Il problema dei diritti della donna/Prefazione
Questo testo è incompleto. |
◄ | Il problema dei diritti della donna | Parte prima | ► |
PREFAZIONE
Pubblico con alcune aggiunte e con note i discorsi da me proferiti avanti ad una sceltissima udienza di signore e signori forestieri ed italiani le sere del 15 gennaio e del 12 aprile 1877 nella sala del Circolo filologico fiorentino. Presentando al pubblico sotto due diverse forme il mio lavoro, e lasciandolo con molta trepidazione alla sua critica, non posso resistere alla tentazione solita in chi pubblica libri o libretti, di scrivere un po’ di prefazione. Le prefazioni sogliono essere scritte (nell’innocente persuasione che sieno lette), o per persuadere accortamente il lettore che l’opera pubblicata meritava proprio il conto d’esser pubblicata e d’esser letta, o per una specie di difesa che l'autore imprenda di sè stesso per giustificarsi della pubblicazione.
Credo ingenuamente che la mia prefazione intenda a quest’ultimo scopo, e credo che se ne persuaderà anche il lettore.
Il problema dei diritti della donna (che preferisco chiamar così anzi che dell’emancipazione della donna, sebbene quest’ultimo titolo, più ghiotto, mi avrebbe probabilmente procacciato un maggior numero di lettori) è stato da varii autori esaminato e discusso sotto varii aspetti; ma pochi, e ancor questi incompiutamente, l’hanno esaminato sotto tutti i suoi aspetti.
È stato trattato ampiamente sotto l’aspetto storico-giuridico. Da alcuni autori è stato trattato largamente anche sotto l’aspetto sociale contemporaneo; ma evidentemente, pare a me almeno, col deliberato proposito di fare una requisitoria o una difesa, non sempre col desiderio di ricercare severamente e imparzialmente la verità. E un benedetto tema questo, dove il subiettivo piglia tanto il sopravvento che ad alcuni inacidisce il sangue, ad altri lo fa troppo bollire, ad altri fa dare in ridicole svenevolezze e sdolcinature. Quanto ai filosofi, agli uomini di Stato, fino agli ultimi tempi, e agli storici, può dirsi in generale che sia stato trattato da essi più per incidenza o per distrazione che come oggetto principale di studii laboriosi e severi. — Come mai il problema è stato tanto poco fortunato?
Chi sa? ci ha forse contribuito il mal governo che ne hanno fatto i mediocri e i cattivi scrittori, i quali lo hanno fatto per lungo tempo quasi sdegnare con certi loro scritti, dove tra l'ascetico e r afrodisiaco di alcuni, il cinismo qualche volta brutale di altri, raccapezzi con difficoltà ciò che abbia semplicemente del buon senso. Per la qual cosa n’è avvenuto, fino agli ultimi tempi, una specie di disgusto dei migliori e una certa repugnanza a trattarlo da un lato che non fosse lo strettamente giuridico.
Ma oggi il problema essendo divenuto uno dei problemi della scienza e della pratica sociale contemporanea, essendo con lungo studio e con grande amore discusso fuori d’Italia, io pensai, e starebbe qui il mio primo torto, se torto fu, che non sarebbe male che anche in Italia ci fosse un lavoro di facile lettura che mostrasse lo stato della questione nelle sue ultime evoluzioni, e gli aspetti principali, se non tutti. Un saggio, niente più che un saggio su tutto il contenuto del problema. Il qual saggio, però, per esser tale, compendiasse tutte le ragioni pro e contro sotto l'aspetto storico, politico, giuridico, economico, pedagogico, morale, ed anche, se vuoisi, estetico (giacché ci è anche il lato estetico), e fornisse qualche traccia per la soluzione del problema.
Il mio torto, e del quale è necessità chieda scusa al lettore, fu di sobbarcarmi a siffatta impresa. Ma poiché nessuno cominciava, bisognava pure che qualcuno cominciasse. Le grosse battaglie, io pensai, sono sempre precedute dalle esplorazioni armate e dalle piccole scaramuccie; ed io mi terrò pago, e mi parrà aver fatto abbastanza, se non molto, dove con questo lavoro, più di esplorazione e di critica che di combattimento, sia riuscito ad invogliare ingegni migliori. È una scusa un po’ sfruttata, se si vuole, ma non ne trovo di meglio.
Mi sono studiato di dir molto e qualche volta tutto in poche parole, e più italianamente che mi fu possibile; ho avuto cura di unire alla familiarità e vivezza dello stile la maggior castigatezza e dignità nel linguaggio.
Se in questo almeno sarò riuscito, questo, oso sperare, mi meriterà qualche po’ di benevolenza.
Firenze, aprile 1877.