Il podere (Tozzi)/II
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | I | III | ► |
II.
Remigio, svegliandosi, sentì ch’era sudato. Un senso di scontento, quasi di rimpianto, gli invadeva l’anima; e, ricordandosi, come un peso improvviso, che suo padre era stato sotterrato la sera innanzi, richiuse gli occhi: credendo di poter dormire ancora. Ma, sbadigliato, due o tre volte, andò ad aprire la finestra.
Lontano, dalla Montagnola, bubbolava; e le nuvolette primaverili attraversavano il cielo, come se sobbalzassero. Il ciliegio, dinanzi alla finestra, aveva messo le foglie; e i tralci delle viti, le gemme. I grani, d’un pallore quasi doloroso, luccicavano; perchè la notte era piovuto.
Tutte queste cose le aveva viste anche i giorni innanzi; ma, quella mattina, capì che gli sarebbero piaciute per la prima volta; e che doveva amarle, perchè non c’era altro per lui.
Vestitosi in fretta, scese le scale; evitando di parlare con quelli di casa; e si trovò con Berto.
Il saluto dell’assalariato gli destò simpatia per tutti gli altri; e, perchè si sentiva arrossire d’essere ormai il padrone, non gli rispose. L’assalariato, credendo che fosse per superbia, gli voltò le spalle; e se n’andò nel campo, fischiettando. Quando fu in fondo allo stradone, tra i due filari delle viti più belle di tutte le altre, si fermò; e, guardando Remigio, sorrise di scherno; poi, prese lungo una fossacciola. Berto era curioso di conoscere come Remigio si sarebbe comportato e avrebbe fatto; sapendo che non s’intendeva di agricoltura; e che, secondo le voci di tutti, purtroppo vere, si trovava senza denaro e con parecchi debiti del padre.
Intanto, Berto e gli altri due assalariati avevano capito che potevano non obbedirgli; perchè egli, dovendosi rimettere ai loro pareri, almeno che non avesse preso un fattore, non avrebbe potuto nè meno rimproverarli. Così, le prime volte che egli aprì bocca per arrischiare qualche osservazione, gli risposero, ridendogli in viso, che sarebbe stato impossibile fare differente da come avevano fatto.
Stando su l’aia, dove mancava poco che non sdrucciolasse per via della pàtina di fango e dell’erba spuntata tra mattone e mattone, vide Tordo uscire dalla stalla; e gli disse:
— Bisogna dare subito lo zolfo alle viti.
— Ma che le pare! È presto. Ci vorranno altri quindici giorni; e, poi, è bene aspettare che il tempo si rimetta. Del resto, io faccio come lei vuole; ma senta pure anche gli altri, e vedrà che le dico bene.
— Dove sei stato ora?
— Dove sono stato? A governare i bovi. O non lo capisce da sè?
— E non avevi ancora finito?
Tordo non gli rispose più; ma chiamò la moglie, e le chiese se gli aveva fatto abbrustolire il pane. Gegia, che aveva ascoltato le parole di Remigio, rispose da dentro casa:
— Che ti affatichi tanto tempo nella stalla? Diranno che perdi tempo. Facevi meglio a venir prima, a mangiare.
— Stai zitta!
Remigio, che lo aveva seguito con lo sguardo, arrossò un’altra volta e non ebbe il coraggio di dire altro; anzi, pensò che era bene aspettare qualche giorno sperando che avrebbe potuto scegliere uno degli assalariati per fidarsene. E tornò in casa.
In cucina, c’erano, a prendere il caffè, Ilda e la matrigna; e quando entrò, abbassarono gli occhi entro la tazza.
La matrigna disse a Ilda, picchiandole il cucchiaino sopra una spalla:
— Spicciati; c’è da fare.
Egli allora sentì il bisogno di dire qualche cosa, che facesse piacere a loro; preso da un desiderio di tranquillità. Ilda, asciugandosi le mani, perchè aveva già lavata la sua tazza, gli sorrise e andò via. Luigia gli disse:
— Quando credi di sistemare bene tra noi?
Egli alzò la voce, ma sempre con dolcezza:
— A pena che sarà possibile, ho detto.
— Ma quando? Mi pare che tu non ci pensi.
— Ho dato l’incarico, ieri sera, al notaio Pollastri di parlare con il suo avvocato: che io non so nè meno chi è!
Luigia non rispose. Allora, Remigio la rimproverò:
— Perchè vuol tenermelo nascosto? Le cose si faranno sempre più lunghe.
La matrigna, debole e sospettosa, gli dette un’occhiata; che gli fece capire come ne sapeva più di lui e chi sa con quali precauzioni si faceva aiutare anche dai parenti. Egli, che voleva comportarsi lealmente con lei, e riteneva inutile ricorrere agli avvocati e ai notai, provò una delusione cattiva. Infatti, gli dispiaceva a essere trattato con una diffidenza maliziosa; della quale non c’era bisogno. A quale scopo, poi? Non era disposto ad accomodarsi nel miglior modo possibile; tenendola in casa, anche se la legge gli consentisse di mandarla via? E, quantunque fosse abituato a non essere nè amato nè rispettato, gli rincresceva, proprio ora quando avrebbe voluto non provare nessun odio, a non sentirsi sicuro in mezzo agli altri.
Riflettendo a queste cose, guardò le mani della matrigna; e, senza alzare gli occhi al suo viso, e senza più parlare, se n’andò.
Attraversando il salotto, rivide il ghiro imbalsamato, quel ghiro che suo padre aveva tenuto due anni dentro una gabbia; rivide anche gli uccelli. Uno specchio antico, screpolato, in una cornice la cui indoratura s’era scrostata e rotta, li rifletteva; ed egli, allora, si mise a guardarli nello specchio. Girò gli occhi per tutta la stanza: era rimasta quasi nuova, e si ricordò bene di quando il pittore l’aveva rifatta; gli parve perfino di riavere nel naso l’odore della calce spenta dentro i secchi di latta. Quelle righe rosse, che in tutti e quattro gli angoli s’intrecciavano con svolazzi ripiegati, e d’un altro colore, gli parvero come staccate da tutta la parete e animate d’una vita propria. In camera, i cassetti erano ancora chiusi con le chiavi che egli non aveva; e non sapeva nè meno quel che contenessero. Il letto stava di traverso alla stanza; i campanelli elettrici pendevano con i fili attorcigliati.
Aprì l’uscio della stanza accanto, dove era morto Giacomo; e stette un poco a respirare l'odore rimastovi: il letto alto era stato rifatto, e sopra non vi restava nessun segno del cadavere. Il sole, entrando dalla finestra aperta, gli fece venire un brivido che lo scosse nel cuore.
Il pavimento, ancora umido di aceto aromatico e di acido fenico, pareva che non potesse più prosciugarsi. Qualche ragnatela s'era stesa fra i travicelli; e il tralcio di una rosa rampichina veniva sul davanzale della finestra.
A un tratto, l'altro uscio della stanza si aprì; e Luigia, in punta di piedi, senza lasciare il croccino, sporse la testa e le spalle; ma, veduto il figliastro, tornò in dietro e richiuse.
Perchè, invece, non era entrata?