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Senza dubbio era il suo appressarsi che, pe’ misteri sconosciuti che il magnetismo ha scoperti in seguito, facevasi così presentire. Al momento stesso in cui Giovanni era così presente alla mente di Cornelio da mormorarne quasi il di lui nome, si aperse la porta, Giovanni entrò e di un passo accelerato venne al letto del prigioniero, che stese le sue braccia scorticate e le sue mani fasciate verso quel glorioso fratello ch’egli era riuscito a sorpassare non pei servigi resi al paese, ma nell’odio che portavangli gli Olandesi.

Giovanni baciò teneramente in fronte suo fratello, e riposò dolcemente sullo strapunto le di lui mani malate.

— Cornelio, povero mio fratello, egli disse, tu soffri molto, non è vero?

— Non soffro più, fratello mio, dacchè ti vedo.

— O mio caro Cornelio, io allora in vece tua soffro in vederti così, te lo accerto.

— Anch’io ho pensato più a te che a me; e mentre che mi torturavano, non ho fiatato che una sol volta per dire: «Povero fratello!» Ma eccoti qui, si dimentichi tutto. Vieni a prendermi, è vero?

— Sì.

— Sono guarito; aiutami ad alzarmi, e tu vedrai, fratello mio, come io cammini bene.

— Non avrai molto a camminare, chè la mia carrozza è al fosso dietro lo squadrone di Tilly.

— Lo squadrone di Tilly? Perchè dunque sono al fosso?

— Ah! si suppone, disse il gran Pensionario con quella sua fisonomia ridente in mezzo alla sua abi-