Il giro del mondo in ottanta giorni/Capitolo XIX

Capitolo XIX

../Capitolo XVIII ../Capitolo XX IncludiIntestazione 27 dicembre 2022 25% Da definire

Capitolo XVIII Capitolo XX
[p. 135 modifica]

CAPITOLO XIX.


Nel quale Gambalesta piglia un interesse troppo vivo pel suo padrone, e quel che ne succede.


Hong-Kong non è che un isolotto, di cui il trattato di Nanking, dopo la guerra del 1842, assicurò il possesso all’Inghilterra. In pochi anni il genio colonizzatore della Gran Brettagna vi aveva fondato una città importante e creato un porto, il porto Vittoria. Quest’isola è situata alla foce del fiume Canton, e sessanta miglia soltanto la separano dalla città portoghese di Macao, fabbricata sull’altra riva. Hong-Kong doveva necessariamente vincere Macao in una lotta commerciale, ed ora la maggior parte del transito cinese si fa per la città inglese. Docks, ospedali, wharfs (scali), magazzini di deposito, una cattedrale gotica, un government-house (palazzo del governo), vie alla Macadam, tutto farebbe credere che una delle città commerciali delle contee di Kent o di Surrey, attraversando lo sferoide terrestre, sia venuta a sbucare in questo punto della Cina, quasi a’ suoi antipodi.

Gambalesta, con le mani in tasca, si recò dunque verso il porto Vittoria, guardando i palanchini, le carriole [p. 136 modifica]a vela, ancora in uso nel Celeste Impero, e tutta quella folla di Cinesi, di Giapponesi e d’Europei, che si accalcava nelle vie. Suppergiù era ancora Bombay, Calcutta o Singapore che il buon giovane ritrovava sulla sua strada. Tutt’intorno al mondo c’è come una striscia di città inglesi.

Gambalesta giunse al porto Vittoria. Lì, alla foce del fiume Canton, era un formicolìo di navi di tutte le nazioni, inglesi, francesi, americane, olandesi, navi da guerra e di commercio, barche giapponesi o cinesi, giunche, sempas, tankas, e persino delle barchette a fiori che formavano tanto aiuole galleggianti sulle acque. Passeggiando, Gambalesta osservò un certo numero d’indigeni vestiti di giallo, tutti avanzatissimi in età. Essendo entrato da un barbiere cinese per farsi radere «alla cinese» riseppe dal Figaro del luogo, il quale parlava un discreto inglese, che quei vecchioni avevano tutti ottant’anni almeno, e che a quell’età avevano il privilegio di portare il colore giallo, che è il colore imperiale. Gambalesta trovò la cosa molto amena, senza saperne bene il perchè.

Rasa la barba, egli si recò al molo d’imbarco del Carnatic, e là scorse Fix che passeggiava innanzi e indietro, il che non gli cagionò alcuna sorpresa. Ma l’ispettore di polizia lasciava scorgere sulla sua faccia i segni di un vivo dispetto.

«Affè! disse tra sè Gambalesta, la va male per i gentlemen del Reform-Club. Tutto ci riesce.»

E si avvicinò a Fix col suo giocondo sorriso, senza voler badare all’aria di malumore del suo compagno.

Ora, l’agente aveva fior di ragioni per indispettirsi contro la sorte infernale che lo perseguitava. Niente mandato! Era evidente che il mandato gli correva [p. 137 modifica]dietro, e non potrebbe raggiungerlo se non soggiornasse qualche giorno in quella città. Ora, essendo Hong-Kong l’ultima terra inglese dell’itinerario, il signor Fogg stava per isfuggirgli, s’egli non riuscisse a rattenervelo.

«Ebbene, signor Fix, siete deciso a venire con noi sino in America? chiese Gambalesta.

— Sì, rispose Fix, a denti stretti.

— Evvia! esclamò Gambalesta prorompendo in una fragorosa risata. Lo sapevo io che non potevate separarvi da noi. Venite a fermare il vostro posto. Venite!»

Ed entrambi entrarono nell’ufficio dei trasporti marittimi e noleggiarono dei camerini per quattro persone. Ma l’impiegato fece loro osservare che siccome i raddobbi del Carnatic erano terminati, il piroscafo partirebbe la sera stessa alle otto, e non il mattino seguente, com’era stato detto.

«Benissimo! disse Gambalesta, meglio pel mio padrone. Vado ad avvertirnelo.»

In quella. Fix prese una decisione estrema. Egli risolse di dir tutto a Gambalesta. Era forse il solo mezzo che gli restasse per trattenere Phileas Fogg durante qualche giorno a Hong-Kong.

Lasciando l’ufficio. Fix offrì al suo compagno di prendere un rinfresco in una tabagìa. Gambalesta aveva tempo, ed accettò l’invito di Fix.

Sul molo c’era una tabagìa, che aveva un aspetto attraente. Entrambi vi entrarono. Era una vasta sala, ben arredata, in fondo alla quale si stendeva un letto da campo, guernito di guanciali. Su quel letto erano adagiati parecchi dormenti.

Una trentina di avventori occupava [p. 138 modifica]dei tavolini di giunco intrecciato nella gran sala. Alcuni vuotavano pinte di birra inglese, ale o porter; altri, boccali di liquori alcoolici, gin o brandy; inoltre, quasi tutti fumavano lunghe pipe di creta rossa, cariche di pallottoline di oppio misto ad essenza di rose. Indi, di quando in quando, qualche snervato guizzava sotto la tavola, e i camerieri dello stabilimento, pe’ piedi e per la testa, lo portavano sul letto da campo vicino ad un confratello. Circa venti di questi ubbriachi erano così disposti l’uno accosto all’altro, all’ultimo grado d’abbrutimento.

Fix e Gambalesta s’avvidero di essere entrati in una tabagìa frequentata da quei miserabili, inebetiti, macilenti, idioti, cui la mercantile Inghilterra vende annualmente per duecentosessanta milioni di franchi di quella droga funesta che si chiama oppio! Tristi milioni cotesti, prelevati sopra uno dei più funesti vizi della natura umana.

Il governo cinese ha pur tentato di rimediare a tale abuso con leggi severe, ma indarno. Dalla classe ricca, cui l’uso dell’oppio era dapprima formalmente riservato, quest’uso scese sino alle classi inferiori, e il male non potè più essere arrestato.

Si fuma l’oppio dovunque e sempre nell’impero di Mezzo.

Uomini e donne si abbandonano a questa passione deplorabile, ed allorchè sono abituati a questa inalazione, non possono più astenersene, a meno di risentire orribili contrazioni di stomaco.

Un gran fumatore può fumare sino ad otto pipe al giorno, ma muore in cinque anni.

Ora, appunto in una delle numerose tabagìe di questo genere, che pullulano anco ad Hong-Kong, erano [p. 139 modifica]entrati Fix e Gambalesta, coll’intenzione di prendere un rinfresco. Gambalesta non aveva danaro addosso, ma accettò volentieri la «gentilezza» del suo compagno, salvo a restituirgliela a tempo e luogo.

Si fecero portare due bottiglie di Porto, e il Francese vi fe’ largamente onore, mentre Fix, più riserbato, lo osservava con somma attenzione. Si ciarlò di questo e quello, e soprattutto della eccellente idea che aveva avuto Fix di prender passaggio sul Carnatic. E a proposito di questo steamer, la cui partenza era stata anticipata di alcune ore, Gambalesta, poichè le bottiglie furono vuotate, si alzò per andare ad avvertire il suo padrone.

Fix lo trattenne.

«Un istante, diss’egli.

— Che volete, signor Fix?

— Ho da parlarvi di cose serie.

— Di cose serie! esclamò Gambalesta tracannando alcune goccie di vino rimaste nel fondo del bicchiere. Ebbene, ne parleremo domani. Non ho tempo oggi.

— Rimanete, rispose Fix. Si tratta del vostro padrone!»

Gambalesta, a queste parole, guardò attentamente il suo interlocutore.

L’espressione del volto di Fix gli parve singolare, ond’egli si ripose a sedere.

«Che avete a dirmi?» chiese egli.

Fix appoggiò la mano sul braccio del suo compagno, e abbassando la voce:

«Voi avete indovinato chi ero? gli domandò.

— Altro che! disse Gambalesta sorridendo.

— Allora vi confesserò tutto....

— Adesso che so tutto, compare bello! Ah! che talentone! Basta, dite su. Ma prima lasciate che vi dica [p. 140 modifica]che quei gentlemen spendono i loro danari molto inutilmente!

— Inutilmente! disse Fix. Avete un bel parlare. Si vede bene che non conoscete l’importanza della somma.

— Ma sì, rispose Gambalesta. Ventimila sterline!

— Cinquantacinquemila! rispose Fix, stringendo la mano al Francese.

— Che! esclamò Gambalesta. Il signor Fogg avrebbe osato! Cinquantacinque mila sterline!... Ebbene! ragione di più per non perdere un istante, aggiuns’egli rialzandosi di nuovo.

— Cinquantacinque mila sterline! ripigliò Fix che lo sforzò a risedere, dopo aver fatto portare una bottiglia di brandy. E se riesco, guadagno un premio di duemila sterline. Ne volete cinquecento (12,500 fr.) voi, a condizione di aiutarmi?

— Aiutarvi! esclamò Gambalesta, i cui occhi erano smisuratamente aperti.

— Sì, aiutarmi a trattenere il signor Fogg per qualche giorno a Hong-Kong?

— Eh! fece Gambalesta, cosa dite! Come! non contenti di far seguire il mio padrone, di sospettare della sua lealtà, quei gentlemen vogliono altresì suscitargli degli ostacoli! Arrossisco per loro!

— Ma via! Che volete dire? domandò Fix.

— Voglio dire che è una vera indelicatezza. Tanto vale spogliare il signor Fogg, pigliargli i danari dalle tasche!

— Ma a questo appunto vogliamo arrivare.

— Ma è un tranello!» esclamò Gambalesta, che si animava allora sotto l’influenza del brandy che gli mesceva Fix, e cui beveva senz’accorgersene, un tranello in tutte le forme! Dei gentlemen! dei [p. 141 modifica]colleghi!

Fix incominciava a non raccapezzarsi più.

«Dei colleghi! esclamò Gambalesta, dei membri del Reform-Club! Sappiate, signor Fix, che il mio padrone è un onest’uomo, e che, quando ha fatto una scommessa, gli è lealmente ch’ei pretende guadagnarla.

— Ma chi credete dunque ch’io sia? domandò Fix fissando il suo sguardo su Gambalesta.

— Oh bella! un agente dei membri del Reform-Club, che ha la missione di controllare l’itinerario del mio padrone, il che è singolarmente umiliante! Laonde, sebbene io abbia indovinato la vostra qualità, mi sono bene astenuto dal parlarne al signor Fogg.

— Non sa nulla? chiese vivamente Fix.

— Nulla, rispose Gambalesta, vuotando ancora una volta il suo bicchiere.»

Fix si passò una mano sulla fronte. Egli esitava prima di ripigliare la parola. Che doveva fare? L’errore di Gambalesta pareva sincero, ma rendeva il suo progetto più difficile. Era evidente che quel giovane parlava con assoluta buona fede, e che non era il complice del suo padrone, — cosa che Fix avrebbe potuto temere.

«Ebbene, disse tra sè, giacchè non è suo complice, egli mi aiuterà.»

Fix si decideva per la seconda volta. D’altra parte, egli non aveva più il tempo di aspettare. A qualunque costo bisognava fermare Fogg a Hong-Kong.

«Ascoltate, disse Fix con voce breve. Ascoltatemi bene. Io non sono quello che voi credete, cioè un agente dei membri del Reform-Club.

— Che! disse Gambalesta, guardandolo con aria furbesca. [p. 142 modifica]

— Io sono un ispettore di polizia, incaricato di una missione dell’amministrazione metropolitana.

— Voi!... ispettore di polizia!...

— Sì, e lo provo, ripigliò Fix. Ecco il mio brevetto.»

E l’agente, traendo una carta dal suo portafogli, mostrò al compagno un brevetto sottoscritto dal direttore della polizia centrale. Gambalesta, sbalordito, guardava Fix, senza poter articolare una parola.

«La scommessa del signor Fogg, ripigliò Fix, non è che un pretesto da cui siete stati abbindolati voi e i suoi colleghi del Reform-Club, giacchè egli aveva interesse ad assicurarsi la vostra inconsapevole complicità.

— Ma perchè?... esclamò Gambalesta.

— Ascoltate. Il 28 settembre, ultimo scorso, un furto di cinquantacinquemila sterline venne commesso alla Banca d’Inghilterra da un individuo i cui connotati poterono essere raccolti. Ecco quei connotati: lineamento per lineamento sono quelli del signor Fogg.

— Evvia! esclamò Gambalesta battendo la tavola col suo robusto pugno. Il mio padrone è il più onest’uomo del mondo!

— Che ne sapete voi? rispose Fix. Non lo conoscete neppure! Entraste al suo servizio il giorno della sua partenza, ed egli partì precipitosamente con un pretesto insensato, senza valigia, portando con sè una grossa somma in banconote! E voi osate sostenere che è un onest’uomo!

— Sì! sì! ripeteva macchinalmente il povero giovane.

— Volete dunque essere arrestato come suo complice?»

Gambalesta si era posto ambo le mani in testa. Egli non era più riconoscibile. Non osava [p. 143 modifica]più guardare l’ispettore di polizia. Phileas Fogg un ladro! lui, il salvatore di Auda! l’uomo generoso e tutto coraggio! Eppure quanti sospetti sorti contro di lui! Gambalesta tentava di scacciare i sospetti che si ficcavano nella sua mente. Egli non voleva credere alla colpabilità del suo padrone.

«Insomma che volete da me? diss’egli all’agente di polizia, contenendosi con un supremo sforzo.

— Ecco, rispose Fix. Ho seguito il signor Fogg sin qui; ma non ho ancora ricevuto il mandato d’arresto. È mestieri dunque che mi aiutiate a trattenere a Hong-Kong....

— Io! aiutarvi a....

— Ed io divido con voi il premio di duemila sterline promesso dalla Banca d’Inghilterra.

— Mai!» rispose Gambalesta, che volle rialzarsi e ricadde, sentendo che la ragione e le forze lo abbandonavano insieme.

«Signor Fix, diss’egli balbettando, quand’anco tutto ciò che mi avete detto fosse vero.... quando il mio padrone fosse il ladro che cercate.... cosa che io nego.... sono stato.... sono al suo servizio.... l’ho visto buono e generoso.... Tradirlo.... mai.... no, per tutto l’oro del mondo.... Io sono di un villaggio dove non si mangia di codesto pane!...

— Rifiutate?

— Rifiuto.

— Facciamo come se non avessi detto nulla, rispose Fix, e beviamo.

— Sì, beviamo!

Gambalesta si sentiva sempre più invadere dall’ubbriachezza. Fix, comprendendo che bisognava ad ogni costo separarlo dal suo padrone, volle finirla. Sulla [p. 144 modifica]tavola c’erano alcune pipe cariche d’oppio. Fix ne pose destramente una nella mano di Gambalesta, che la prese, se la portò alle labbra, la accese, ne trasse alcune boccate di fumo, e ricadde, con la testa aggravata sotto l’influenza del narcotico.

«Finalmente, disse Fix mirando Gambalesta annichilito, il signor Fogg non sarà avvisato a tempo della partenza del Carnatic, e se parte, almeno partirà senza questo maledetto Francese!

Indi egli uscì, dopo aver pagato il conto.