Il crowdsourcing tra necessità di coordinamento e perdita di controllo/Introduzione

Introduzione

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Il crowdsourcing tra necessità di coordinamento e perdita di controllo Capitolo 1 – Il Crowdsourcing

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Introduzione

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Questa tesi riguarda il crowdsourcing, un nuova modalità di collaborazione di massa che è stata resa possibile grazie ai media digitali. In particolare si analizza il caso studio Adottaunaparola (AUP), un’iniziativa di crowdsourcing per il censimento e il miglioramento delle voci Wikipedia relative alla regione Emilia Romagna. AUP è un progetto di TurismoEmiliaRomagna, un ramo dell’Azienda di Promozione Turistica (APT) regionale che tramite un’architettura digitale integrata svolge compiti di marketing territoriale/turistico.


La tesi è composta da quattro capitoli. I due capitoli iniziali sono di teoria: il primo è dedicato specificamente al crowdsourcing, mentre il secondo si occupa di marketing territoriale/turistico e di social media marketing. Nel terzo capitolo si descrivono gli obiettivi, le modalità di organizzazione e le pratiche di lavoro di TurismoEmiliaRomagna in quanto contesto di ideazione e gestione del progetto; si racconta poi lo svolgimento e l’evoluzione di Adottaunaparola e il lavoro oscuro che ha comportato per lo staff, ovvero l’insieme delle pratiche di gestione e coordinamento di back-office che rendono possibile la partecipazione collettiva. Il quarto capitolo unisce le categorie e i costrutti analitici derivanti dai capitoli teorici con i dati emersi dall’esperienza di TER e AUP, al fine di trattare e discutere alcuni ambiti di interesse. In particolare quello che si vuole indagare è il rapporto tra necessità di gestione/coordinamento e perdita di controllo: come si raggiunge un equilibrio tra queste due componenti indispensabili, e solo apparentemente contrapposte, in una pratica di collaborazione collettiva nel web? È questa la domanda di ricerca cui si prova a dare risposta con la seguente trattazione.


Sono molte già le esperienze di costruzione collettiva di contenuti e molti gli autori che ne parlano. Per questo motivo, nel primo capitolo si vuole fare il punto della situazione, trattando gli ambiti di interesse teorico relativi all’argomento nelle opinioni dei principali esperti. Si fa specialmente riferimento a Howe, il primo a parlare esplicitamente di crowdsourcing, e a Shirky, che nel suo libro “Uno per uno, tutti per tutti” traccia un quadro delle possibilità offerte da questa nuova pratica. [p. 2 modifica]Si porta quindi la definizione di crowdsourcing, con le relative classificazioni che gli autori attribuiscono ai diversi gradi e livelli di partecipazione. Tali classificazioni non sono del tutto coincidenti e lasciano aperto un problema relativo al limite di ciò che è classificabile come crowdsourcing1.

Il pre-requisito alla realizzazione di pratiche di collaborazione on-line è la diffusione dei media digitali. Si descrivono quindi quali cambiamenti, tanto sociali quanto economici, hanno portato queste nuove modalità di comunicazione. Da un punto di vista sociale, i new media creano la possibilità di realizzare una nuova forma di organizzazione sociale, non riconducibile alle due tracciate dalla tradizionale teoria dei costi di transazione (mercato e gerarchia), e che permette di superarne i limiti. Si tratta, appunto, di pratiche di collaborazione di massa (come le definisce Cottica) intraprese in maniera auto-gestita. Da un punto di vista economico, i new media permettono l’affermazione di un mercato non più soggetto a limitazioni sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda, un mercato dell’abbondanza basato sul concetto di coda lunga, teorizzato da Anderson. Tuttavia, tali tecnologie sono realmente abilitanti quando raggiungono un discreto livello di diffusione sociale. Quando questo accade però è possibile che gli individui si approprino di una tecnologia e ne modifichino l’uso e l’utilità: questa eventualità è nota come social drifting. Si descrive poi il primo caso di collaborazione di massa, che ha prodotto il sistema operativo Linux. Secondo gli autori tra i motivi del successo di Linux ha giocato un [p. 3 modifica]ruolo importante l’aver posto quella che è definita premessa plausibile, ovvero una open-call concreta, realizzabile, trasparente e paritaria.
Uno dei vantaggi delle pratiche di crowdsourcing è il cosiddetto fallimento gratuito che, sia a livello macro che a livello micro, permette quella possibilità di sperimentare senza perdite che tanto le imprese quanto il mercato non possono affrontare. Dal momento che il crowdsourcing si basa per lo più sulla collaborazione tra volontari, esso permette di esplorare nuove possibilità e rischiare, senza la preoccupazione di disperdere costi monetari.
Le nuove tecnologie digitali, inoltre, rendendo nulli i costi di pubblicazione, realizzano un fenomeno di amatorializzazione di massa che permette anche ai non-professionisti la creazione e diffusione di informazioni. Viene meno il tradizionale monopolio dei professionisti e dei proprietari dei mezzi di comunicazione di massa e cambia il concetto stesso di ciò che può diventare notiziabile. Questa nuova economia dell’informazione in Rete, per dirla con Benkler, aumenta il grado di libertà e possibilità all’interno della società. Tuttavia questo fenomeno fa emergere nuovi problemi che richiedono una ridefinizione (a) dei privilegi precedentemente riservati alla categoria professionale e (b) dei diritti di proprietà intellettuale. Inoltre, la creazione di user-generated content, non essendo limitata a monte, implica necessità di selezione a posteriori, tramite l’utilizzo di filtri, passaparola, tag e folksonomy.

I nuovi media introducono una inedita modalità di comunicazione “da molti a molti”, rendendo possibile la comunicazione di gruppo. Il risultato è una parcellizzazione dell’audience, da pubblico di massa a quelle che Shirky definisce small-world network. Queste reti di piccoli mondi permettono di portare a termine concreti progetti comuni e, come afferma Howe, esse sono il cuore del crowdsourcing, il contesto e la struttura all’interno della quale il lavoro ha luogo. All’interno di esse infatti si crea un sistema di obbligazioni reciproche che si traduce in capitale sociale.
Si creano così le condizioni per un processo definito da Anderson produttivismo partecipativo, che tramuta le persone da soggetti passivi in ex-pubblico e prosumers grazie alla creazione di comunità di pratica. Wenger definisce tre fattori da cui dipende il senso di appartenenza, requisito di una comunità di pratica: mutuo coinvolgimento, enterprise comune, repertorio condiviso. In base al grado di coinvolgimento degli attori, [p. 4 modifica]Shirky differenzia tre gradi di attivazione dei prosumers: condivisione, collaborazione e azione collettiva.
L’attivazione e partecipazione degli individui ad un progetto di crowdsourcing non sono riconducibili ad un guadagno economico, quanto ad un guadagno in termini di creazione di un valore di cui può beneficiare l’intera comunità, di utilizzo del proprio talento e di voglia di condividerlo con gli altri. Gli autori interpretano le motivazioni individuali di tale comportamento nell’attitudine naturale degli individui alla collaborazione, che si traduce in quella che è definita da Himanen etica hacker. Inoltre la facilità di coordinamento favorita dai media digitali costituisce in sé un incentivo alla collaborazione.
Per avviare, organizzare e gestire un pratica di crowdsourcing è necessario tuttavia un livello, variabile da caso a caso, di controllo e di lavoro oscuro. Il primo passo è stabilire il giusto equilibrio tra promessa, strumento e patto.

A questo punto, si cerca di indagare e valutare come cambia (o dovrebbe cambiare) il ruolo delle istituzioni in questo nuovo scenario. L’opportunità di intraprendere azioni di collaborazione di massa on line può permettere la realizzazione di una democrazia partecipativa, grazie alla quale tutti gli stakeholders possono inscriversi nelle politiche pubbliche decisionali e negoziarne interessi, strategie e finalità. Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo, non bastano le innovazioni tecnologiche: ciò che è richiesto è un cambiamento di mentalità dell’istituzione stessa, che deve adottare principi di interattività, apertura e condivisione. Si presenta, quindi, in cosa consistono e come sono realizzabili le politiche wikicratiche di cui tratta Cottica nel suo libro “Wikicrazia”.
Si descrive infine, in relazione a quanto trattato finora, la storia di Wikipedia, la sua nascita, le caratteristiche peculiari e gli aspetti più innovativi.

Il secondo capitolo è dedicato all’introduzione di ambiti rilevanti per la successiva analisi del progetto, ovvero il marketing territoriale/turistico e il social media marketing, i concetti di esperienza mediata e di micro sfera pubblica. Il marketing territoriale è un non profit marketing che ha come obiettivo la creazione e l’aumento del valore e dell’attrattività di un Sistema Locale Territoriale (SLT): è uno [p. 5 modifica]strumento di promozione del territorio e di stimolo allo sviluppo locale. Il marketing territoriale assume e adatta gli schemi metodologici e gli strumenti del marketing commerciale, senza però incidere sulla finalità pubblica degli obiettivi. Si tratta di far incontrare l’offerta di un SLT con la domanda emergente/potenziale, dove per offerta di intende il territorio e i prodotti/servizi (tangibili ed intangibili) ad esso legati, mentre per domanda si intende la totalità dei residenti e delle imprese locali (attori interni), degli investitori esterni, dei turisti e degli abitanti potenziali (attori esterni). Tuttavia la domanda è influenzata dalla percezione soggettiva che le diverse tipologie di fruitori hanno di un SLT: è quindi necessario che il marketing territoriale operi affinché ci sia coerenza tra identità e immagine percepita. Questo aspetto è ancora più vero in relazione al marketing specificamente turistico, che è soggetto ad una fragilità intrinseca dovuta alla soggettività dell’esperienza turistica. Si necessita quindi di un marketing relazionale, di una comunicazione che vada a generare dialogo, connessione e interazione tra le parti.

Il social-media marketing è un marketing conversazionale che utilizza gli strumenti del web 2.0 e i social network (dei quali si descrivono le caratteristiche) al fine di instaurare relazioni con gli stakeholders. È un pratica che sta prendendo piede tra le imprese e che permette all’azienda di rapportarsi dialogicamente con i clienti: essi diventano collaboratori, parte integrante dell’attività aziendale. Si tratta di un vero e proprio marketing collaborativo che ha come finalità la massimizzazione del valore sia per i prosumers che per l’impresa. Tale attività di cooperazione implica che l’azienda, nella creazione del rapporto con gli interlocutori, accolga e realizzi una concezione totalmente paritaria e trasparente della comunicazione. In altre parole, è necessario che l’azienda perda il controllo tradizionalmente operato sulla comunicazione aziendale, a favore di una co-narrazione.
Gli autori di riferimento del capitolo sono DeBaggis, Maistrello e Diegoli, i quali descrivono le modalità di attuazione e i vantaggi di una strategia di social media marketing.

Un aspetto positivo derivante dall’utilizzo del web 2.0 è il concetto di esperienza mediata. Grazie ai media digitali infatti l’esperienza personale di un individuo può [p. 6 modifica]essere trasmessa e comunicata ad altri individui, i quali potranno acquisire informazioni e conoscenza su eventi e fatti lontani. Ciò modifica il significato del tempo e dello spazio nell’interazione sociale (Meyrowitz), produce una simultaneità despazializzata (Jedlowski) e una conoscenza non locale (Thompson). Tale nuova possibilità sociale ha effetti di rilievo in relazione ad un marketing turistico conversazionale.

I media digitali permettono inoltre di allargare la concezione tradizionale di sfera pubblica teorizzata da Habermas: essi producono una sfera pubblica mediata che non implica la necessaria compresenza degli individui che la compongono. Alla luce di queste novità si rivede dunque la condizione di molteplicità situata descritta da Amin a favore di una molteplicità situata digitale.
Un altro autore, Grossi, individua un altro limite della concezione habermasiana di sfera pubblica: la mancanza di un imprenditore cognitivo, ovvero un attore sociale che assuma il ruolo di facilitatore di una pratica di opinione pubblica, prendendo in carico il compito di promuoverla, attivarla ed orientarla.

Nel terzo capitolo di descrive TurismoEmiliaRomagna, l’interfaccia di APT che tramite un’architettura digitale integrata, assume un duplice ruolo: da un lato collettore di emergenze territoriali, dall’altro veicolo di una narrazione unitaria ma corale del territorio. La finalità di TER è mettere in rete chi fruisce e/o racconta le realtà locali in un’infrastruttura aggregatrice, creando un ambiente stabile di relazioni paritarie con gli interlocutori (che si differenziano tra indigeni, turisti ed operatori). Da questo dialogo emerge un racconto collettivo e condiviso, il cui scopo è produrre un valore aggiunto nella costruzione dell’immagine della regione.

Tale finalità è raggiungibile intraprendendo quotidianamente numerose attività di crowdsourcing (“Gli amici di TER segnalano” e le “Pillole di URP distribuito” per citarne alcune), che richiedono un continuo lavoro di back-office, riassumibile nelle tre macrocategorie di (a) predisposizione all’ascolto e all’accountability, (b) definizione di metaregole che indirizzino le prassi di collaborazione della community e (c) apertura del lavoro redazionale. Al fine di incentivare la partecipazione, il lavoro oscuro passa inoltre per la differenziazione della comunicazione tra i diversi canali social, e per l’attuazione di strategie di community building. [p. 7 modifica]Tra le attività di crowdsourcing di TER la più complessa è senza dubbio Adottaunaparola, oggetto di questa tesi. Infatti tale progetto richiede un maggiore grado di coinvolgimento e attivazione da parte della community, e conseguentemente un maggiore grado di lavoro oscuro.
Il progetto, concettualmente divisibile nelle due fasi di censimento e adozione, è stato ideato dallo staff di TER a settembre 2010, ma è attualmente ancora in corso. Per necessità di indagine, tuttavia, si è qui deciso di porre come termine di osservazione e analisi il 31 dicembre 2010.
Lo scopo del progetto è creare un racconto accurato e vero della regione e delle sue ricchezze, grazie alla raccolta e valorizzazione delle conoscenze di chi ha competenza ed esperienza diretta di una peculiarità regionale. Gli attori che, oltre allo staff, hanno preso parte al progetto sono: la community (in particolare gli evangelist) e Wikimedia Italia, che è entrata a far parte del progetto assumendo un importante ruolo di monitoraggio. AUP costituisce un’inedita collocazione intermedia tra le parti, una sorta di layer simbolico che unisce e accompagna la community nell’attività pratica.
Come si vedrà, il progetto ha prodotto un reale valore per tutti i soggetti coinvolti.
Il lavoro oscuro è stato fondamentale in tutte le fasi del progetto, dal design all’implementazione. Si è dedicato un sottoparagrafo ad ogni singola attività del ruolo di gestione, che si è concretizzato: (a) nel rimodulare la traiettoria del progetto in base ai suggerimenti e alle necessità emergenti; (b) nel modificare e semplificare gli strumenti; (c) nell’applicare la giusta modalità di coinvolgimento della community e (d) nel differenziare la strategia sui diversi social network; (e) nel dare inerzia e stimolare la partecipazione; (f) nell’essere punto di riferimento e guida per gli interlocutori; (g) nel relazionarsi quotidianamente con Wikimedia; (h) nel richiedere feedback concreti e nel porre una deadline al progetto. L’ultima parte del capitolo è dedicata al diario di bordo.

Nel quarto capitolo si discutono le caratteristiche emerse da Adottaunaparola in relazione alla teoria descritta nei primi due capitoli: le diverse dimensioni del lavoro oscuro e la sua essenzialità per lo svolgimento di un’attività crowdsourced; il ruolo dei soggetti coinvolti e i diversi compiti svolti dallo staff; la necessità di negoziare il grado di lavoro oscuro con la community e, nel fare ciò, l’importanza dell’attitudine [p. 8 modifica]conversazionale che la cosiddetta ex-redazione deve adottare se vuole collaborare con il cosiddetto ex-pubblico.
Si pone quindi il focus sulla difficoltà che si incontra nel conseguire e assicurare l’adeguato equilibrio tra mantenimento della coerenza interna al progetto e perdita di controllo a favore di un output co-creato. Si tratta di trovare la giusta modalità di sviluppo e moderazione della comunicazione.
Inoltre si indagano i requisiti abilitanti necessari alla partecipazione della community, in primis il capitale di reputazione e fiducia, e gli indicatori del successo di un’iniziativa di crowdsourcing, che sono sì quantitativi, ma sono anche e soprattutto gli obiettivi di business, come la visibilità.
Infine si presentano i vantaggi di una iniziativa di crowdsourcing come quella descritta al fine di creare una narrazione territoriale collettiva, e le criticità che sono emerse nel suo svolgimento, soprattutto in relazione a problemi strutturali degli strumenti social utilizzati.

La descrizione del progetto Adottaunaparola è stata svolta dalla sottoscritta in quanto parte dello staff che lo ha sviluppato. Questo conflitto di interessi tra l’essere direttamente coinvolta nella gestione di AUP e la necessità di prenderne le distanze per descriverlo con oggettività è stata affrontata facendo ricorso ad alcuni criteri di ricerca propri dell’etnografia, un metodo di indagine qualitativa e approfondita, per lo più applicata ad ambiti circoscritti. Tale indagine si svolge osservando sul campo i fenomeni oggetto di ricerca, per poi provare a interpretarli e generalizzarli solo successivamente. Nella ricerca etnografica la soggettività del ricercatore è parte integrante dell’indagine; inoltre le ipotesi di ricerca vengono negoziate strada facendo a partire dall’analisi dei dati raccolti e successivamente verificate attraverso la raccolta di altri dati.

Nell’analisi dei dati di TER e AUP si è quindi seguito il percorso tracciato da Ronzon per lo sviluppo di una teoria. Il primo passo è ordinare i materiali, classificandoli e creando connessioni, e contemporaneamente valutando la plausibilità delle ipotesi sviluppate. Successivamente si vanno a selezionare e strutturare le informazioni, in una disposizione a imbuto che prevede una focalizzazione progressiva. [p. 9 modifica]Si è quindi cercato: (a) nella fase di valutazione di far attenzione agli spunti riflessivi in grado di far avanzare la teorizzazione; (b) nella fase di presentazione di mettere da subito in evidenza il ruolo del ricercatore, distinguendo costantemente tra affermazioni di altri e interpretazioni personali.

Il racconto è descritto con un approccio formalista, quello maggiormente utilizzato per le micro-analisi sull’interazione sociale: la realtà è presentata in modo analitico, la descrizione è strutturata in base a modelli offerti dalle teorie di riferimento.

Note

  1. Nessuno degli autori specifica con precisione quali siano concretamente i limiti del crowdsourcing. La risposta a tutti gli effetti non è semplice, e probabilmente dipende dalle situazioni. Alcuni autori arrivano a definire come crowdsourcing anche le azioni che producono visibilità. Eppure, nonostante sia palese che senza condivisione il valore di molti progetti potrebbe rimanere sconosciuto, questa interpretazione di ciò che è definibile come crowdsourcing rischia di diventare pressoché onnicomprensiva nelle pratiche di web 2.0. Per questo motivo, in questa trattazione non si sono considerate le attività di livello zero di crowdsourcing, come like ecc., ma solo quelle che comportano un livello di organizzazione e attivazione degli interlocutori.