Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Camina/III
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LA MAESTRA ASPETTATA.
Le scuole, in barba al calendario scolastico, non si dovevano aprire che a mezzo ottobre: il maestro ebbe quindi il tempo di far tutte le sue visite con comodo. Anche lì, nei primi giorni, ebbe quella seccatura inevitabile di veder da ogni parte occhi curiosi di ragazzi e di parenti che gli pigliavano i connotati, e d’incontrare ogni momento dei personaggi sconosciuti, che gli passavano accanto senza guardarlo, e si fermavano dieci passi più in là per esaminarlo dalla nuca ai calcagni. Ma per sua fortuna la curiosità pubblica, in specie dei signori, era tutta occupata in quei giorni dall’imminente arrivo d’una nuova maestra di 2ª e 3ª; il cui posto era stato abbandonato spontaneamente dalla sua predecessora in seguito ad un caso strano, pel quale aveva dovuto sfrattare anche il giovane viceparroco, dilettante di musica e, per sua disgrazia, suonatore di troppi strumenti: un caso davvero disgraziato, un maledetto colpo di vento che, mentre passava per un sentiero solitario una brigata di buontemponi, aveva portato via una certa capanna di vignaiuolo, sotto la quale il “direttore delle coscienze„ e l’“operaia dei cuori„ stavano risolvendo il problema importantissimo della conciliazione della chiesa cattolica con la scuola nazionale. Sventuratamente per lei, anche la maestra che doveva venire era già sulle bocche di tutti, non solo perchè si sapeva che era giovanissima ed esordiente, ed erano impazienti tutti, come sempre in casi simili, di vedere se fosse bella, elegante, socievole e sola, o il contrario di tutto questo; ma anche per un’altra ragione, da cui le dovevan nascere molti dispiaceri. Pochi giorni prima della venuta del Ratti, erano arrivati per la posta da Torino a vari personaggi del paese, non indicati per nome, ma per la carica e la professione, alcuni numeri d’un giornaletto letterario, contenente uno squarcio di prosa poetica, col titolo La giovane maestra, e firmato col pseudonimo Mammola: accanto al quale c’era scritto col lapis rosso, in grandi caratteri, il nome della nuova maestra: Adelina Gamelli. A nessuno venne in mente che quella spedizione potesse essere un mal gioco fattole da un’amica invidiosa per tirarle addosso il ridicolo: tutti pensarono che avesse mandato essa medesima i giornali per dare un saggio anticipato di sè, e prepararsi la celebrità letteraria nel villaggio in cui doveva arrivare. L’articolo, per giunta, si prestava un poco alla canzonatura. Cominciava: “Chi è quella soave fanciulla dall’aspetto sereno, alla quale, come candide margheritine intorno a rosa pur mo’ sbocciata, fanno tante dolci bambine amorevol corona?...„ ed era tutto un idillio in prosa dedicato a una giovane maestra di villaggio, una specie di descrizione ideale della vita che aspettava lei, infiorata da capo a fondo d’immagini e di citazioni di versi un po’ forzate, e piena di quella sentimentalità scolastica, che s’attacca ancora a molte ragazze di convitto dai florilegi poetici e dai cattivi romanzi morali, tingendo del suo falso colore anche i loro affetti più schietti, e non solamente le manifestazioni, ma le sorgenti stesse del loro pensiero. S’aggiunga ancora che nell’articolo, benchè si parlasse d’un villaggio immaginario, che doveva essere un paradiso, c’era il vecchio luogo comune della maestra “messaggiera di civiltà e di gentilezza„; che faceva innocentemente sottintendere “in un paese che n’aveva bisogno.„ E per colmo di disgrazia, c’era dentro al giornale un foglio volante, che conteneva in altrettanti medaglioni i ritratti in litografia dei collaboratori e delle collaboratrici; fra i quali, sfigurato, anche il suo. In tutto questo la malignità burlona del villaggio trovò un pascolo saporitissimo e inesauribile. La maestra fu battezzata subito “la letterata.„ I giornali girarono per cento mani, passando dalle botteghe e dai caffè nei salotti seminudi, ornati di oleografie e di lavori all’uncinetto, e ogni periodo della scrittrice fu sforacchiato come un cuscinetto di spilli, in special modo dalle signore; alcune delle quali, che si piccavano di letteratura, trovarono nell’articolo delle imitazioni evidenti di scrittori conosciuti, ed anche delle frasi copiate. Era dunque una grande scrittrice questa signorina Gamelli, e, poveretta, si sarebbe trovata nel loro villaggio come trapiantata in un terreno arido, che avrebbe fatto languire il fiore del suo ingegno. E così dicendo, credevano davvero che quella cattiva retorica fosse indizio di un animo vano, affettato e orgoglioso; mentre non v’era sotto, invece, che qualche difetto forse leggerissimo, ingrandito e sformato soltanto dallo specchio vizioso dello stile. Sfogata che si fu la critica per tutti i versi, l’articolo diventò un semplice argomento di celia, che si ripresentava come un ritornello in tutte le conversazioni. I belli umori, incontrandosi per la strada, discorrendo con le signore, uscivano a dire tutt’a un tratto: — Chi è quella soave fanciulla...? — Una vasta rete di ridicolo era già tesa e pronta ad acchiappar la signorina appena fosse arrivata. Molti, nel passar davanti alla casa dove ella aveva già fissato per lettera un quartierino, alzavan gli occhi alle persiane, sorridendo.