Il podere (Tozzi)/XXVI
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XXVI.
Giulia era stata due giorni a letto, e il Crestai quando non era in tipografia non si moveva mai dalla sua camera.
Soltanto allora cominciavano ad amarsi da vero; e sapevano indovinare i loro pensieri. La sera, sentivano cantare da dentro le osterie; e pareva che tutte quelle casupole di Via dei Pispini, con i muri sottili, tremassero alle voci dei briachi; come se avessero bevuto con tutti i loro pigionali.
A pena ella potè stare in piedi, andò con lui dall’avvocato Boschini, e riescirono a farsi promettere che si sarebbe occupato della causa con più impegno.
— Anche perchè, — egli disse, — il mio conto lo dovrà pagare il Selmi; e da lui mi farò pagare molto meglio! Si crede di essere un signore ma io gli farò provare le prime durezze della vita. Non è giusto che egli si goda quello che non doveva essere suo! Avrebbe dovuto darle le ottomila lire senza che ce lo costringessimo noi; ma si pentirà di averla fatta aspettare! Le farò avere anche tutti i frutti, fin dalla morte del signor Giacomo. Ed è giusto!
Egli, perciò, fermò il Neretti in strada, e gli disse:
— Mi maraviglio che tu non abbia capito che qui si tratta di un dovere, quasi morale, del tuo cliente!
Il Neretti gli rispose, sorpreso di sentirgli fare quei discorsi:
— Mi pare che tu sia già più che a mezzo del tuo intento! Io voglio, però, che la causa continui perchè avete chiesto troppo.
— I testimoni, mio caro, hanno detto le cose come stanno.
Il Neretti si mise a ridere:
— Bisognerebbe vedere se i tuoi testimoni...
Ma il Boschini non ne volle parlare e gli rispose:
— Noi non possiamo discutere dei testimoni; dal momento che il Selmi non ha potuto dimostrare niente in contrario. Io volevo dirti che tu lasciassi, ormai, dare la sentenza; anche per risparmiargli altre spese; perchè tu sai come me che non può essere dubbio l’esito della causa.
— Come tu difendi la Cappuccini, io difendo il Selmi!
— Verrò a trovarti, per riparlarne.
E si salutarono.
Quando il tribunale ebbe condannato Remigio, Giulia lo seppe subito: perchè il Crestai andava tutti i giorni ad informarsi dall’avvocato. Salì in casa di lei, a due scalini per volta. Giulia fu presa da una gioia convulsa, e non sapeva fare altro che stringergli con le unghie le braccia. Si riebbe, subito, di salute; e pareva perfino più giovane.
Ma l’odio di Berto s’era fatto sempre più forte; e, quando vedeva Remigio nel campo, gli veniva voglia di avventarglisi.
Il lunedì mattina, Remigio gli disse di prendere l’accetta e di andare con lui a buttare giù una cascia, con la quale voleva rifare il timone del carro. Berto aveva il cuore grosso e gli tremava: il respiro pareva che glielo spezzasse. Cecchina gli disse:
— Non andare tu: digli che vada con Tordo.
— Ci vado io, invece!
La donna non osò guardarlo in faccia, e non gli disse altro. Si mise a sedere, perchè le girava la testa; e non poteva stare sola.
Remigio aspettava Berto in mezzo all’aia: e, quando lo vide, gli disse:
— Possiamo andare.
Si guardava attorno, come se qualcuno dovesse venire a chiamarlo; gli venne in mente di dire a Luigia che egli andava giù con Berto alla proda del confine.
Perciò si soffermò; ma cambiò subito pensiero.
Camminava avanti all’assalariato, e voleva voltarsi per sorridergli; ma non poteva, ed aveva paura. In certi momenti non l’udiva nè meno, benchè gli si avvicinasse sempre di più.
Quando furono alla proda, pensò: «Quest’altre casce, tra due anni, saranno cresciute!» Vide un pero giovane, che ancora non aveva il pedano forte, e pensò; «Farà presto le pere, e sono di qualità buona!»
Berto guardava il ferro dell’accetta e lo lisciava con una mano: il ferro, arrotato da poco, luccicava.
Intanto, non c’erano più le zolle dell’aratura, e su la proda i piedi ci spianavano bene.
Remigio seguitava a camminare avanti. Allora, infuriatosi, Berto gli dette l’accetta su la nuca.
Qualche ora dopo, venne una grandinata.
I pampini e l’uva acerba si sparpagliarono su la terra; insieme con le rame dei frutti schiantate.
Luigia, piangendo abbracciata ad Ilda, mandò Picciòlo e Lorenzo a coprire Remigio con l’incerato del carro.
fine.