Il fiore di maggio/La Rosa/Prima parte
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PARTE PRIMA.
Alla finesta della sala là scorgi elevarsi dal picciol vaso verde posato su uno zoccolo d’ebano. Le foglie, d’una bianchezza sì pura, in cui si fonde con tanta armonia quella tinta deliziosa particolare alla sua specie e che somiglia assai ai fiocchi di neve; il calice così pieno, così perfetto, la testa ricurva come soccombesse al peso della sua esuberanza. Oh qual visto ne offre, questo atomo sorprendente della creazione! E quando mai l’uomo giungerà egli a produrre qualche cosa che rassomigli a questo fiore, in cui la vita sembra traspirare?
Ma un raggio di sole, penetrando attraverso le cortine d’una splendida sala ci ha rivelato qualche cosa ancor più bella della rosa. Assisa su di un canapè posto in un’angolo oscuro, riposa la rivale dello splendido fiore, una giovinetta! Pallida in volto; colla fronte, ove siede raggiante l’intelligenza, l’espressione del suo viso rivela elevati pensamenti. Le lunghe ciglia degli occhi sono abbassate a terra; e spunta sulle sue labbra un sorriso frammisto a mesta dolcezza.
Oh! Creazione, più che altra sublime, non saresti tu mai che figlia d’un sogno?
Ma una voce giovane, argentina ne richiama alla realtà della vita, “Fiorenza! Fiorenza! dice la voce, smetti quel savio ed eccellente libro, e scendi dalle nubi per parlare all’amica tuo semplice mortale di sedici anni. Stava pensando or ora ciò che avresti fatto del tuo rosajo favorito, quando intraprenderai il viaggio per Nuova Jork, quel malaugurato viaggio, la cui sola idea ci contrista. Giacchè ben sai che dura cosa sarebbe lasciarlo in cura ad una testa senza cervello come la mia; amo i fiori è vero, ma i fiori raccolti in mazzo tagliati, legati, per adornarmene nella società. Ma in quanto spetta alle cure da dare ad un rosajo, come potarlo, inaffiarlo, e regolarlo, non è cosa di mia competenza.
— Statti tranquilla in proposito, disse sorridendo Fiorenza, ho sott’occhio un’asilo pel mio favorito.
— Oh allora non ignori ciò ch’io era per dirti. La signora Marshall ti ha dunque fatto visita? Ella fu qui jeri; io le parlai intorno a quel soggetto con parole assai patetiche, facendole conoscere a quali pericoli sarebbe esposto il vostro favorito; e così di seguito. Mi rispose che gradirebbe assai riporlo nella sua serra, che oggi è riordinata magnificamente, e stipata di arboscelli fioriti. Le dissi ch’io mi sapeva che tu glielo affideresti. Tu ami ben molto la signora Marshall.
— Me ne duole, Kate, ma io l’ho già promesso ad altra persona.
— Chi può mai essere? Tu hai ben pochi amici.
— Oh? Fu una delle mie stravaganti fantasie.
— Raccontami tal fantasia; Fiorenza.
— Ebbene! cugina, ricordi tu quella giovinetta pallida, a cui noi affidiamo lavori d’ago?
— Ecchè? la piccola Maria Stephens! che assurdità o Fiorenza. Ecco un’altra delle tue maníe di avola, — vestire delle poppottole per povere ragazze, far cappelli, e cucire bracche per tutti i scimiottelli di ragazzi della parocchia, ed ora, per coronar l’opera, ti salta il grillo di regalare quel giojello ad una cucitrice. Che volete che ne faccia de’ fiori gente tanto miserabile!
Proprio quello che ne faceva io stesso, rispose Fiorenza con calma. Non hai posto mente, che quella ragazza non viene mai qui senza osservare con molto interesse lo sbucciare delle gemme? Non ricordi come, jer l’altro mi chiese se le voleva permettere che la mamma sua venisse a vedere il mio rosajo, perchè sua madre ama di molto i fiori?
— Ma, Fiorenza, immagina soltanto l’idea di vedere questo delizioso rosajo posto su un tavolo ingombro di prosciutto, d’uova, di formaggio, di farina, e soffocato nella stanzuccia in cui mamma Stephens e la figlia attendono a fare il bucato, stirar la biancheria, cuci nare e che so io.
— Benissimo, Kate, e se anch ’ io fossi costretta a vivere in una cameretta, se mi toccasse come mamma Stephens e sua figlia fare il ranno, stirare, cucina re, come tu dici: se tutto il mio tempo fosse consacrato ad un penoso lavoro, e senz’altra vista dalla mia finestra che un muro in mattoni, od un viattolo fangoso, un fiore come questo non mi procurerebbe un’inesprimile gioja.
— Puh! Fiorenza, tutto sentimento! I poverelli non hanno tempo di pensare al sentimento. Inoltre io non credo che possa svilupparsi in essi. Il sentimento è un fiore di serra, uso a vivere in atmosfera dolce e pura.
— Oh! riguardo a ciò! un fiore non si cura mai se il suo proprietario sia ricco o povero. E mamma Stephens, checchè le possa mancare, ha il sorgere del sole, e di tal qualità quanto quello che viene a rallegrar le nostre finestre. Le più belle cose che Dio ha creato sono doni universali. Vedrai che la mia bella rosa, fiorirà tanto bene, ed avrà così splendido aspetto nella camera di Stephens come nella nostra.
— Ebbene ciò che hai in animo di fare è ben singolare. Quando si regala alla povera gente, si dà loro qualche cosa di utile come un cesto di patate, un prosciutto ed altre cose di simil natura.
— Certo è bene regalar lardo e pomi di terra, ma dopo aver provveduto ai più pressanti bisogni, perchè non aggiungervi qualche cosa di aggradevole, se ci è possibile il farlo? Io so che vi sono molti poveri che nutrono in sè il sentimento ed il gusto del bello, ma queste qualità inanate irruginiscono e muojono perchè non hanno campo ad esercitarle. Perchè mai ci è dato soventi volte di vedere il giranio, o la rosa tenuti con gran cura in un vecchio vaso spezzato appartenente alle genti più povere? Non sono esempi questi, che ci mostran chiaro che l’umano cuore aspira al bello in qualunque classe della società? Non ricordi più, Kate, come la nostra bucandaja, passò tutta una notte, dopo un giorno d’un assiduo lavoro, ad apparecchiare una al suo figlio pel giorno del battesimo.
— Sì, e ricordo pure quanto abbia riso di te, che gli aveva fatto un sì vago berretto.
— Ebbene, Kate, io penso che la gioja che provò la povera madre nel contemplare il figlio colla veste ed il berretto nuovi, avesse qualche cosa di celeste. Sì, io sono sicura che il mio regaluccio le abbia recato maggior piacere che non se le avessi regalato un sacco di farina.
— Per me non ho mai pensato di regalare i poveri che di ciò di cui tengono necessità, Ho sempre fatto elemosina ma senza mai uscire dall’opinion mia.
— Ma, cugina mia, se il nostro padre celeste, non si fosse occupato che de’ nostri bisogni materiali, il mondo non ci offrirebbe da ogni lato che l’aspetto di enormi mucchi di vittovaglie d’ogni specie in luogo di presentare quell’ammirevole varietà di piante, di frutti, e di fiori che ci incanta.
— Bene, bene assai, cugina; parmi che abbi ragione: ma senti compassione della mia povera testa; ella è troppo ristretta per contenere tante idee novelle ad un tratto. Così tira innanzi.„
E la vezzosa giovinetta prese a danzare, con una infantile petulanza, un tempo di valz innanzi una grande specchiera.