indi vôlto all’araldo il grande Atride:
Idéo, diss’egli, per te stesso udisti
Degli Achei la risposta, e in un la mia.
Quanto agli estinti, di buon grado assento
Che siano incesi; chè non dêssi avaro500
Esser di rogo a chi di vita è privo,
Nè porre indugio a consolarne l’ombra
Coll’officio pietoso. Il fulminante
Sposo di Giuno il nostro giuro ascolti.
   Così dicendo alzò lo scettro al cielo,505
E l’araldo tornossi entro la sacra
Cittade ai Teucri, già del suo ritorno
Impazïenti e in pien consesso accolti.
Giunse, e intromesso la risposta espose.
   Si sparsero allor ratti, altri al carreggio510
De’ cadaveri intenti, altri al funébre
Taglio de’ boschi. Dall’opposta parte
Un cuor medesmo, una medesma cura
Occupava gli Achivi. E già dal queto
Grembo del mare al ciel montando il sole515
Co’ rugiadosi lucidi suoi strali
Le campagne fería, quando nell’atra
Pianura si scontrâr Teucri ed Achei
Ognuno in cerca de’ suoi morti, a tale
Dal sangue sfigurati e dalla polve,520

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Che mal se ne potea, senza lavarli,
Ravvisar le sembianze. Alfin trovati
E conosciuti li ponean su i mesti
Plaustri piangendo. Ma di Priamo il senno
Non consentía del pianto a’ suoi lo sfogo:525
Quindi afflitti, ma muti, al rogo i Teucri
Diero a mucchi le salme; ed arse tutte,
Col cuor serrato alla città tornaro.
   D’un medesmo dolor rotti gli Achei
I lor morti ammassâr sovra la pira,530
E come gli ebbe la funerea fiamma
Consumati, del mar preser la via.
   Non biancheggiava ancor l’alba novella,
Ma il barlume soltanto antelucano,
Quando d’Achei dintorno all’alto rogo535
Scelto stuolo affollossi. E primamente
Alzâr dappresso a quello una comune
Tomba agli estinti, ed alla tomba accanto
Una muraglia a edificar si diero
D’alti torrazzi ghirlandata, a schermo540
Delle navi e di sè: porte vi fêro
Di salda imposta, e di gran varco al volo
De’ bellicosi cocchi: indi lunghesso
L’esterno muro una profonda e vasta
Fossa scavâr di pali irta e gremita.545
Degli Achei la stupenda opra tal era.
   La contemplâr maravigliando i numi
Seduti intorno al Dio de’ tuoni, e irato
Sì prese a dir l’Enosigéo Nettunno:
Giove padre, chi fia più tra’ mortali,550
Che gl’Immortali in avvenir consulti,
E n’implori il favor? Vedi tu quale
E quanto muro gli orgogliosi Achei
Innanti alle lor navi abbian costrutto

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E circondato d’un’immensa fossa555
Senza offerir solenni ostie agli Dei?
Di cotant’opra andrà certo la fama
Ovunque giunge la divina luce,
E il grido morirà delle sacrate
Mura che al re Laomedonte un tempo560
Intorno ad Ilïone Apollo ed io
Edificammo con assai fatica.
   Che dicesti? sdegnoso gli rispose
L’adunator de’ nembi: altro qualunque
Iddio di forza a te minor potrebbe565
Di questo paventar. Ma del possente
Enosigéo la gloria al par dell’almo
Raggio del sole splenderà per tutto.
Or ben: sì tosto che gli Achei faranno
Veleggiando ritorno al patrio lido,570
E tu quel muro abbatti e tutto quanto
Sprofondalo nel mare, e d’alta arena
Coprilo sì che ogni orma ne svanisca.
   In questo favellar l’astro s’estinse
Del giorno, e l’opra degli Achei fu piena.575
Della sera allestite indi le mense
Per le tende, cibâr le opime carni
Di scannati giovenchi, e ristorârsi
Del vino che recato avean di Lenno
Molti navigli; e li spediva Eunéo580
D’Issipile figliuolo e di Giasone.
Mille sestieri in amichevol dono
Eunéo ne manda ad ambedue gli Atridi;
Compra il resto l’armata, altri con bronzo,
Altri con lame di lucente ferro;585
Qual con pelli bovine, e qual col corpo
Del bue medesmo, o di robusto schiavo.
   Lieto adunque imbandîr pronto convito

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Gli Achivi, e tutta banchettâr la notte.
Banchettava del par nella cittade590
Con gli alleati la dardania gente.
Ma tutta notte di Saturno il figlio
Con terribili tuoni annunzïava
Alte sventure nel suo senno ordite.
Di pallido terror tutti compresi595
Dalle tazze spargean le spume a terra
Devotamente, nè veruno ardía
Appressarvi le labbra, se libato
Pria non avesse al prepotente Giove.
Corcârsi alfine, e su lor scese il sonno.600