Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/L'ultimo anno ad Altarana/IX
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UNO SCANDALO.
Dopo questa lettera, che per lui fu un lieto avvenimento, e dopo la nomina, che gli pervenne in quei giorni, di maestro a Camina, la vita gli corse senza novità fino alla fine dell’anno. Ma una novità grande accadde nel paese una quindicina di giorni avanti gli esami. La maestrina Vetti fu chiamata a Torino dal Provveditore, e si sparse ad un tempo la voce che la cagione della chiamata fosse questa: che nella scuola delle Case Rosse assistesse da varie settimane alle lezioni uno scolaretto o una scolaretta invisibile, la quale non era nell’elenco degl’inscritti. La cosa, veramente, si diceva da un pezzo: c’erano molti curiosi che, da due anni, ogni volta che incontravano la maestrina, le pigliavan cogli occhi la misura della vita, e andavano ripetendo, con un sogghigno, che ingrassava. Ma appunto perchè si diceva sempre, nessuno ci badava più, e ci voleva la chiamata del Provveditore perchè la notizia fosse creduta. E fu una maraviglia, un chiacchierio interminabile, come se il caso fosse seguito contro tutte le previsioni, e quasi per virtù dello Spirito Santo. Diavolo! Si vedeva, dunque? E da quanto tempo? E chi era stato? Era un disonore per il paese. Alcuni fecero una passeggiata apposta alle Case Rosse per chiedere informazioni. Tutti affermavano d’aver indovinato il pondo ascoso da vari mesi. E i sospetti della maggior parte caddero sul maestro d’Azzorno. Ma la maestra Falbrizio, che andava in giro pel paese in tutti i ritagli di tempo, smentiva ad ogni uscio quella supposizione, affermando con certezza assoluta che fin dal principio dell’anno scolastico nessuno aveva più visto il maestro nei dintorni delle Case Rosse: ella sapeva, d’altra parte, che c’era stata una rottura completa. Sviati da quello, i sospetti ricaddero sul negoziante di legna, sul sindaco, sul pretore, e perfino su quel romito selvatico del Parroco, che non s’era mai visto in quei paraggi, ma che dicevano v’andasse di notte, travestito. Per far andare in bestia la levatrice dicevan pure che il seduttore doveva essere stato il maestro Calvi. Il fatto era che parecchi, udendo parlare del caso, facevano un sorriso vanaglorioso, e affettavano di voler cambiare discorso. La Falbrizio, per conto suo, inclinava a credere che fosse il negoziante di legna; metteva anzi in giro la voce d’un matrimonio probabile, la quale era accolta con incredulità dispettosa, spiacendo a tutti che lo scandalo fosse troncato così presto e così onestamente. Frattanto la maestrina non ritornava e nessuno ne sapeva nulla. Arrivò in quei giorni l’avvocato Samis, ed essendo corsa la notizia ch’egli avesse parlato col Provveditore, molti, anche dei suoi nemici, gli si fecero attorno con viso ridente, per cavargli il verme dal naso. Ma egli dichiarò a tutti ch’era al buio di ogni cosa. Col maestro Ratti, peraltro, anche perchè sapeva che se ne sarebbe andato tra poco, s’aperse. Era vero; aveva parlato col Provveditore, per vedere se ci fosse modo di coprire lo scandalo alla meglio, senza rovinar la ragazza. Ma non c’era che il modo solito. La maestra non sarebbe più ritornata al paese, e, secondo l’usanza, l’avrebbero mandata a respirare dell’aria lontana, in un’isola, o all’estremità dello stivale. Ma la maraviglia e la curiosità smaniosa della gente lo stomacavano. Fra quelli ch’eran andati ad ossequiarlo per scoprir terreno, v’era certo qualcheduno di coloro che, mese per mese, avevano ragguagliato il Provveditore dei progressi.... della cosa. Poichè accadeva sempre così, nei villaggi: ogni concezione di maestra era notificata con lettera anonima all’Autorità scolastica di Torino, non solamente prima che diventasse visibile, ma non appena si potesse ritenere che fosse possibile, e non una, ma dieci volte, a intervalli quasi regolari, con un zelo da confidenti pagati dalla Questura. Tartufi birbaccioni! E facevan le maraviglie! Non era ancora arrivata in paese la vittima predestinata, che accorrevano in dieci a circuirla, a insidiarla, a riscalducciarle il sangue e la testa con l’arti più ipocrite e con le tentazioni più sfacciate, a farle comprendere in cento maniere che ad essere onesta o a non essere avrebbe perduto egualmente la riputazione; e poi, quando il fatto sollecitato, preveduto, strombazzato prima che accadesse, accadeva, gridavano tutti allo scandalo, e se la pigliavano, come quel maiale del Sindaco, contro le maestre che portano l’immoralità nei paesi. Ma era come portar del guano al Perù. Che laida gente, perdio! — La conclusione fu che venne da Torino una vecchia maestra a sostituire la Vetti agli esami, e che quando il Ratti partì, della Vetti non si sapeva nulla ancora, eccetto che era stata vista a braccetto con un’amica in piazza Castello, assai rotonda e un po’ pallida, ma con un certo sorrisetto di civetteria pudibonda, che mostrava un animo tranquillo; cosa che, con rammarico generale, dava credito alla voce di matrimonio diffusa dalla Falbrizio, tanto più che il Cavezzi, mercante di legna, mancava da Altarana da un mese.
E benchè v’avesse molto sofferto, il Ratti lasciò Altarana con dolore, principalmente a cagione della sua buona vicina, per la quale la simpatia dei primi giorni, l’amore, l’ammirazione per la sua vita eroica, tutti i sentimenti sopiti gli si risvegliarono in cuore al punto di partire. Suo padre era da oltre un mese quasi agli estremi, e in quelle angustie venivano ad aiutarla varie ore ogni giorno la buona figliuola del pizzicagnolo, che era già quasi una giovinetta, e la contadinella delle stelle di montagna; e tutte le sere, quando si accomiatavano, essa le teneva tutt’e due abbracciato per un pezzo, giù per la scala, al buio, premendosi le loro teste sul petto, senza parlare. Al momento d’uscir di casa per andarle a dire addio, egli la vide dalla finestra sul terrazzino, ritta contro la ringhiera, pallida, disfatta dalle notti vegliate e col pensiero della sventura imminente segnato sulla fronte come una percossa; ma salda e quasi altera contro il dolore, pronta ad accettarlo, risoluta a soffrirlo tutto senza cercar conforto e senza lagnarsi con Dio. Essa stava col capo alto e con gli occhi fissi lontano, come se guardasse col pensiero le migliaia di bambine a cui avrebbe d’allora in poi consacrata intera la vita, tutta pensierosa dell’unico e santo dovere che le rimaneva da compiere, dopo quell’altro del pari santo, che aveva così nobilmente compiuto, e che stava per finire. Vedendola così triste e assorta, il giovane non ebbe cuore di aggiungerle a quell’angoscia il turbamento d’un addio, che le avrebbe ridestato dei ricordi dolorosi. La guardò per un po’ di tempo di mezzo alle tende della finestra, le lasciò un saluto per iscritto, e uscendo per sempre dalla propria camera, le mandò un bacio non veduto, un bacio dolce e triste a quella bocca in cui era tutta la sua gentilezza, e da cui erano uscite tante nobili parole che gli avevan fatto del bene e ch’ei non avrebbe scordate mai più.