Il mio diario di guerra/II/Mussolini al... fronte interno
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Mussolini... al fronte interno
Nel partito socialista è in uso un luogo comune: «gli eroi del fronte interno!». E ciascuno scrittore di giornaletti di provincia scrive la frase con un compiacimento tra il cattivo e l’idiota: a proposito, raramente: a sproposito, quasi sempre'.
Una manìa anche questa! Della quale è affetto anche il grande Gaetano Zirardini, il quale ha trattato Benito Mussolini da «eroe del fronte interno».
Ora Mussolini mi invia una lettera personale non destinata alla pubblicazione. Ed io — anche a rischio d’una reprimenda — la stampo. Non già per Zirardini, che non conta; ma per i non pochi Zirardini più grossi e più piccoli ond’è popolata: l’Italia!
Purché si sappia su quale fronte combatta Benito Mussolini.
d. f.
18 Luglio 1916.
Caro De Falco,
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Torno in questo momento da un’«azione» nella zona dell’Alto Fella, che mi ha tenuto in movimento due giorni e una notte, insieme con la mia pattuglia di volontari esploratori.
Tutto è andato bene. Il nostro fuoco cominciò alle 15 di domenica scorsa. La fucileria nemica si fece appena sentire. Chi lavorò fu, come al solito, il nostro e il «loro» cannone. Quando gli austriaci si avvidero della nostra presenza in un certo bosco che fronteggia immediatamente le loro posizioni, cominciarono a bombardarci in piena regola. Non erano grossi calibri (credo fossero bocche da 75, 105, 120 e qualche 155), ma le granate piovevano — letteralmente — a quattro a quattro, con un intervallo di uno o due minuti. L’artiglieria nemica frugò e bucò — così — per almeno un paio d’ore o tre, tutto il bosco, dall’alto al basso. Una granata da 120, scoppiata fra me e un alpino, ferì quest’ultimo, ma non gravemente, a un braccio.
E il pomeriggio finì in una relativa calma, che fu di breve durata. A notte più alta, alcune fucilate di pattuglie richiamarono al fuoco l’artiglieria nemica. Ricominciò il bombardamento a shrapnels. Spettacolo fantastico, sinfonia in grande stile. Noi eravamo all’addiaccio sotto una pioggia temporalesca, riparati contro il grosso tronco di un abete. Io e l’amico Reali, testa a testa. Nel breve intervallo fra uno shrapnel e l’altro, si lavorava furiosamente di piccozzino e di mani per scavarci la buca sempre più profonda. Il colpo di partenza ci metteva sull’avviso. L’orecchio «abituato» distingueva in quale direzione filava il proiettile e quando si diceva: — Questo è per noi! — giù colla testa...
La fiamma dello scoppio incendiava il bosco per un attimo e poi era il solito vasto scrosciare di pallette, di ramaglie. Certe spolette avevano nel sibilo qualche cosa di umano.
Sette shrapnels si abbatterono sul solo nostro albero e non ci ferirono. Alcune pallette vennero a schiacciarsi contro il nostro «elmo» o cagnom, come diciamo noi, nel gergo di guerra. Alla mattina, spostandoci altrove, gettammo un’occhiata d’addio all’albero che ci aveva salvato e che ora profila — melanconico — il suo tronco spogliato.
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Mussolini.