Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/L'ultimo anno ad Altarana/I

Strascichi della guerra

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L'ultimo anno ad Altarana L'ultimo anno ad Altarana - II
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STRASCICHI DELLA GUERRA.


Ritornato al villaggio, il maestro cessò di bere, si rimise bruscamente allo studio, e cambiò modo con gli alunni: non più percosse, non più ingiurie, non più sgarbi, ne dovesse andar sossopra la scuola. Alla maestra Galli, ansiosa di sapere perchè l’avessero chiamato a Torino, disse tutta la verità, non solo per sfogo dell’animo, ma perchè sperava, dopo averle fatto intendere che s’era buttato sulla mala via per cagion sua, di commoverla col racconto della scena drammatica del provveditore. E in fatti ella ne fu scossa, e pure fingendo di non credere d’esser stata lei la cagione del suo fuorviarsi, si rallegrò di cuore del ravvedimento, come se dovesse segnare con la fine del vizio anche quella della passione, e riprese con lui, dopo quel giorno, la familiarità amichevole di prima, quasi con più dolcezza di prima. Così, a poco a poco, il giovine si riaccese. Ma si tenne quieto, confidando nell’effetto lento d’una lunga e buona amicizia e, sebbene la coscienza glie ne rimordesse, anche di una disgrazia, che gli pareva non dovesse tardar molto a seguire; poichè, in fondo, egli aveva sempre creduto, o voluto credere, che la più forte ragione del rifiuto di lei fosse quella della condizione peggiorata in cui sarebbe stato ridotto suo padre quando essi, poveri tutti e due, gli avessero messo in casa dei figliuoli. Con questo pensiero aspettò, domandando ogni giorno notizie del vecchio alla ragazza, senza guardarla nel viso, quasi turbato dalla coscienza d’un tradimento. E il vecchio, lentamente, peggiorava.

Ma presto sopraggiunse al maestro la cura degli [p. 12 modifica]esami, nei quali egli s’aspettava dalle autorità qualche tiro; e poichè ora s’era messo di proposito al suo dovere e gli premeva di rimaner nel villaggio, si tenne in guardia. E il tiro fu tentato. Vennero agli esami verbali il sindaco, il soprintendente liquorista e altri tre consiglieri, e mentre nell’altra classe, per agevolare le risposte ai ragazzi, avevano lasciato far le domande al maestro, nella sua interrogarono essi medesimi, e in modo da lasciar trasparire chiarissimamente che s’eran preparati i quesiti a casa, e che avevan fatto il possibile per dar loro una forma difficile e insidiosa. Il più terribile fu il liquorista, il quale s’era armato fino ai denti d’interrogazioni a doppio taglio sul sistema decimale, e le lanciava d’in piedi, con un atto bellicoso, voltandosi ogni volta verso i colleghi, come per dire: — L’alunno è morto. — Il sindaco aveva delle domande di nomenclatura scritte sopra un foglietto, che consultava di nascosto. Il resultato di tutto questo fu che gli alunni, in generale, diedero un pessimo saggio di sè. La qual cosa, vedete che bizzarrie! fece sì che le autorità uscissero dalla scuola meno arcigne di come v’erano entrate, soddisfatte quasi d’una vittoria, contentandosi di mortificare il maestro con un silenzio profondo, gravido di minacce misteriose. Ma la ferma fede che aveva il giovane di rivalersi l’anno appresso, non gli fece quasi sentire l’amarezza di quella sconfitta.


Con suo gran piacere, frattanto, era arrivato con altri villeggianti l’avvocato Samis, e il giovane corse subito da lui, a raccontargli gli avvenimenti dell’anno, e in specie la storia della maestra. Qualche cosa egli ne sapeva; ma uditi che ebbe i particolari, uscì in parole violente: — Che canaglie, perdio! Ma si posson dare delle canaglie simili! Ma bisognerà dargli qualche lezione! — Egli era arrivato questa volta al villaggio irritato più che mai contro i suoi avversari per una delle solite cagioni futilissime; la quale, dopo averlo fatto sorridere a Torino, gli s’era ingigantita al pensiero lungo la via, e aveva finito per gravarlo all’arrivo come il carico d’un’offesa intollerabile. Gli era stato scritto a Torino che un esemplare d’una rivista scientifica milanese, contenente una recensione dell’ultimo [p. 13 modifica]suo opuscolo Le ipocrisie della legge, portato ad Altarana non si sapeva da chi, era passato di mano in mano, e rimasto per otto giorni sui tavolini del caffè, e che i suoi nemici, menando gran vampo di tre o quattro frasi in cui avevano piuttosto indovinata che capita la censura, se n’erano valsi per screditarlo affatto nel concetto di quei pochi che lo tenevano ancora in conto d’un grand’uomo. Questo pensiero l’aveva talmente esasperato durante il lungo e lento tragitto della carrozza, ch’egli era disceso al villaggio con un bisogno rabbioso di vendetta. E un’occasione si presentò subito.

Il sindaco aveva premeditato di servirsi della distribuzione dei premi per fare una delle sue solite rappresaglie: il tiro era di far la distribuzione solenne a una sezione sola delle scuole, alla maschile o alla femminile, e di lasciar l’altra in un canto, per umiliare l’insegnante inviso. Dopo esser rimasto un pezzo incerto se dovesse umiliare il maestro Ratti o la maestra Galli, perchè tutti e due a un tempo non poteva, si decise infine contro la Galli, sia perchè l’odiava più del maestro, sia perchè nella sezione femminile ci aveva due nemiche, quella e la Falbrizio, mentre aveva nell’altra un nemico solo. Bandì il giorno della festa per i maschi, fissò i premi, mandò inviti, fece addobbare la sala più grande della casa comunale; e la festa ebbe luogo, inaugurata con un discorso maraviglioso del maestro Calvi intorno alla pedagogia presso gli Egizi e rallegrata dai concenti della banda incompleta del paese e da una dissertazione del sindaco sull’istruzione obbligatoria. E per le scuole femminili un bel niente, nemmeno una parola di spiegazione. L’avvocato Samis colse il destro: scelse nella sua biblioteca dei libri adatti, andò a stuzzicare i parenti malcontenti delle alunne, persuase le tre maestre, fece disporre dei sedili e rizzar delle bandiere nel giardino della sua villa, chiamò la banda dei filarmonici ad Azzorno, invitò i villeggianti, e celebrò la festa anche lui, con discorso, vino bianco e confetti. La seconda festa, com’era naturale, riuscì più gentile e più allegra della prima, il Popolo ne pubblicò un rendiconto, nel villaggio se ne parlò per una settimana, e il sindaco, già furioso contro il suo nemico per l’affare del [p. 14 modifica]giornale scolastico, e impotente, per il momento, a vendicarsi in altro modo, avendo visto in mano a una bimba premiata un libro di fiabe con certe figurine di fate, sparse la voce per il paese che l’avvocato aveva dato in premio alle ragazze dei libri in cui erano disegnate delle “donne nude.„ — Figurarsi — andava dicendo — cosa dev’esser lo scritto!