Il latino quale lingua ausiliare internazionale
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(128). IL LATINO QUALE LINGUA AUSILIARE INTERNAZIONALE
(Atti della Reale Accad. delle Scienze di Torino, vol. XXXIX, A. 1903-1904, pp. 273-283)
Questo lavoro, dopo un accenno generico al problema della lingua ausiliaria internazionale, tratta del latino come lingua ausiliare internazionale ed in particolare del latino sine flexione, introdotto da G. Peano nel lavoro n. 126 (del 1903).
Il lavoro n. 128 è stato introdotto da N. Mastropaolo in Interlingua e pubblicato nella rivista «Schola et Vita», Milano, 1933, vol. 8, pp. 132-140. U. C.
È noto che fino a cento anni fa, circa, la lingua latina era la lingua internazionale nel campo scientifico. Scrivevano costantemente latino Leibniz, Newton, Eulero, i Bernoulli, e ancora Gauss, Jacobi, ecc. pubblicarono in latino le loro opere principali. Ma poi si cominciò a scrivere nelle lingue nazionali. Oggigiorno i lavori scientifici sono scritti nelle varie lingue neolatine, nelle differenti lingue germaniche, in più lingue slave, ecc. I giapponesi, che fino agli ultimi anni scrivevano inglese, ora stampano in giapponese. Così ricevo in questa lingua un lavoro del sig. Kaba sulle funzioni ellittiche (Atti dell’Accademia di Tōkyō, 17 gennaio 1903).
Questo stato di cose, che fu detto la nuova torre di Babele, non interessa molto i dilettanti di scienza. Essi possono limitarsi a leggere i libri nelle lingue che conoscono, aspettando la versione degli altri. Ma chi lavora al progresso della scienza si trova nell’alternativa o di dover studiare continuamente nuove lingue, ovvero di pubblicare ricerche già note.
È inutile spendere altre parole per descrivere questo male da tutti riconosciuto. Furono ad esso proposti varii rimedii, che qui esporrò rapidamente:
1° Quello dell’adozione, nei lavori scientifici, d’una sola lingua vivente. Ma non c’è probabilità d’accordo sulla scelta.
2° Quello dell’adozione contemporanea di più lingue viventi. Fu proposto che nelle scuole francesi si rendesse obbligatorio l’inglese, e viceversa; lasciando la libertà ad ogni popolo di optare per l’una o l’altra delle due1. Ma i tedeschi optarono pel tedesco, gli italiani per l’italiano, e la questione non fece un passo verso la soluzione.
Fu proposto di estendere il numero delle lingue principali, a tre, a quattro, a sei (opinione di Max Müller), e a sette, comprendendovi il russo. Ho sentito questa proposta al “Congrès international des Mathématiciens de Paris”, a. 1900; ma ebbe contrarii quelli che parlano le lingue principali in senso stretto, e vivamente contrarii i rappresentanti dei popoli esclusi, i quali maggiormente sono attaccati alla propria lingua, vessillo della nazionalità.
Fu proposto il ritorno al latino; e questa proposta ebbe molti fautori; si pubblicarono in varie parti del mondo giornali in latino, quali la Vox Urbis in Roma, il Praeco latinus in Filadelfia, Phoenix in Londra, ecc. Ma se alcuni letterati possono ancora scrivere qualche opuscolo nel latino di Cicerone, nessuno, da secoli, scrive un libro in quella lingua. E si ha timore di scrivere il latino scolastico, il latino di Eulero, per non farsi dare degli ignoranti. Perciò il latino esulò, perfino dalle grammatiche comparate delle lingue antiche, che destinate da latinisti a latinisti, sono scritte nelle varie lingue moderne.
Rimangono le lingue artificiali. Intendo lingua artificiale in lato senso. Così è lingua artificiale il latino di Eulero, che non fu mai parlato da alcun popolo.
Il libro: Couturat e Leau, Historie de la langue universelle, che già ebbi l’onore di presentare all’Accademia, oltre all’esposizione delle ragioni della necessità della lingua internazionale, e delle varie soluzioni proposte, analizza ben 57 progetti di lingue artificiali, di ogni specie, alcuni frutto di studii profondi, altri semplici bizzarrie; alcuni dovuti a nomi illustri, altri affatto ignoti.
Gli autori delle varie lingue artificiali dimostrarono sempre grande sentimento di altruismo; spesero tempo, lavoro e denari in questi loro tentativi; furono trattati con indifferenza e peggio. Pure qualche cosa dei loro studii è rimasto.
Parecchie pagine del libro sono dedicate alla interessante storia del Volapük. Ideato nel 1879, in pochi anni raggiunse un grande sviluppo. Nel 1889 aveva fondato 283 club e 25 giornali in tutto il mondo civilizzato. Ebbe una letteratura superiore a quella di più lingue secondarie; poi rapidamente decadde e morì. La ragione del trionfo effimero del Volapük fu che rispondeva ad un bisogno universalmente sentito. La causa della sua scomparsa si è che questa lingua descrisse nel periodo di 10 anni tutta la trajettoria, che non ha ancora percorsa la lingua latina nel periodo storico di oltre 2000 anni. Il Volapük conteneva numerose convenzioni, non aventi altra ragione di essere, che la volontà del suo autore. I seguaci di questa lingua, quando cominciarono ad usarla, e renderla viva, proposero chi una semplificazione, chi un’altra. Così l’unità sua si scisse, come il latino si scisse dando luogo alle lingue neolatine.
Lascierò in disparte ogni altro progetto analogo. Ora sonvi due correnti di idee, a proposito della lingua internazionale; chi parte dal latino, e lo semplifica; chi parte dall’insieme dei vocaboli che già sono internazionali.
L’idea di assumere come lingua internazionale il latino semplice o semplificato, già antica, è oggi sostenuta da linguisti di fama ben nota. Citerò Michele Bréal, l’autore del Dizionario etimologico latino2, e Paul Regnaud, professore di Sanscrito e Grammatica comparata all’Università di Lione. Questi propone3:
- “La soppressione della declinazione e delle desinenze del genere, ove sono inutili.
- “Conjugazione ridotta alle forme strettamente sufficienti.
- “Sostituzione della sintassi analitica delle lingue moderne alla costruzione latina.
- “Riduzione all’uniformità dei suffissi rappresentanti la stessa funzione grammaticale.
- “Ammissione dei neologismi necessarii„.
L’altra corrente di fautori della lingua universale parte dal fatto che già un insieme notevole di parole sono comuni alle varie lingue europee.
Tabelle di siffatte parole, sempre più ampie, furono successivamente pubblicate, e il numero delle parole già internazionali ammonta a circa 8000, formanti un sufficiente dizionario.
L’ultimo lavoro in questo senso è l’Idiom neutral, il cui vocabolario e grammatica, compilati da una Società internazionale, dopo molti anni di lavoro, apparve nel 1902. Questo è una vasta raccolta di fatti indiscutibili; il numero delle convenzioni che vi rimangono, è assai piccolo. Però, per quanto piccolo, queste convenzioni hanno già dato luogo a critiche, ed a tentativi di perfezionamento. Tale è il Panroman del dott. Molenaar, pubblicato da pochi mesi.
Insomma ogni nuovo progetto di lingua internazionale si è servito di quanto di buono si trovava nei progetti precedenti, e gli ultimi sette od otto progetti paiono dialetti di una stessa lingua.
Ora la ricerca delle parole già internazionali ha rilevato che esse sono quasi completamente latine, cosa evidente data la storia della nostra civilizzazione. Quindi i progetti basati sui vocaboli internazionali collimano con quelli basati sulla riduzione del latino. Inoltre siccome la riduzione che si vuol fare del latino è quella stessa che storicamente subì il latino per dar origine alle lingue neolatine, ne avviene che queste lingue internazionali rassomigliano molto all’italiano, pure essendo immensamente più semplici d’ogni lingua naturale.
Ecco alcune linee in Idiom neutral:
- “Skribasion in idiom neutral don profiti sekuant in komparasion ko kelkun lingu nasional: 1° libri e broshuri scientifik publiked in its idiom potes esar lekted per omni hom in original. 2° traduksion no plu es nesesar, …„.
Il già citato progetto del dott. Molenaar, che elimina la lettera k, inutile, rende la somiglianza coll’italiano anche maggiore.
Del resto già il Bréal, parlando del suo latino semplificato, aveva detto che4 “ne tarderait pas à rassembler beaucoup à du français„.
Causa l’affinità dell’italiano moderno coll’antico latino, il prof. Branwoll propose (17 settembre 1902) alla “British Association„ l’adozione dell’italiano come lingua internazionale. Ma se l’italiano ha molti elementi buoni, è assurdo il pretendere di far diventare internazionali le sue numerose anomalie.
Dalla convergenza di tutti questi progetti, risulta che la questione è matura. Il 9 aprile 1901 il generale Sébert presentò, all’Accademia delle Scienze di Parigi, una petizione, firmata da 20 socii dell’Accademia stessa, fra cui i matematici Appell, Lemoine, Painlevé, Poincaré, Méray, affinché la questione della lingua internazionale fosse posta all’ordine del giorno nella prossima assemblea dell’Associazione internazionale delle Accademie. In seguito si aggiunsero all’indirizzo molte altre firme; parecchie Società vi aderirono in corpo.
L’Accademia delle Scienze di Vienna, in seduta 6 giugno 1902, incaricò il socio, prof. Schuchardt, di “seguire il movimento relativo alla creazione d’una lingua ausiliaria internazionale, e di renderne conto all’Accademia”.
Mentre si attende che le Accademie e le Autorità si pronuncino in merito alla questione della lingua internazionale, possiamo notare due risultati scientifici derivati da questi studii:
- 1° La raccolta di 8000 vocaboli già internazionali.
- 2° La semplificazione della grammatica.
Le regole grammaticali andarono semplificandosi nei successivi progetti; e negli ultimi, la grammatica è ridotta a una o due pagine.
Però, siccome non esiste una grammatica internazionale, la grammatica risultante consta o di desinenze artificiali, o di desinenze, p. es., neolatine, non internazionali.
Venne a schiarire questo punto un fatto nuovo, che si potrebbe chiamare la scoperta dei manoscritti di Leibniz. Dopo due edizioni delle sue Opere omnia, del Dutens e del Gerhardt, si credeva generalmente che i manoscritti di questo gran pensatore, giacenti nella Biblioteca di Hannover, non contenessero più cosa importante.
Ma il dott. Vacca, allora assistente di Calcolo nell’Università di Torino, accortosi di lacune nei lavori stampati, andò a consultare i manoscritti, e inviò copia di quelli relativi alla Logica matematica, da cui risultò che parecchi teoremi di questa scienza, attribuiti a Boole, Schröder e ad altri, già erano stati enunciati dal Leibniz.
Il prof. Couturat, uno degli autori del libro che ho presentato, e che si occupa pure con successo della Logica matematica, per incarico del Governo francese si recò alla sua volta ad Hannover, e raccolse larga messe di documenti, che pubblicò in un grosso volume5.
Fra questi manoscritti, ora venuti alla luce, c’è pure il progetto di lingua razionale, ideato dal Leibniz; risultava prima, dalle varie lettere, che Leibniz si era profondamente occupato della questione; ma solo ora si sa (almeno parzialmente) quanto egli disse. Ora Leibniz, applicando metodi analoghi a quelli del Calcolo logico, già aveva ridotto le regole grammaticali. Parecchie delle osservazioni di Leibniz, quali:
- pag 287: In Grammatica rationali necessarii non sunt obliqui, nec aliae flexiones,
risultano dal confronto delle lingue europee esistenti, e già furono usate dagli ideatori di lingue artificiali.
Ma l’osservazione seguente:
- pag. 281: Videtur pluralis inutilis in lingua rationali,
non era stata avvertita mai. Eppure è un’osservazione semplice; già in Matematica si scrive a, 2a, 3a…, senza alcun segno di plurale della lettera a. Quindi analizzando le varie regole e flessioni grammaticali, si arriva al risultato che nessuna di esse è necessaria; e che la grammatica minima è la grammatica nulla.
In un breve articolo, intitolato De latino sine flexione, pubblicato da pochi mesi nella Revue de Mathématiques, t. 8, io riporto e sviluppo le varie proposizioni di Leibniz, ed altre analoghe. Esso spiega come si possa dal latino, o da altra lingua qualunque, eliminare prima una flessione, poi una seconda, poi una terza e così via; e ciò senza mai introdurre alcuna convenzione.
L’articolo è scritto in latino, e man mano si dimostra come con una conveniente trasformazione o circuito6 una data flessione si possa eliminare, io volontariamente non ne faccio più uso nel seguito del discorso. È il modo più chiaro per spiegare, con esempi, la teoria. Risulta che l’ultima pagina dell’opuscolo è composta di vocaboli latini; e fra essi mancano le flessioni grammaticali della declinazione e della conjugazione (persone, tempi, e modi).
Il latino senza flessioni è un po’ difficile a scriversi; ma è molto facile a leggersi. Ed esso pare comodo per la comunicazione internazionale matematica. In pochi mesi già furono stampati tre articoli di matematica:
- G. PEANO, Principio di permanentia, RdM., t. 8, p. 84.
- G. VACCA, Sphœra es solo corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto externo, RdM., t. 8, p. 877
- M. LAZZARINI, Mensura de circulo juxta Leonardo Pisano, Periodico di Matematica (Lazzeri), a. 1903, p. 137,
scritti in latino, senza flessioni.
Ho pure ricevuto numerose lettere, scritte collo stesso sistema. Da tutte risulta che il latino sine flexione è generalmente inteso da chiunque conosce anche sommariamente il latino, ed è facilmente decifrabile da chi conosce una lingua neolatina.
I lavori precedenti furono letti da un numero di persone molto più grande di ciò che sarebbe avvenuto, se essi fossero scritti in italiano. Purtroppo professori di Università dicono: «non ho potuto leggere il tal libro, perchè scritto in italiano».
In ogni caso non è mia pretesa che tutte o alcune delle flessioni, che io provo non necessarie, siano eliminate.
Quello che mi sembra importante, si è che chiunque crede alla convenienza d’una lingua ausiliaria internazionale, procuri di facilitarne l’attuazione, collo stampare i suoi lavori destinati a pubblico internazionale, sotto quella forma che crederà meglio, purchè non sia quella troppo comoda di scrivere nella propria lingua.
Lo studio da me iniziato, è basato sopra una serie di eguaglianze logiche, contenenti in un membro una parola, o una flessione, che non è contenuta nel secondo membro. Quindi se noi sostituiamo costantemente, al primo membro, il secondo, si può mandar via dal latino quella parola o quella flessione. Così procedendo in questi studii, si arriverà a determinare qual è il minimo numero di parole, affissi e suffissi, sufficienti ad esprimere ogni idea, cioè a costrurre il latino minimo.
Questo metodo è un’applicazione della Logica matematica, la quale appunto, con una successione di eguaglianze, permette di scomporre un insieme di idee matematiche in primitive e derivate. Questa scienza, i cui principii furono pure enunciati da Leibniz, prese un rapido sviluppo ai nostri giorni, conducendo a meravigliosi risultati. Sicchè Mr. Russell dell’Università di Cambridge la chiamò: «one of the greatest discoveries of our age»8.
La differenza fra questa nuova applicazione e le precedenti è che mentre in matematica le idee sono precise, e le eguaglianze esatte, qui invece le idee o parole su cui si opera sono un po’ elastiche, e le eguaglianze sono solo approssimate. Quindi, sostituendo l’uno all’altro membro dell’eguaglianza, spesso si trascura il colore della frase. Ma ciò è un vantaggio nel linguaggio scientifico, che tende al massimo di semplicità. In ogni caso poi se in un periodo, dopo averlo trasformato successivamente, mediante le eguaglianze logiche, non si arriva ad eliminare con chiarezza una determinata flessione, o parola, allora la si conservi.
In questo studio, applicazione della sola Logica matematica, si costeggia però un’altra scienza bellissima, la Linguistica, a cui io sono profano. Invero parecchie equazioni logiche sono nello stesso tempo equazioni etimologiche; e quando la cosa non avviene, pure l’etimologia del vocabolo ne precisa il valore. Altre riduzioni di idee o di periodi che qui ottengo colla scorta della Logica, già sono effettuate in lingue viventi, specialmente nell’inglese.
Quindi è da augurarci che sia accolto l’appello indirizzato dal prof. Regnaud, nel citato articolo, ai linguisti, affinché si occupino di questa questione. Essi troveranno il modo di applicare e diffondere la loro scienza.
Il latino sine flexione allo stato attuale, come pure il latino minimo, quando sarà costrutto, o meglio calcolato, è conseguenza di soli teoremi logici. Esso contiene nessuna convenzione. Un articolo scritto in questa lingua non richiede spiegazione precedente, o chiave, per essere inteso. Esso è inteso necessariamente da chiunque conosce il latino, e, a seconda dell’abilità dello scrivente, anche da chi non sa il latino.
Continuando lo stesso ordine di idee, ho preparato lo studio, o meglio il calcolo, della riduzione dei suffissi latini che servono alla derivazione fra nomi, aggettivi e verbi.
Così esamino l’altra affermazione:
- Careri etiam potest abstractis nominibus,
che Leibniz pure enuncia (pag. 287), senza alcun schiarimento o indicazione ulteriore.
Questa Nota è scritta in latino, e, man mano provo che un determinato suffisso non è strettamente necessario, io volontariamente non ne faccio più uso nel discorso successivo. E, se l’Accademia lo permette, presento questo mio lavoro per l’inserzione negli Atti.
Note
- ↑ CH. ANDRÈ, sous-bibliothécaire de l’Université de Lyon, Le latin, et le problème de la langue internationale, Paris, a. 1903, pag. 2.
- ↑ ”Revue de Paris”, 15 juillet 1901, Sur le choix d’une langue internationale.
- ↑ Prefazione al già citato opuscolo di Ch. André, pag. V.
- ↑ Ib., pag. 233.
- ↑ Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, a. 1903, pag. XVI+682.
- ↑ Leibniz, p. 287 «Ad flexiones quidem vitandas circuitu opus est».
- ↑ Così tradotto in Rumeno dalla Gazeta Matematica: «Sfera este singural corp care se poate videa ca un cerc din ori-ce punct exterior».
- ↑ The principles of mathematics; vedasi «The Spectator», october 3, a. 1903, p. 491.
APPENDICE
Nei menzionati lavori matematici, già stampati in latino senza flessioni, trovansi riportati brani di scritti in tedesco, inglese, latino classico, latino medioevale, colla traduzione letterale in latino senza flessione. In generale si vede che la traduzione dal latino classico e anche dal tedesco esige spesso inversioni, aggiunte di soggetti prima sottintesi, e serie di trasformazioni. La versione dall’inglese invece è più semplice, perchè già l’inglese è una lingua con poche flessioni.
Aderendo al desiderio di alcuni colleghi, dò qui un nuovo esempio di latino sine flexione; e tradurrò una ben nota favola cinese; poichè è noto che il cinese è appunto una lingua senza flessioni. È la prima contenuta nella Sintaxe nouvelle de la langue chinoise de M. Stanislas Julien, Paris, a. 1879, p. 297.
Il cinese, com’è noto, è una lingua monosillabica, a scrittura ideografica. Sostituisco ad ogni ideogramma cinese una parola latina, sempre la stessa, qualunque sia la sua varia posizione nella frase. È necessario quindi che anche la parola latina sia inflessibile. Prendo la parola latina sotto la forma più semplice che si trova nella grammatica latina, che è il nominativo o l’ablativo singolare nei nomi, l’imperativo nei verbi, salvo alcune eccezioni.
La corrispondenza fra gli ideogrammi cinesi, e le parole latine inflessibili è la seguente:
- 1) «Aqua ripa es duo anser cum uno testudo simul liga parente amico.
- 2) «Post tempore palude aqua sicca desine. Duo anser fac hoc consilio dic.
- 3) «Nunc hoc palude aqua sicca desine. Parente amico certo accipe magno dolore.
- 4) «Consilio fine loque testudo dic.
- 5) «Hoc palude aqua sicca desine. Te nihil vive lege.
- 6) «Potes rostra uno ligno. Me simile singulo rostra uno caput.
- 7) «Prende te pone magno aqua loco.
- 8) «Rostra ligno eius tempore cave non potes loque.
- 9) «Statim tunc rostra eius filo supera multo sepulcro.
- 10) «Parvo puer vide omne dic. Anser rostra testudo porta. Anser rostra testudo porta.
- 11) «Testudo statim collera dic. Hoc tange te re.
- 12) «Statim perde ligno cade terra et more.»
(Fra le parole latine ho incluso loque, tema di loquere (imperativo), e simili, potes invece dell’imperativo mancante, ed eius, derivato da is, per esprimere un certo ideogramma cinese).
Quanto precede è puro cinese, compresa la punteggiatura, a meno della forma dei segni. Ora occorre conoscere che la lingua cinese, causa i pochi suoi monosillabi, spesso ne raggruppa due per indicare ciò che noi indichiamo con una parola sola. Quindi parente-amico delle linee 1 e 3 significa in sostanza amico. Il me simile della linea 6, cioè i simili a me, è una perifrasi del latino nos. Il multo sepulcro della linea 9 significa città, o villaggio. La successione di due nomi, quali i due primi aqua ripa, ha il valore del composto tedesco Flussufer. Altre regole permettono di sottintendere ciò che noi esprimiamo con particelle. Rimettendole a posto, si ha:
- «Duo anser, qui es in ripa de aqua, liga se simul cum testudo ut amico (ossia liga amicitia).
- Post tempore (aliquo), aqua de palude sicca et desine. Duo anser consule inter se, et dic:
- Nunc aqua de hoc palude sicca et desine. Amico accipe certe magno dolore.
- Post (hoc) consilio, (duo anser) loque (ad) testudo, et dic:
- Aqua de hoc palude sicca et desine. Ad te nullo modo es ad live (inglese: is to life, ovvero ut te vive).
- Te potes rostra (inglese you can peack, cioè prendere col becco) uno baculo. Nos rostra singulo caput (de baculo).
- Et nos prende te, et pone te in loco de magno aqua.
- In tempore, in quo te rostra baculo, cave, non potes loque.
- Tunc statim agmen de rostrante supera urbe.
- Puerulo vide illo omne, et clama: Anser rostrante porta testudo! Anser rostrante porta testudo!
- Testudo statim, in collera, ai: Hoc re tange te?
- Statim perde baculo, cade ad terra, et more».
Questo testo è ora intellegibile a chiunque conosca anche superficialmente il latino; chi possiede la grammatica latina, può mettere fra le parole latine le flessioni mancanti, senza alcuna ambiguità. Esso è una specie di latino senza flessioni.