Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Garasco/V
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I PARENTI DEGLI ALUNNI.
E andava facendo, nello stesso tempo, un’altra esperienza che gli sarebbe stata impossibile con la classe di tirocinio: quella dei parenti degli alunni; nella quale trovò pure, come nell’altra, molte strane cose, e più d’un disinganno. Cinque o sei parenti soli, e aveva cinquanta ragazzi, gli vennero, nello spazio di più di due mesi, a chiedere informazioni. E il curioso era questo, che alcuni, fattori o contadini, che stavano a quattro passi fuori del paese, lo vedevano quasi ogni giorno e gli parlavano anche sovente, interrogati da lui, dei lavori della campagna e degli affari propri; ma senza domandargli mai conto del loro figliuolo, come se quello fosse un discorso proibito. Di questo egli non si sapeva capacitare. Con alcuni entrava egli il primo nell’argomento, obbediente al precetto pedagogico, di chieder notizie dell’indole degli alunni ai parenti, e di studiare quelli in questi, cercando di sapere il modo di vivere della famiglia, se ci fossero malattie ereditarie, o difetti e abiti morali e inclinazioni intellettuali comuni. Ah che utopie! A quelle interrogazioni, come se celassero un secondo fine sospetto, essi rispondevano con parole vaghe o senza senso, guardandolo con occhio diffidente. Il più che ne potesse cavare intorno al carattere d’un ragazzo era: — È un buon figliuolo, — o: — È un briccone; le raccomando di dargliele sode. — Alcuni anche, i cui figliuoli erano entrati in 1a quell’anno, dei capi strambi, che s’aspettavano dalla tanto decantata istruzione e educazione chi sa quali miracoli, andavano dopo un mese da lui a lagnarsi con poco buon garbo che i loro ragazzi, insomma, non erano mutati per nulla, ch’eran sempre gli stessi malanni impertinenti di prima. E non questo solo: egli sapeva che ad ogni monelleria che facesse il bimbo in casa, gli dicevano: — È questo che t’insegna il maestro? — Qualcuno gli andò persino a domandar conto d’una parola sporca che il ragazzo aveva detto in famiglia: — Come va questo, signor maestro? Da noi non può averla imparata! — E nel fare della maggior parte egli notava come il sentimento d’una certa superiorità rispetto a lui; fondato sul fatto, che in fin dei conti, erano essi, contribuenti, che lo mantenevano. E come lo mantenevano! Egli capiva bene che a loro, che vivevan miseramente delle proprie derrate, il suo stipendio pareva un gran che: due lire al giorno, figurarsi, per non far altro che discorrere, e a un uomo solo, e così giovane. Per questo pretendevano che facesse prodigi, senza ricever da loro nessun aiuto nè di parole nè di fatti, nè in materia d’istruzione, nè di disciplina, nè di pulizia. Avendo un giorno rimandato a casa un ragazzo sudicio, venne il padre a fare una scenata, gridando: — Lei non ci vorrebbe altro che dei signori nella sua scuola, non è vero? — Un’altra volta, avendo pregato una buona donna di spidocchiare il suo marmocchio che gli popolava la classe, quella rispose ingenuamente: — Oh, io non me ne do pensiero, sa. Anzi: vuol dire che il ragazzo ha buon sangue. Lasci andare, signor maestro. — E ce n’era anche di quelli rispettosissimi, che lo aspettavano fuori della scuola col cappello in mano e gli s’avvicinavano facendo molte riverenze. Ma questi erano i più pericolosi perchè venivan da lui come da un segretario pubblico, uno per farsi decifrare un foglio illeggibile, un altro per pregarlo di leggere un monte di carte e di dargli un consiglio intorno a una lite, un terzo per farsi scrivere una lettera al padrone, per chiedere una diminuzione di fitto, ma con quei dati preamboli e giri di parole, che non offendono, e ch’egli solo avrebbe saputo trovare. E come per mostrargli la loro gratitudine, gli dicevano: — Non abbia riguardi, sa, signor maestro; castighi pure il ragazzo con severità, quando lo merita. — Ma quando poi egli infliggeva il castigo più grave che gli fosse concesso, la sospensione, quelli la rendevano derisoria lasciando correre pei campi il ragazzo, felice d’esser punito con una vacanza. Ahimè! nessuna di queste cose gli avevano predetto alla scuola di pedagogia!