Il corsaro/Canto II/IV
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IV
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IV.
» D’onde o Dervis?» — » Da l’antro de’ Pirati,
» Fuggitivo qual vedi» — » E dove, e quando
» Fosti lor preda?» — » Solcavam da Scio
» A Scalanova, ma a la nostra prora
» Ahi! non sorrise Allà, ch’ogni ricchezza
» E la Saìcca insiem, di que’ ladroni
» Cadde in poter, e nostre membra cinte
» Fur di catene. Non argento, o gemme
» I’ perdei nò, ch’unqua non n’ebbi; morte
» Paventar non dovea; l’errante solo
» Mia libertà m’era tesauro, e questa
» Tolsermi i crudi. Alfin, tra le notturne
» Ombre, d’un pescator l’umil barchetta
» M’offrì scampo, e speranza; I’ l’ora colsi,
» E quì salvo ne giungo. Oh! a te vicino,
» Forte Pascià, che più temer?» — » E i tristi
» Quale nutron disegno? Le rapite
» Dovizie forse, ed il nefando scoglio
» Difender osan? o non pur di tante
» Mie genti sognan, onde alfin saranne
» Quel sozzo nido di scorpion consunto?» —
» Pascià, ben fiacco indagatore è l’occhio
» D’incatenato prigionier, che piange
» I suoi liberi giorni. Io solo udìa
» Mugghiar l’onda insensibile, che trarmi
» Non volea da quel loco; io vidi solo
» Il chiaro azzurro Cielo, il Sol glorioso,
» Splendido, ahi troppo! troppo ahimè! sereno,
» Per tanta schiavitute, e là provai,
» Che rammentar di libertade in mezzo
» A le catene, non rasciuga il pianto;
» Or questo solo il mio fuggir t’apprenda,
» Che pensier nullo han di periglio; invano,
» Credil, tentato avrei, come disciolto
» Me quì ridur, se vigil de’ pirati
» Fosse lo sguardo. Ma l’oziosa scolta
» Che il mio fuggir non vide, neghittosa
» Fia pur, se tu, col tuo poter ti mostri.
» Pascià son lasse le mie membra; cibo
» Chiede per l’aspro digiunar natura,
» E dal lungo agitar de’ flutti quiete,
» Lascia ch’io parta; con te pace intanto,
» Resti, e pace co’ tuoi. Deh mi concedi!
» E commiato, e riposo» — » Anco rimanti,
» Uopo ho di più saper; I’ te l’impongo,
» Siedi o Dervis: odi?.... Ubbidisci; assai
» Chieder ti deggio; qual più brami, i servi
» Conforto ti daran, ch’ove il convito
» Ferve e la gioja, tu languir non dei;
» Ma quando fia la fame tua satolla,
» Dervis, io detti misteriosi abborro,
» Franco rispondi, e a tutto dir t’appresta» ...
Qual divenne colui; come si scosse
Al duro cenno; se di lauta cena
Disìo sentisse allor; se nel Divàno
Siedesse lieto, e qual per tanti Duci
Reverenza provasse, è il pensar vano.
Come per febbre arder sentìo la guancia,
E scolorarsi tosto. Silenzioso
Stette, e sul ciglio, richiamò la calma
Ch’era fuggita; ma la mensa indarno
Vide, ed il cibo dilicato a schivo
Ebbesi, quasi a rio venen commisto,
E sì che strano parve a ognun, che tale
Da fatica, e digiun prostrato, e domo
La pingue cena ricusasse.» Or via
» Che t’affanna o Dervis? Saziati; pasto
» Di Cristiano non è; nè questi miei
» Ti son nemici! Perchè sovra il desco
» Lasci negletto, e inassaggiato il sale,
» D’amistà sacro pegno, che la punta,
» Se lo comparti, d’ogni acciar rintuzza,
» E le avverse tribù con dolce nodo
» Lega così che ti parrìen fratelli? » —
» È lauto il prandio cui lo sal condisce,
» E son mio pasto ognor poche radici,
» E mi dissèto, a chiaro fonte ognora.
» Il severo mio voto,3 e il dover mio
» Vietan che cena I’ m’abbia a mensa altrui,
» Siami amico, o nemico. E nuova invero
» Parer ti dee tanta austerezza; tema
» Non ten’ nasca, Pascià. S’havvi periglio
» Caggia pur sul mio capo; ma nè impero
» Di Te, non scettro di Sultan, farìa
» Sì che cibo qui avessi, altro che pane;
» Rompere il fren de le mie leggi fora
» Grave delitto, nè a la sacra Mecca
» Per l’ira del Profeta, unqua il rammingo
» Mio piè giugner potrìa.» —
» Qual più t’aggrada,
» O rigido, tal sia. Solo rispondi
» E in pace vatten’poi. Quanti.... che miro?
» Certo l’alba non è!.... Qual astro mai
» Qual Sole irraggia ora la baja?.... Un lago
» Parmi di foco!.... Oh tradimento! all’armi!
» Guardie!... il mio brando! Oh Cielo! Ardon le navi,
» Ed io son lunge?.... Empio Dervis! e queste
» Eran le infami tue novelle? Oh, sozzo
» Esplorator!.... trattengasi.... s’uccida....
Sorse il Dervis a quel fulgor, nè manco
Di quel fulgore il suo cangiar di forme
Ogni sguardo abbagliò. Sorse, non mesto
Non umile qual pria, ma come audace
Guerrier che sul suo barbero si slancia;
Gettò l’alto cappuccio, e d’in sul petto
La tunica strappossi, e lo scoverse,
Qual era armato, e di sua spada intorno
Fé il raggio balenar; Coprìali il capo
Picciolo sì ma risplendente elmetto
Di nera piuma ornato, ma splendea
Assai più la pupilla, e uscìa di sotto
Al negro ciglio, assai più negro orrore,
E tal ch’a l’atterrito Mussulmano,
Spirto da l’infernal spada di morte,
Incontro a cui vano è pugnar, parea.
L’altissimo spavento il chiaror fosco
Di fiamme e faci, che sul Ciel si spande
E le strida di duolo, ai disperati
Urli commiste, e lo scontrar de’ brandi
E il ferire, e il cader, su quella terra,
Orrenda apron così scena d’averno.
Quà, e là confusi corrono gli schiavi,
Ove non san, fuggendo, e il sanguinoso
Lido veggono solo, e l’arder vasto.
Furibondo il Pascià s’affanna indarno
Alto a sclamar: » a me il Dervis si tragga;
» Quel Démone s’arresti!»... Alcun non l’ode,
Non si volge in udir; mira Corrado
La sorpresa, il terror, e rassecura
Il disperato palpito che in seno
Sorse improvviso, quando presta, oh troppo!
E pria che il segno convenuto ei desse,
Vide la fiamma; l’orrido trambusto
Mira ed il corno dal fianco solleva;
È breve il soffio, ma per l’aere chiaro
Spandesi il suono, e un altro suon risponde.
» Forti!.... egli esclama, valorosi!.... Fidi!....
» Perchè temei che l’impaziente ardore
» Fosse disegno reo di quì lasciarmi
» Solo perir!» Stende il possente braccio,
A cerchio vibra l’affilato acciaro,
E così il primo folle indugio ammenda;
Quel che il terrore incominciò, compisce
Il suo furor, e quanti incontra, innanzi
Cader si fa. Per l’ampie sale sparsi
Vanno i fessi turbanti, ed osan pochi
Alzar le destre a far salve le fronti;
Anco Seid, meravigliando, assorto,
E per rabbia convulso, ancor che in fera
Sembianza, di pugnar, di là s’arretra;
E prode è ben, ma lo temuto scontro
Forz’è ch’eviti ei pur, terribil tanto
La paura comun fa il suo nemico;
Scorge l’arse galee, d’ira spumante
La folta barba si dilania, e fugge.
Omai varcata han de l’Harem la soglia
I pirati, e v’irrompon furibondi,
E traggon morte là ’ve stupor cieco
Getta la spada, s’inginocchia, e prega.
Invan! trabocca il sangue; ove gli chiama
Col suo squillo Corrado, u’ sua trist’opra
Il gemer de le vittime, il dolente
Implorar vita, annunziano, veloci
I corsari si volgono, e d’orrende
Grida il salutan. Solitario, bieco,
Qual sazia tigre in suo covil, che rode
Spolpati avanzi, ei stà.... Breve risposta
Dà a brevi accenti ....» Prodi foste, il vidi;
» Ma Seid fugge .... e dee morir! Oprammo
» Assai; .... Più resta a oprar .... Ardon sue prore,
» E l’odiata Città perchè non arde? ....