XCVII. D'una provincia d'Ambalet (Acbalec Manzi)

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XCVII. D'una provincia d'Ambalet (Acbalec Manzi)
XCVI XCVIII
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XCVII (CXIII)

D’una provincia d’Ambalet (Acbalec Manzi).

Quando l’uomo si parte ed ha cavalcate queste venti giornate delle montagne di Cuncum, si si truova una provincia che ha nome Ambalet Mangi (Acbalec Manzi). E havvi cittá e castella assai, e sono al ponente, e sono idoli, e vivono di mercatanzie e d’arti; e per questa provincia ha tanto giengiovo, che s’isparge per tutto lo Cattai, e hassene grande guadagno. Egli hanno riso e grano, altre biade assai e gran mercato: è diviziosa d’ogni bene. La mastra terra èe chiamata Ambalec Mangi, che vale a dire1 «l’una delle confine di Mangi». Questa contrada dura due giornate. A capo di queste due giornate si truovano le gran valli e gli gran monti e boschi assai, e vassi bene venti giornate per ponente truovando ville e castella assai. La gente sono idoli, vivono de’ frutti della terra e d’uccelli e di bestie: quivi hae lioni, orsi, lupi cervieri, dani e cavriuoli assai. Quivi ha grande quantitá di quelle bestiuole che fanno il moscado. Or ci partiamo di qui, e dicovi d’altre contrade bene e ordinatamente, come voi udirete.

  1. Fr. le une de le confin dou Mangi; Ramusio: cittá bianca de’ confini di Mangi.