Il tulipano nero/Parte prima/II

II - I due fratelli.

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Alexandre Dumas - Il tulipano nero (1850)
Traduzione dal francese di Giovanni Chiarini (1851)
II - I due fratelli.
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II


I due fratelli.


Come in un dubbio pieno di presentimento l’aveva detto la bella Rosa, mentre Giovanni de Witt saliva la scala di pietra che conduceva alla prigione di Cornelio suo fratello, i paesani facevano il più che potevano per allontanare la truppa del Tilly, che tenevali in soggezione.

Ciò vedendo, il popolo, che molto apprezzava le buone intenzioni della sua milizia, gridava a tutta gola:

— Viva i paesani!

Quanto al Tilly, prudente quanto fermo, parlamentava con quella compagnia popolana sotto le pistole cariche del suo squadrone, spiegandole alla meglio che la consegna datale dagli Stati imponeva di guardare con tre squadriglie la piazza della prigione e le sue entrate.

— Perchè questi ordini? perchè guardare la prigione? gridavano gli orangisti.

— Oh bella! rispose il Tilly, mi domandate d’assalto più di quello che possa sapere. Mi è stato detto: «Guardate» e guardo. Voi che siete una specie di soldati, o signori, dovete sapere che non si domanda il perchè di una consegna.

— Ma v’è stato dato quest’ordine, perchè i traditori possano escire di città. [p. 14 modifica]

— Può anch’essere, perchè i traditori sono condannati al bando, rispose il Tilly.

— Ma chi ha dato quest’ordine?

— Li Stati, perdio!

— Tradiscono!

— Quanto a ciò, non me n’intendo niente.

— E voi tradite.

— Io?

— Sì, voi.

— Ah via! signori popolani, intendiamoci un po’ tra noi; chi tradirei? Li Stati? Non li posso tradire, perchè essendo al loro soldo, eseguisco puntualmente la loro consegna.

E molto più, siccome il conte aveva perfetta ragione da non ammettere risposta, i clamori e le minacce raddoppiarono tanto spaventevolmente, che il conte rispondeva con tutta l’urbanità possibile:

— Ma, signori popolani, di grazia smontate i vostri fucili, perchè se per accidente ne scatti uno e ferisca un mio soldato, vi getteremo a terra almeno dugento uomini, con grande nostro dispiacere, ma più con vostro, non essendo ciò nè mia, nè vostra intenzione.

— Dio vi guardi se lo fate, gridarono i popolani, che noi non staremo con le mani a cintola.

— Sì, ma quando facendo fuoco su noi ci uccideste tutti dal primo fino all’ultimo, quelli da noi uccisi non risusciteranno mica.

— Cedeteci dunque il posto, e allora farete atto da buon cittadino.

— Prima di tutto non sono cittadino, disse Tilly, sono officiale, cosa molto differente; e poi non sono [p. 15 modifica]olandese, ma francese, cosa differente d’assai. Io dunque non conosco che gli Stati i quali mi pagano; portatemi un loro ordine che io ceda il posto, ed io fo subito un mezzo giro, perchè mi son già molto noiato.

— Sì, sì! gridarono cento voci che moltiplicaronsi all’istante a cinquecento altre. Andiamo al palazzo comunale! andiamo dai deputati! andiamo, andiamo!

— Via, mormorò Tilly vedendo allontanare i più arrabbiati, andate al palazzo comunale, a dimandare una vigliaccheria, e vedrete se vi si accorda; andate amici, andate!

Il degno officiale contava sull’onore dei magistrati, che dal loro canto contavano, sull’onore dei soldati, su lui.

— Dite dunque, o capitano, disse all’orecchio del conte il suo primo luogotenente, se i deputati ricusassero a questi arrabbiati ciò che domandano, non sarebbe male, mi pare, che c'inviassero un rinforzo.

Frattanto Giovanni de Witt, che abbiamo lasciato che saliva la scala di pietra dopo la sua conversazione col carceriere Grifo e con sua figlia Rosa, era giunto alla porta della stanza, dove giaceva sopra un materasso suo fratello Cornelio, al quale aveva il fiscale, come abbiamo detto, fatto applicare la tortura preparatoria.

Il decreto di bando era venuto, il quale aveva resa inutile l’applicazione straordinaria della tortura.

Cornelio steso sul suo letto, i polsi slogati, le dita slogate, non avendo niente confessato di un delitto che non aveva commesso, respirava alfine dopo tre giorni di patimenti, sentendo che i giudici, da cui [p. 16 modifica]aspettavasi la morte, lo avessero piuttosto voluto condannare al bando.

Corpo energico, anima invincibile, egli avrebbe bene sconcertato i suoi nemici, se avessero potuto nella squallidezza profonda della stanza di Buitenhof veder brillare sopra il suo pallido viso il sorriso del martire, che oblia il fango della terra dopochè ha scorto gli splendori celesti.

Il ruward aveva per la potenza della sua volontà più che per un soccorso reale potuto ricovrare tutte le sue forze, e calcolava quanto tempo ancora le formalità giuridiche lo riterrebbero in prigione.

Era appunto in questo momento che i clamori della milizia paesana uniti a quelli del popolo alzavansi contro i fratelli, minacciando il capitano Tilly, che serviva loro di riparo. Quel frastuono, che veniva a rompersi come un maroso crescente al piè delle muraglie della carcere, saliva fino al prigioniero.

Ma per quanto fosse minacciante quello strepito, Cornelio trascurò d’accertarsene, ovvero non si prese la pena di alzarsi per guardare tra le traverse di ferro della stretta finestra, che dava adito alla luce ed al mormorio esterno.

Egli era tanto assuefatto agli affanni, che gli erano divenuti familiari per abitudine; e di più sentiva con ineffabile diletto la sua anima e la sua ragione così vicine a sbarazzarsi degli impacci corporei, che sembravagli già che l’anima e la ragione distaccate dalla materia le si librassero al disopra come guizza sul focolare quasi estinto la fiamma, che abbandonalo per alzarsi al cielo.

Pensava puranco a suo fratello. [p. 17 modifica]

Senza dubbio era il suo appressarsi che, pe’ misteri sconosciuti che il magnetismo ha scoperti in seguito, facevasi così presentire. Al momento stesso in cui Giovanni era così presente alla mente di Cornelio da mormorarne quasi il di lui nome, si aperse la porta, Giovanni entrò e di un passo accelerato venne al letto del prigioniero, che stese le sue braccia scorticate e le sue mani fasciate verso quel glorioso fratello ch’egli era riuscito a sorpassare non pei servigi resi al paese, ma nell’odio che portavangli gli Olandesi.

Giovanni baciò teneramente in fronte suo fratello, e riposò dolcemente sullo strapunto le di lui mani malate.

— Cornelio, povero mio fratello, egli disse, tu soffri molto, non è vero?

— Non soffro più, fratello mio, dacchè ti vedo.

— O mio caro Cornelio, io allora in vece tua soffro in vederti così, te lo accerto.

— Anch’io ho pensato più a te che a me; e mentre che mi torturavano, non ho fiatato che una sol volta per dire: «Povero fratello!» Ma eccoti qui, si dimentichi tutto. Vieni a prendermi, è vero?

— Sì.

— Sono guarito; aiutami ad alzarmi, e tu vedrai, fratello mio, come io cammini bene.

— Non avrai molto a camminare, chè la mia carrozza è al fosso dietro lo squadrone di Tilly.

— Lo squadrone di Tilly? Perchè dunque sono al fosso?

— Ah! si suppone, disse il gran Pensionario con quella sua fisonomia ridente in mezzo alla sua [p. 18 modifica]abituale tristezza, che le genti dell’Aya ti vogliano veder partire, e si teme di un po’ di tumulto.

— Di un tumulto? riprese Cornelio, fissando il suo sguardo sul suo fratello imbarazzato; di un tumulto?

— Sì, Cornelio.

— Allora ecco perchè io sentiva quel frastuono, disse come parlando a sè stesso.

Poi rivolgendosi al fratello:

— V’è molta gente sul Buitenhof, eh?

— Sì, mio fratello.

— Ma allora per venir qui....

— Ebbene?

— Come ti hanno lasciato passare?

— Tu sai bene, o Cornelio, che non siamo punto amati, rispose il gran Pensionario con una melanconica amarezza; ho preso per vie traverse?

— Ti sei nascosto, o Giovanni.

— Io aveva disegnato di giungere a te senza perder tempo; ed ho fatto come fassi in politica e in mare, quando si ha il vento contrario: ho bordeggiato.

In questo momento lo strepito salì più furioso dalla piazza alla prigione. Tilly era in dialogo con la guardia paesana.

— Oh! oh! soggiunse Cornelio, tu sei un benaccorto pilota; ma non so se ti basterà l’animo di cavar fuori dal Buitenhof tuo fratello in questa marea e tra’ frangenti popolari con tanta fortuna con quanta guidaste la flotta da Tromp ad Anversa in mezzo ai bassi fondi dell’Escaut.

— Con l’aiuto di Dio, o Cornelio, almeno lo tenteremo, rispose Giovanni; ma prima una parola. [p. 19 modifica]

— Di’....

I clamori scoppiarono di nuovo.

— Oh! oh! continuò Cornelio, come sono in collera! Contro te? o contro me?

— Credo contro tutti e due... Io dunque ti diceva, che ci rimproverano gli orangisti tra le altre scempiate calunnie di aver negoziato con la Francia.

— Negale!

— Sì, ma ce lo rimproverano.

— Ma se quelle negoziazioni fossero riuscite, loro avrebbero risparmiato le sconfitte di Rees, d’Orsay, di Wesel e di Reimberga; loro avrebbero fatto evitare il passaggio del Reno, e l’Olanda potrebbe credersi ancora invincibile in mezzo alle sue maree e ai suoi canali.

— È vero, fratello mio, ma è una verità ancora più assoluta che, se in questo momento venisse trovata la nostra corrispondenza col signor di Louvois, per quanto buon piloto io mi sia, non potrei salvare il fragile schifo che è per portare i de Witt e la loro fortuna fuori dell’Olanda. Tale corrispondenza, che proverebbe a persone oneste come io ami il mio paese, e quali sacrifizii personalmente io mi offriva di fare per la sua libertà, per la sua gloria, tale corrispondenza ci perderebbe presso gli orangisti nostri vincitori. Perciò, caro Cornelio, mi giova credere che l’abbiate bruciata prima d’abbandonare Dordrecht per venirmi a raggiungere all’Aya.

— Fratello, rispose Cornelio, la tua corrispondenza col Louvois prova, che sei stato negli ultimi tempi il più grande, il più generoso e il più abile cittadino delle Sette Provincie Unite. Amo la gloria [p. 20 modifica]del mio paese; amo soprattutto la tua gloria, o mio fratello, ondechè mi sono ben guardato di bruciarla.

— Allora siamo perduti per questa vita terrestre, disse tranquillamente l’ex-gran Pensionario, appressandosi alla finestra.

— Anzi tutto all’opposto, o Giovanni; e noi avremo a un tempo la salvezza del corpo e la resurrezione della popolarità.

— E allora che cosa hai fatto di quelle lettere?

— Le ho affidate a Cornelius Van Baerle, mio figlioccio, che tu conosci e che dimora a Dordrecht.

— Oh! povero giovine! caro e leale, ei sà, cosa rara, tante e poi tante cose, e non pensa che ai fiori che salutano Dio, e pensa a Dio che fa nascere i fiori! L’hai incaricato di un deposito mortale; così, o fratello, è perduto quel povero e caro Cornelius!

— Perduto?

— Sì, perchè sarà forte, o sarà debole. Se è forte (perchè egli è estraneo a ciò che ci accade; perchè, quantunque sepolto a Dordrecht, quantunque distratto, ed è un miracolo! saprà un giorno o l’altro ciò che ci è accaduto) se è forte, si vanterà di noi; se debole, avrà paura della nostra intimità; se è forte propalerà il segreto; se debole, se lo lascerà prendere. Nell’uno e nell’altro caso, o Cornelio, lui e noi siamo perduti del pari. Perciò, fratello mio, fuggiamo presto, se ci resta ancor tempo.

Cornelio sollevossi sul letto e prendendo la mano di suo fratello, che trasalì al contatto delle fasce:

— E se non ne sapesse nulla il mio battezzato? che credi non abbia io saputo leggere ciascun pensiero nella sua testa, ciascun sentimento nell’anima [p. 21 modifica]di Van Baerle? Mi domandi, se gli è forte, se gli è debole? Non è nè l’uno nè l’altro, ma che importa ciò che ei sia? Il forte stà che custodisca il segreto, bene intesi che egli punto lo conosce.

Giovanni si volse sorpreso:

— Oh! continuò Cornelio col suo dolce sorriso, il ruward di Pulten è un politico allevato alla scuola di Giovanni; te lo ripeto, o fratello, Van Baerle ignora la natura e il valore del deposito che gli è stato confidato.

— Presto allora! esclamò Giovanni, giacchè c’è ancora tempo, facciamogli passare l’ordine di bruciare l’involto.

— Per mezzo di chi gli si fa passare?

— Pel mio servitore Craeke, che ci deve accompagnare a cavallo e che è entrato meco nella prigione per aiutarvi a scendere la scala.

— Pensateci, Giovanni, prima di bruciare quei titoli gloriosi.

— Prima di tutto penso, mio bravo Cornelio, che i fratelli de Witt salvino la loro vita per salvare la loro rinomanza. Noi morti, chi ci difenderebbe, o Cornelio? Chi ci avrebbe neppure compreso?

— Credi dunque che trovando quei fogli ci ammazzerebbero?

Giovanni senza rispondere al fratello stese la mano verso il Buitenhof, donde slanciavansi in questo momento degli scoppi di grida feroci.

— Sì, sì, disse Cornelio, intendo bene questi clamori; ma che cosa dicono?

Giovanni aprì la finestra.

— Morte ai traditori! urlava il popolaccio. [p. 22 modifica]

— Ora intendi, o Cornelio?

— E i traditori siam noi! disse il prigioniero alzando gli occhi al cielo e ristringendosi nelle spalle.

— Siam noi, ripetè Giovanni de Witt.

— Dov’è Craeke?

— Credo, alla porta della tua stanza.

— Allora fallo entrare.

Giovanni aprì la porta; il fido servitore attendeva difatti sulla soglia.

— Venite, Craeke, e rammentatevi bene di tutto ciò che vi dirà mio fratello.

— Oh! no, Giovanni; non basterebbe il dire, bisogna che disgraziatamente io scriva.

— E perchè?

— Perchè Van Baerle non renderebbe quel deposito, nè lo brucerebbe senza un ordine preciso.

— Ma potrete scrivere? domandò Giovanni alla vista di quelle povere mani tutte bruciate e scorticate.

— Oh! tu vedresti, se avessi penna e inchiostro.

— Ecco almeno un apis.

— Hai punta carta? Perchè qui non mi hanno lasciato niente.

— Questa Bibbia. Strappa la prima pagina.

— Benissimo.

— Ma il tuo scritto sarà inleggibile.

— Su dunque! disse Cornelio riguardando il fratello. Queste dita che hanno resistito alle corde del carnefice, questa volontà che ha spregiato i dolori, vanno a unirsi di un comune sforzo, e, sta’ tranquillo, che la riga sarà scritta senza un solo serpeggiamento.

In effetto Cornelio prese l’apis e scrisse. [p. 23 modifica]

Potevano vedersi sotto la fascia bianca trasparire le goccie di sangue, che la pressione delle dita sull’apis spremeva dalle aperte carni.

Grondava il sudore dalle tempie del gran Pensionario. Cornelio scrisse:


«Caro figlioccio!

Brucia il deposito, che ti ho confidato, brucialo senza guardarlo, senza aprirlo, affinchè ti sia sconosciuto. Son di tal genere i segreti, che ucciderebbero il depositario. Brucia, e avrai salvato Giovanni e Cornelio.

Amami, addio.

20 Agosto 1672.

Cornelio de Witt


Giovanni con le lacrime agli occhi asciugò una goccia di quel nobile sangue che aveva macchiato il foglio, lo consegnò a Craeke con un’ultima raccomandazione, e tornò da Cornelio, che il patimento avea reso pallido e quasi presso a svenirsi.

— Ora, diss’egli, quando il bravo Craeke avrà fatto sentire il suo antico fischio di contromastro, essendo già fuori dei gruppi, dal lato opposto del vivaio.... allora partiremo noi.

Non erano passati cinque minuti che un prolungato e vigoroso fischio percosse col suo trillo marinaresco il nero fogliame degli olmi acuminati, e dominò i clamori del Buitenhof.

Giovanni alzò le braccia al cielo per ringraziarnelo.

— Ora, disse, partiamo, o Cornelio.